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L’Egitto non è più sotto i riflettori, la stampa non nomina più i diritti umani nel paese africano, quello di Giulio Regeni sembra un nome dimenticato. Sono passati appena due mesi e mezzo dall’arresto di massa di persone sospettate di essere gay [Il Grande Colibrì], ma l’attenzione, anche all’interno della comunità italiana, è svanita.

Persecuzione continua

L’ultima ondata di arresti è partita dopo che alcuni partecipanti a un concerto della band libanese Mashrou’ Leila (il cui leader è apertamente omosessuale) avevano fatto sventolare un paio di bandiere arcobaleno. All’inizio le autorità non avevano nemmeno preso provvedimenti su quanto avvenuto al concerto e circolavano solo voci relative a qualche arresto, smentite dagli stessi attivisti locali, ma poi la stampa egiziana aveva istigato l’odio nei confronti delle minoranze sessuali, con una campagna durata settimane [Il Grande Colibrì].

La situazione nel frattempo non è migliorata, anzi continuano a diventare sempre più drammatica: non solo una proposta di legge vorrebbe far diventare illegale l’omosessualità [Il Grande Colibrì], che, nonostante la purga di settembre sia solo l’ultima in ordine di tempo di una serie che prosegue da quasi vent’anni, in Egitto per ora non è reato, ma nuove condanne contro cittadini comuni e attivisti per i diritti umani si susseguono dopo gli arresti di settembre [La Tribune].

Il rapporto dell’EIPR

Ma se i media internazionali, anche della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali), sembrano essere passati ad altri interessi, i diritti nel paese continuano ad essere oggetto dell’attenzione degli avvocati e degli attivisti dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (Iniziativa egiziana per i diritti personali; EIPR), che appena un paio di settimane fa ha reso noto un rapporto aggiornato alla fine del 2016 sulle punizioni per le differenze sessuali in Egitto intitolato significativamente “The trap” (La trappola).

Secondo gli attivisti di EIPR Gasser Abdel Razek e Dalia Abdel Hameed, intervistati da Mada Masr, la strategia per riuscire a non soccombere è di lottare per i diritti umani in generale e non specificamente per quelli delle minoranze sessuali, partendo dal diritto all’integrità fisica e da quello alla privacy, anche se questo fa spesso sospettare che si chieda di essere liberi di fare ciò che si vuole purché non lo si mostri, facendo aumentare anziché diminuire l’omofobia che imperversa nella società e nelle istituzioni.

Le raccomandazioni

Il rapporto, che parla delle persecuzioni da parte della polizia, dei processi, della stampa e offre anche alcune testimonianze di vittime dell’omofobia di stato, si conclude con raccomandazioni che di certo non saranno seguite: interrompere la caccia alle persone LGBTQIA, sospendere la pubblicazione delle foto dei sospettati da parte dei giornali, far cadere le accuse legate al possesso di cosmetici femminili e di preservativi come prove di colpevolezza, vietare la pratica degradante e assimilabile alla tortura delle ispezioni anali e garantire i diritti alla difesa degli imputati.

Può sembrare un libro dei sogni, ma il fatto stesso che esista un’associazione ancora disposta a esporsi con un documento del genere lascia sperare che un cambiamento sia possibile, nonostante i recenti giri di vite contro le minoranze sessuali e gli attivisti per i diritti umani. Anche se Abd Al-Fattah Al-Sisi si sta dimostrando più crudele di Mohamed Morsi e di Hosni Mubarak e non sarà facile uscire da questa spirale di intolleranza.

Michele Benini
©2017 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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