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Adolescenti e giovani continuano a invadere le strade della Thailandia in imponenti manifestazioni per la democrazia e i diritti, reclamando la caduta del governo, la liberazione dei prigionieri politici e la nascita di una monarchia costituzionale. Le proteste accolgono a braccia aperte anche le tematiche dei movimenti femministi e LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), come testimonia ad esempio la storia di Tattep Ruangprapaikitseree, l’attivista gay diventato uno dei leader della contestazione grazie a un bacio dato in pubblico al suo ragazzo.

Per questo, per chi segue le vicende thailandesi (non molte persone e organizzazioni, a dire il vero, tanto che Il Grande Colibrì è stata l’unica associazione europea a rispondere all’appello di decine di gruppi LGBTQIA del Sud-est asiatico lanciato a fine ottobre), non è certo una sorpresa scoprire che il Pride di Bangkok, che ha riunito circa 1500 persone per le strade della capitale, è stato un successo ed è stata l’ennesima occasione non solo per difendere i diritti delle minoranze sessuali, ma anche per contestare il governo di Prayuth Chan-ocha e per chiedere radicali riforme istituzionali.

Basta sessuofobia

Tra i temi affrontati di più da chi manifestava, c’erano la lotta alla discriminazione nelle scuole e sui luoghi di lavoro, il pieno riconoscimento della dignità delle persone transgender, l’accesso libero e sicuro all’aborto e la fine dello slut-shaming (“mettere alla berlina la puttana”), cioè della stigmatizzazione delle donne che indossano abiti, hanno comportamenti o manifestano desideri che la società giudica inappropriati per il loro genere. Come spiega Natcha, 25 anni, “agli uomini thailandesi piace criticare le uomini in base al numero di uomini con cui vanno a letto, mentre loro non devono essere sottoposti allo stesso tipo di giudizio“. E sicuramente è un problema degli uomini non solo in Thailandia…

Molti slogan si sono concentrati sui diritti delle persone sex worker: la Thailandia è spesso conosciuta nel mondo come un paese dove la prostituzione è molto diffusa, ma in realtà questa pratica è al tempo stesso vietata dalla legge e largamente “tollerata” dalle istituzioni. Questa tolleranza ha ben poco di positivo per chi esercita il mestiere, perché si traduce in vessazioni e ricatti da parte delle forze dell’ordine, che sfruttano la zona grigia in cui si trovano le persone sex worker, e in un’ampia protezione omertosa su gravissimi casi di sfruttamento e anche di prostituzione minorile. La Thailandia con un cuore democratico chiede una legalizzazione con il riconoscimento di chiari diritti e di strumenti concreti per combattere gli sfruttatori.

Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì

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