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Non è un mistero che la gestione dell’epidemia in Brasile sia stata – diciamo così – molto poco efficace. Le decisioni del presidente Jair Bolsonaro, nonché le sue dichiarazioni ben poco accorte e misurate, hanno avuto e stanno avendo ripercussioni estremamente negative sull’intero paese, che si trova ora a fronteggiare una terribile emergenza. Com’è facile immaginare, i primi a farne le spese sono i cittadini più deboli e indifesi. Gli stessi che, anche a causa delle posizioni apertamente omofobe e razziste del presidente, si trovavano già da tempo relegate ai margini.

Virus e transfobia

In una situazione così difficile sopravvivono solo i più forti, e io purtroppo non sono tra questi. Io faccio parte della categoria dei più deboli“. Elba Tavares ha 44 anni e da venti vive a Rio de Janeiro. Originaria di Paraíba, uno stato situato nella parte nord-orientale del Brasile, ha cominciato a prostituirsi fin da adolescente e ora cerca di guadagnarsi da vivere in una città che a causa del coronavirus sembra essersi svuotata.

I clienti scarseggianoammette la donna, che, al pari di molte altre sex worker, si dice estremamente preoccupata per il suo futuro e per le conseguenze che questa crisi avrà sulla società brasiliana. A impensierirla sono soprattutto le discriminazioni e lo stigma che sicuramente si abbatteranno su di lei e su molte altre lavoratrici del sesso, a cui il comune sentire addossa la duplice “colpa” di essere povere e anche transessuali.

Se già prima era difficile, puoi immaginare quanto lo sia adesso! – sottolinea amaramente la ventiseienne Stefany Gonçalves, che ogni giorno sfida la paura e le restrizioni governative solo per racimolare pochi spiccioli – Le strade sono deserte, in giro non si vede praticamente quasi nessuno. Io continuo a uscire a cercare clienti, perché se non lo faccio l’unica alternativa che mi resta è solo morire di fame“. Il governo, dice, le passa un piccolo sussidio, ma è davvero pochissimo, una cifra irrisoria che basta a mala pena per sopravvivere.

brasile campagna bolsonaro omofobiaSegnali di speranza

Di tanto in tanto qualche aiuto arriva dagli amici e da persone di buon cuore, che anche in una situazione così complessa non hanno fatto mancare il loro supporto e le hanno fornito ospitalità e cibo. Un segnale indubbiamente incoraggiante e lodevole, che va a sommarsi ad altri atti di generosità che in alcuni casi vedono protagonisti proprio i membri della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) brasiliana.

Tra di essi spicca sicuramente quello coordinato da Indianare Siqueira, attivista transessuale e fondatrice di Casa Nem, un piccolo rifugio che ospita e aiuta le persone LGBTQIA in difficoltà nel quartiere di Copacabana. Allo scoppiare dell’epidemia, Siqueira, che in passato ha già dovuto fare i conti con un’altra terribile epidemia (quella causata dal virus dell’HIV), non ha esitato a scendere in campo e con l’aiuto di alcuni collaboratori ha subito cominciato a distribuire pasti e altri generi di conforto alle persone in difficoltà. Accanto a questa bella iniziativa, che ha avuto fin da subito un ottimo riscontro, va sicuramente annoverata anche la raccolta fondi in favore della comunità trans di Lapa, vivace sobborgo nel centro di Rio de Janeiro.

Lezioni da imparare

L’isolamento e le difficoltà che la società brasiliana stanno attraversando sono gli stessi che noi persone LGBTQIA ci troviamo ad affrontare ogni giorno” riflette Siqueira, che non manca di sottolineare come l’ascesa di Bolsonaro abbia condizionato molto negativamente le condizioni di vita della comunità queer brasiliana. La speranza, conclude l’attivista, è che questa brutta esperienza possa almeno essere d’insegnamento a qualcuno: “Dovendo fare i conti con i problemi che la nostra comunità si trova davanti quotidianamente, forse la gente imparerà qualcosa“.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da pexels (CC0) / da Thaís Rocha (CC0)

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