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È di lunedì la notizia che per la prima volta la Corte suprema degli Stati Uniti, il massimo organo giurisdizionale del paese, si è espressa a favore della piena applicazione del cosiddetto “Muslim ban” con cui l’amministrazione Trump ha imposto restrizioni agli ingressi negli USA per i cittadini provenienti da sei stati a maggioranza musulmana: Ciad, Iran, Libia, Siria, Somalia e Yemen [Politico].

Il bando, dichiarato più volte incostituzionale da molti tribunali del paese a causa della discriminazione religiosa a cui fa eco, era stato presentato lo scorso settembre nella sua terza versione, segnando a oggi una vittoria per Donald Trump. Va però specificato che si tratterebbe di una vittoria temporanea perché la Corte suprema si sarebbe limitata a sentenziare in merito agli oneri del presidente americano, affermando che la gestione delle frontiere spetti di fatto alla presidenza, ma non si sarebbe ancora pronunciata in merito alla discriminazione religiosa, riservandosi di farlo prossimamente.

L’ondata xenofoba

L’approvazione del “Muslim ban” non è certamente una notizia rassicurante, eppure non stupisce: non si tratta infatti di un verdetto unico nel suo genere, ma anzi è una decisione in linea con lo stato delle cose. Ė inevitabile acuire lo sguardo e l’udito verso le aberrazioni politiche e sociali che scalfiscono la nostra quotidianità: l’ascesa delle forze politiche di estrema destra nei parlamenti di mezza Europa, i discorsi “acchiappa-popolo” di leader parlamentari permeati da un’ideologia razzista, xenofoba e omofoba, e l’intolleranza crescente della popolazione stessa, lasciano il triste dubbio se la politica rifletta i desideri della maggioranza del popolazione o semplicemente ne alimenti l’ignoranza.

Facendo una rapida analisi della situazione attuale, sembrerebbero esservi già tutti gli ingredienti per creare scontento tra la popolazione e di conseguenza una involuzione della civiltà. La crisi economica in Occidente, che ha lasciato disoccupazione, rabbia, ingiustizia e disparità sociali, incontra l’arrivo in massa di migranti dalle coste libiche, tanto vicini a noi geograficamente quanto lontani per cultura, obbligati a scappare a causa degli orrori del fanatismo religioso e dei giochi geopolitici internazionali che manovrano come burattini le sorti di questi disperati. Quello che dovrebbe essere un incontro tra culture, finisce dunque per trasformarsi in uno scontro tra le stesse, una lotta tra poveri nella quale vi è il rischio che a vincere siano l’odio e l’inciviltà.

Nonostante sembrino esservi i presupposti per uno scenario assai preoccupante che di fatto sembra prendere piede in gran parte del mondo democratico, un barlume di speranza verso la tolleranza è acceso dalla nascita spontanea e senza scopo di lucro di alcune realtà, definibili delle vere e proprie risorse sul territorio.

Lavorare con i migranti

In Spagna, dove nel 2016 il numero delle sollecitazioni di asilo ha raggiunto quota 15.755 (Eurostat), si trova l’Associació Catalana per la Integració d’Homosexuals, Bisexuals i Transsexuals Immigrants (ACATHI), associazione catalana che dal 2002 opera per l’integrazione della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) di immigrati e rifugiati politici.

L’associazione si è costituita a Barcellona, spazio ameno per i diritti civili, grazie allo sforzo di persone di origini diverse: migranti, rifugiati, LGBTQIA. Come ricorda il presidente Rodrigo Araneda Villasante, l’obiettivo a partire dal quale si è partiti per costituire l’associazione è la creazione di una realtà che non lavori solamente per immigrati e rifugiati, ma che sia costituita dagli stessi. Si tratta dunque di lavorare “con” e non di lavorare “per”, affinché sia la stessa comunità di rifugiati e immigrati LGBTQIA ad aiutarsi reciprocamente.

Migrante come persona

Personalmente, e come ex tirocinante dell’associazione, ritengo che da questo importante progetto emerga il desiderio di umanizzare le persone migranti, spesso de-personificate. Considerare un migrante come una Persona significa riconoscere la diversità, l’identità e le necessità che lo caratterizzano, riconoscendolo nella sua unicità senza appiattirlo sotto la sterile categoria di “migrante”. Ecco dunque che il progetto di ACATHI nasce dando voce alla categoria specifica e spesso dimenticata dei migranti e richiedenti asilo LGBTQIA.

ACATHI offre gratuitamente ai suoi utenti sostegno psicologico, legale, corsi di lingua e l’inserimento in una rete sociale e negli anni è stata in grado di raccogliere persone di tutti gli orientamenti sessuali, di tutte le nazionalità e di tutti gli strati sociali, facendo dell’interculturalità e della diversità i propri punti di forza.

Tra le battaglie vinte dall’associazione, come ricorda il presidente, vi è quella di vedersi riconosciuti come un’entità esperta nel settore LGBTQIA, ma allo stesso tempo trasversale ai diversi collettivi. “Non siamo solamente un’associazione LGBTQIA ma, occupandoci di immigrazione e rifugio, abbracciamo uno spettro più ampio di possibilità e realtà” commenta Rodrigo.

Una strada ancora lunga

La strada però è ancora molto lunga e i progetti sono tanti (per fortuna). Tra le idee che si vogliono sviluppare vi è migliorare la presa in carico dei gruppi di persone più vulnerabili che sono anche quelli invisibili, come chi vive per strada, chi è vittima del racket della prostituzione e chi soffre di disturbi mentali. Parallelamente ACATHI si prefigge anche di migliorare l’accoglienza delle persone transessuali che richiedono asilo politico in Spagna e di quelle che si trovano nelle carceri.

Si vorrebbe però che le migliorie si ampliassero all’intera comunità LGBTQIA. Il messaggio del presidente si conclude infatti con un appello al movimento, chiedendo di non rimanere fermi nella difesa dei propri diritti aspettando che questi vengano concessi dalle istituzioni: “È necessario fare un passo oltre, creare dei servizi e fare quanto più possibile per incidere direttamente e positivamente sulla comunità”.

Letizia
©2017 Il Grande Colibrì

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