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Con la storica sentenza della Corte Interamericana a favore del matrimonio egualitario e delle persone transgender, le battaglie per i diritti civili nel continente latino-americano sembrano essere entrate in una nuova fase: nella maggior parte dei paesi che ancora prevedono discriminazioni in merito, il mese di gennaio ha visto un fiorire di richieste e rivendicazioni. Ma anche un paese come Cuba, non vincolato alle decisioni della Corte, ha compiuto negli ultimi dieci anni importanti progressi.

Come evidenzia il quotidiano britannico Independent, nell’ultimo decennio l’isola ha quasi ribaltato la triste fama che l’accompagnava riguardo al trattamento delle persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersex), soprattutto se si confronta la sua situazione a quella di altri paesi caraibici come Giamaica e Trinidad e Tobago, dove l’attività omosessuale è ancora oggi criminalizzata.

A Cuba – che vieta costituzionalmente qualunque discriminazione “lesiva della dignità umana” – la terapia per la riassegnazione di genere è disponibile (e gratuita, come le altre procedure mediche) dal 2008, le discriminazioni lavorative basate sull’orientamento sessuale sono proibite dal 2013 e, nel maggio dello scorso anno, si è persino tenuta la prima messa officiata da pastori transgender. Inoltre, l’educazione sessuale (così come l’accesso alla prevenzione contro l’HIV) è considerata un tema fondamentale ed è salvaguardata da un importante ente governativo, il Centro Nacional de Educación Sexual (Centro nazionale per l’educazione sessuale; CENESEX), grazie al quale sono state portate avanti le principali battaglie LGBTI.

Il contesto cubano

La storia recente rende difficile scindere la situazione delle minoranze LGBTI dell’isola dal complesso percorso culturale e politico iniziato con la rivoluzione. Da un lato, infatti, è indubbio che le politiche culturali rivoluzionarie, di esaltazione del combattente virile e di rifiuto delle frivolezze borghesi, hanno aperto la strada ai decenni più bui della storia di Cuba, con l’istituzione di veri e propri campi di lavoro per gli “effeminati”, considerati nemici della società da rieducare e, in caso di fallimento, esiliare al pari dei traditori politici. Un processo esemplificato dallo storico “esodo di Mariel”, che ha consegnato agli Stati Uniti intellettuali del calibro di Reinaldo Arenas, tra le principali voci di denuncia delle violenze perpetrate ai danni della popolazione omosessuale cubana.

Eppure, è anche possibile rintracciare nell’utopia sociale inseguita dalla rivoluzione il germe del processo avviato negli ultimi dieci anni. E sembra proprio questa la direzione scelta, non senza ricadute e passi falsi, dal governo cubano, che già negli anni ’90 stava elaborando nuovi modelli di riferimento. Un film come “Fragola e cioccolato” di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío (1993), girato col patrocinio del governo e basato sull’omonimo racconto di Senel Paz, cercava precisamente di conciliare il credo comunista, e la sua difesa delle classi emarginate, con una maggiore tolleranza – e integrazione – delle minoranze sessuali e di genere.

Un obiettivo non ancora realizzato del tutto, ma che sembra trovare il suo simbolo nella principale paladina dei diritti LGBTI a Cuba: Mariela Castro, direttrice del CENESEX, nipote di Fidel e figlia di Raúl Castro, l’attuale presidente, più di dieci anni promuove svariate iniziative a favore delle minoranze sessuali.

La nuova rivoluzione

Quella che da molti è stata descritta come una “nuova rivoluzione” ha avuto inizio nel 2007, quando Mariela Castro è scesa in strada in testa al corteo che celebrava all’Avana la prima Giornata Internazionale Contro l’Omofobia e la Transfobia. È stata una manifestazione pubblica di grande impatto, proseguita in una serie di battaglie legali che, nel decennio successivo, hanno visto Mariela Castro schierarsi fermamente al fianco della popolazione LGBTI, facendo approvare le già citate riforme a favore della riassegnazione di genere e contro la discriminazione omofobica sul lavoro (provvedimento a cui lei si è opposta – un atto storico nel parlamento comunista – perché la normativa non includeva anche la discriminazione transfobica).

Sebbene le mentalità impieghino tempo per evolversi e si mantengano forti sacche di omofobia soprattutto in provincia, in questi anni il nuovo orientamento ha portato risultati concreti, non ultima l’elezione della prima donna transgender a un incarico pubblico: l’infermiera Adela Hernández, dopo aver subito le persecuzioni omofobiche degli anni ’80, nel 2012 è stata eletta dai suoi concittadini come rappresentante nelle Assemblee Popolari.

Tra ostacoli e passi falsi

Ovviamente, la situazione non ha registrato solo sviluppi positivi. Il tentativo di inglobare il programma di riforme civili nel percorso rivoluzionario può comportare il rischio di un’egemonizzazione governativa e la stessa forza accentratrice di Mariela Castro è stata talvolta criticata dai movimenti indipendenti, che affermano di essere spesso lasciati da parte e osteggiati nel loro lavoro: è questo il caso del periodico digitale indipendente 14ymedio che, nel 2015, proprio in occasione della marcia contro l’omofobia, si è visto negare il diritto di intervistare la rappresentante del CENESEX di Santiago, autorizzata a rispondere soltanto ai “media locali”.

Inoltre, non è sfuggito all’attenzione dei media e dei blogger indipendenti il fatto che, dopo aver scelto nel 2010 di schierarsi in difesa dei diritti LGBTI all’Assemblea dell’ONU, il rappresentante di Cuba era assente durante la votazione che, nel novembre 2016, ha quasi rischiato di eliminare l’Osservatorio delle Nazioni Unite sui diritti umani delle popolazioni LGBTI.

Verso il futuro

Il processo di sensibilizzazione e ristrutturazione legislativa è ovviamente ancora in atto e deve far fronte a sfide e ostacoli unici a un paese che, d’altro canto, per via della sua storia, è piuttosto libero dalle forme di omofobia di matrice cattolica che caratterizzano il resto dell’America Latina. Una delle battaglie che verranno sicuramente portate avanti nel futuro prossimo è quella relativa al matrimonio egualitario: gli attivisti stanno lottando per far approvare un progetto di legge che consentirebbe alle coppie omosessuali di non essere escluse dall’articolo 36 della costituzione, che attualmente regola il matrimonio in termini esclusivamente eterosessuali.

In quest’ottica, è importante rilevare l’impatto che la sentenza della Corte Interamericana – e i suoi possibili sviluppi negli altri paesi – potrebbe avere comunque sulla situazione dei diritti LGBTI cubani, soprattutto in concomitanza delle elezioni per il rinnovamento dell’Assemblea Generale previste per il mese di aprile. Tra le speculazioni relative a chi sarà il nuovo presidente, c’è chi azzarda persino l’ipotesi che potrebbe essere eletta proprio Mariela Castro, che pure per il momento ha smentito la propria candidatura. Un segno, se non altro, della popolarità che l’attivista ha raggiunto in questi anni di lavoro come direttrice del CENESEX.

E per quanto fare pronostici sia rischioso, se non impossibile, fanno ben sperare le ultime notizie, come la recente decisione del tribunale di Boyeros, distretto dell’Avana, di affidare la custodia di tre bambini alla nonna lesbica e alla sua compagna, invece che al padre biologico. Una sentenza, emessa nell’ottobre dello scorso anno, che costituisce un precedente assoluto e potrebbe aiutare gli attivisti cubani a ottenere nuovi riconoscimenti e nuove conquiste legislative in una congiuntura storica che, nel continente, sembra essere particolarmente favorevole.

Micol
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Jorge Royan (CC BY-SA 3.0)

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