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Il 29 settembre un gruppo di fondamentalisti cristiani ha bloccato e ritardato di circa un’ora l’inizio del secondo Jeju Queer Culture Festival, il Pride organizzato a Jeju, isola della Corea del Sud, dalle associazioni LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) del paese.

I partecipanti alla manifestazione erano circa 700, contro i 100 fondamentalisti cristiani che però, anche se in minoranza, sono riusciti a far ritardare la manifestazione e a causare molti problemi di sicurezza. I fondamentalisti si sono presentati davanti all’uscita del parco da cui doveva partire la marcia del Jeju Queer Culture Festival e si sono sdraiati sulla strada davanti al primo carro, impedendogli così di procedere.

A inizio settembre le cose sono andate anche peggio al Pride di Incheon, terza città più grande del paese: qui circa mille manifestanti omofobi hanno aggredito e bloccato per ore i 300 partecipanti alla marcia dell’orgoglio LGBTQIA. Inoltre, molti fondamentalisti religiosi hanno esibito cartelli minacciosi, come quello che recitava “Omosessuali = AIDS“.

Uno stato poco amico

Min Soo Kim, dell’organizzazione dello Jeju Queer Culture Festival, ha denunciato il ritardo della polizia nel bloccare le azioni dei fondamentalisti cristiani e ha aggiunto: “Dovevano essere più severi con i manifestanti“. “La polizia – ha concluso – deve proteggere la libertà di riunione, ma non è così. I manifestanti stavano infrangendo la legge“.

In Corea del Sud non esiste il reato di omosessualità, ma neppure una legislatura in materia di riconoscimento legale delle coppie omosessuali o di discriminazione, rendendo la vita difficile ai cittadini appartenenti a minoranze sessuali, anche per colpa di associazioni e gruppi anti-LGBTQIA molto attivi nel paese. Anche nelle forze armate i cittadini omosessuali sono fortemente discriminati.

Andrea Sanna
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Jeju Queer Culture Festival (Facebook)

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