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Pattaya, stazione balneare di 100mila abitanti sulla baia di Bangkok, in Thailandia, è spesso considerata la capitale mondiale del turismo sessuale: secondo alcune stime, più di 30mila sex worker lavorano nei locali della città, esercitando la professione in case chiuse, alberghi, locali per il karaoke… Se la maggioranza sono donne, sia cisgender sia trans, anche diverse migliaia di uomini, spesso provenienti dalle regioni rurali più povere della Thailandia, si prostituiscono nelle tre aree gay della città: Boyztown, Sunee Plaza e Jomtien Complex. Oggi, ai tempi del coronavirus, queste zone, racconta Pattaya Mail, appaiono deserte: circa un terzo dei locali gay sono chiusi e molti bar storici, come Castro e Boyz Boyz Boyz, aprono solo nel weekend, accogliendo ben pochi clienti.

Soldi, sesso, silenzio

La Pattaya gay si sviluppa negli anni ’80, con l’apertura del primo locale per soli uomini della città a Boyztown, accanto alla Walking Street, il lungomare famoso in tutto il mondo per il suo mercato del sesso che dà linfa a innumerevoli discoteche, bar, night club… La sera turisti europei e americani si affollano nelle strade del quartiere e molti cercano giovani maschi, possibilmente magri ed effeminati come gran parte degli occidentali si immagina i thailandesi. In pochi anni si moltiplicano i bar con spogliarelli, i ristoranti, le saune, i centri massaggi, i consultori medici… Tutti locali che, comunque si presentino formalmente, servono principalmente a far incontrare sex worker e clienti.

E mentre si moltiplicano i locali, si moltiplicano i soldi che girano nella città, facendo chiudere gli occhi alla politica e alla polizia, nonostante formalmente la prostituzione sia un reato in Thailandia. Si moltiplicano anche gli scandali, ma anche qui si chiudono gli occhi: lo sfruttamento di molte e molti sex worker è noto, come si sa benissimo che molte di queste persone sono minorenni, e questo vale tanto per le donne quanto per gli uomini. Spuntano fuori anche giri illeciti di falsi risultati negativi al test HIV, con cui accalappiare i clienti più reticenti all’uso del preservativo. Intanto alcuni locali lanciano raccolte fondi per gli orfani o per la lotta all’AIDS, spesso un semplice modo per lavarsi la coscienza o per rifarsi un’immagine.

giovane ragazzo asiatico celeste

Mercato in declino

Se dalla seconda metà degli anni ’90 si sviluppa un secondo quartiere gay, Sunee Plaza, più lontano dal mare, ed è anche in questo caso un grande successo, gli ultimi dieci anni invece segnano un lento declino. Il numero di visitatori dall’Europa scende continuamente: secondo la drag queen Eggz Benedict, gli uomini inglesi, tedeschi, francesi e italiani che vogliono far turismo sessuale preferiscono ormai i paesi dell’Europa dell’est, più facilmente accessibili e più economici. Certo, ci sono sempre più turisti asiatici, soprattutto cinesi, ma sembrano meno interessati al mercato della prostituzione, specialmente maschile.

Sunee Plaza va in crisi più visibilmente, mentre i problemi per Boyztown sono più difficili da osservare: mentre cala la domanda, l’offerta sembra espandersi, ma in realtà si sta solo trasformando. Il quartiere, infatti, diventa un’attrazione turistica mainstream, ci va chiunque per “osservare i gay” e il maggiore afflusso fa schizzare in alto i prezzi. Intanto accorrono sempre più donne sex worker per soddisfare il nuovo pubblico pagante dei curiosi. Insomma, per i sempre meno turisti omosessuali Boyztown diventa sempre più cara, sempre meno piacevole e sempre meno gay. Meglio cercare qualche giovane sex worker su Grindr. E così negli ultimi anni inizia a chiudere pian piano un locale dopo l’altro. L’epidemia di COVID-19 rappresenta ovviamente la mazzata finale.

Nuovi modelli

Oggi solo il terzo quartiere gay, Jomtien Complex, sembra cavarsela un po’ meglio. Da come lo descrivono i suoi frequentatori, Jomtien Complex è più che altro una zona gay-friendly, dove uomini, donne e trans si affiancano senza problemi e senza quell’effetto “pesci nell’acquario” che infastidisce molti omosessuali a Boyztown. Rispetto a quest’ultima area, inoltre, i prezzi delle consumazioni ai bar sono notevolmente più bassi. Ma gli elementi che sembrano davvero fare la differenza sono l’atmosfera molto più rilassata, il clima meno ossessionato dal sesso e, questione di primaria importanza, la politica di tolleranza zero verso la prostituzione minorile portata avanti dai locali di Jomtien Complex.

La lezione non sembra molto chiara a Boyztown, dove ci si interroga su come rilanciare le attività dopo la pandemia. C’è chi pensa che servirebbe concentrarsi sulle aspettative dei turisti sessuali asiatici, chi ritiene che bisognerebbe attrarre la clientela eterosessuale presentando il quartiere come ancor più trasgressivo rispetto alla vicina Walking Street… Invece Pandora Boxx, drag queen che lavora al Jomtien Complex, non appare molto preoccupata: “Negli anni ’80 tutti prevedevano che la pandemia di AIDS avrebbe spazzato via per sempre ogni forma di socialità gay, ma non è mai successo. Supereremo anche questo. Nel frattempo, indossiamo le mascherine, laviamoci spesso le mani e non facciamo avvicinare gli altri a meno di un metro e mezzo“.

Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì

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