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Dopo il brutale assassino di Giulio Regeni, il dottorando italiano ucciso in Egitto dopo essere stato rapito il 25 gennaio, l’opinione pubblica europea sembra aver iniziato ad aprire gli occhi sui misfatti del regime di Abd Al-Fattah Al-Sisi. Gli attivisti per i diritti umani denunciano da anni i crimini della tirannia militare, ma i governi occidentali hanno continuato a garantire la sopravvivenza del regime, mentre i media cantavano le lodi di Sisi, presentandolo come un paladino della laicità contro il fondamentalismo islamico. Con questo complice silenzio, in Egitto continuano a moltiplicarsi le violazioni dei delitti umani. In particolare, la comunità LGBT è diventata il bersaglio di una repressione senza precedenti. Abbiamo ricostruito la situazione in Egitto con Scott Long, autore del blog A Paper Bird e probabilmente il più grande esperto al mondo di questo paese e di diritti LGBT.

Che cosa sta succedendo in Egitto?

In Egitto stiamo assistendo a una vera e propria controrivoluzione, una di quelle che ha avuto più successo nella storia. Persino i Borboni, quando sono tornati in Francia nel 1815, non hanno potuto ripristinare del tutto l’ancien regime. Il governo di Sisi, invece, è riuscito a ricreare la dittatura di Mubarak con un’attenzione al dettaglio degna di un imbalsamatore, ma rendendola ancora più repressiva, minacciosa, brutale e violenta. La sua regola fondamentale sembra essere che Mubarak fallì e fu rovesciato perché era troppo debole.

In che senso?

Mubarak concedeva un po’ di libertà di lavorare alle organizzazioni per i diritti umani, permetteva le manifestazioni di piazza, a volte non gettava in carcere i blogger e i twittatori, dava alla stampa una limitata libertà. Ora sono determinati a non fare gli stessi errori e a reprimere ogni forza indipendente nella società con una crudeltà e un potere assoluti e senza freni.

Quali sono i principali crimini del regime di Sisi?

I crimini più pubblicizzati del regime includono la sua repressione della società civile: i leader di tre delle più importanti organizzazioni egiziane per i diritti umani ora sono sotto processo e rischiano la pena di morte per “aver ricevuto fondi dall’estero”. Un altro centro all’avanguardia nella riabilitazione dei sopravvissuti alla tortura rischia la chiusura. Migliaia di organizzazioni non governative (ONG) sono state chiuse negli ultimi due anni con motivazioni legali pretestuose. Imbavagliano la stampa libera: oggi in tutto il mondo solo la Cina supera l’Egitto nel numero di giornalisti in prigione, secondo il Committee to Protect Journalists (Comitato per la protezione dei giornalisti, CPJ). La maggioranza dei media, domati con il terrore, riporta obbediente solo la linea governativa.

E la polizia?

La polizia è tornata a torturare e a vendicarsi. E non sono mai stati così tanti gli egiziani che semplicemente spariscono, rapiti dalle forze di sicurezza e gettati in campi di concentramento senza che si possa sapere qualcosa su dove siano e su quale sia il loro destino. Ci sono più di 40mila prigionieri politici nel paese, secondo stime del 2015. Alcune delle persone sparite sono vittime di squadroni della morte: studenti e attivisti sono stati rapiti come Giulio Regeni e i loro cadaveri sono stati ritrovati in un fosso dopo giorni o settimane.

Qual è la situazione nel Sinai?

Il governo sta portando avanti una guerra contro una rivolta vicina all’ISIS nel Sinai. Le informazioni sulla guerra sono sotto stretto controllo, ma quasi ogni settimana lo stato rilascia gli ultimi dati sulle vittime: un giorno 36, 117 il giorno dopo. Questo dimostra che i “terroristi” continuano a moltiplicarsi. E fa pensare che la maggior parte dei morti sono semplicemente dei residenti locali, probabilmente dei beduini innocenti, coinvolti in una campagna omicida governativa.

La lista dei crimini governativi è finita?

No, ci sono molte altre forme di repressione meno drammatiche, finalizzate alla distruzione dello spazio pubblico e della sicurezza privata. La capacità di sorveglianza del governo è in continua espansione: hanno comprato software – anche da un’azienda italiana [Daily News Egypt] – che gli permette di monitorare, battitura per battitura, tutto quello che la gente fa su internet. Skype è ora vietato sulle linee dati che la maggior parte delle persone usa per accedere a internet.

C’è altro?

Nel 2014 lo stato ha dato il via a un giro di vite sui bar in centro, costringendone molti a limitare le ore di apertura o a chiudere del tutto, sui venditori ambulanti, che sono una parte essenziale dell’economia e della vita sociale del Cairo, e sulle persone che esprimono opinioni impopolari, come gli atei, che sono diventati un bersaglio particolare della vendetta del regime. C’è sempre meno spazio per condurre una vita normale. Lo stato vuole controllare ogni fessura dell’esistenza.

Tra queste persone impopolari ci sono anche le persone LGBT, no?

Le persone LGBT sono in cima alla lista delle vittime di Sisi: al momento, a quanto sappiamo, ce ne sono più di 250 a scontare una pena detentiva. E questo è quasi certamente solo una parte di un insieme molto più grande, ma è sufficiente per rendere l’Egitto il paese che imprigiona più persone al mondo a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità o espressione di genere.

Il regime militare iniziò subito a perseguitare le persone LGBT…

Penso che quando sono iniziati gli arresti alla fine del 2013, pochi mesi dopo il golpe militare, non ci fosse molta strategia. Ci furono un paio di raid polizieschi su larga scala – uno in una sauna e centro benessere in una periferia operaia del Cairo [Il Grande Colibrì], uno in una festa privata [Il Grande Colibrì] – che le autorità fecero trapelare sui media per ottenere qualche buon titolo.

Qual era la strategia del regime?

In quel periodo il ministero degli interni stava cercando di resuscitare la reputazione della polizia, che era la parte più odiata del regime di Mubarak: dopo la rivoluzione del 2011, la polizia era sostanzialmente sparita dalle strade, ma il suo ritorno era un aspetto fondamentale dei piani dispotici di Sisi. Raffigurare la polizia come impegnata nella difesa della moralità nazionale e nella persecuzione di un gruppo ampiamente disprezzato sembrava un modo utile per aumentare la sua popolarità. Così, con una scelta piuttosto scontata, il ministero degli interni ha incoraggiato le stazioni di polizia locali a arrestare le persone visibilmente LGBT, soprattutto le persone trans. I processi si sono moltiplicati.

Queste motivazioni sono cambiate da allora?

La questione è diventata davvero politica alla fine del 2014, quando c’è stato il caso che ha fatto molto discutere del video amatoriale di due uomini che celebravano una finta cerimonia nuziale. Divenne virale su YouTube, e c’erano buoni motivi per pensare che fosse stata la polizia stessa a metterci le mani sopra e a pubblicarlo. In Egitto scoppiò un grosso scandalo e i rappresentanti esiliati dei Fratelli musulmani iniziarono a twittare che si trattava della logica conseguenza del golpe militare: Sisi stava importando i “matrimoni gay” in Egitto. A quel punto il governo ha capito che era politicamente urgente dimostrare che Sisi, e non la Fratellanza, era il vero paladino dei valori morali egiziani.

Ed ecco Mona Iraqi…

Sì, il famoso raid nella sauna del dicembre 2014 [Il Grande Colibrì] era chiaramente inteso come un processo farsa pubblico per esibire l’impegno dello stato nell’eliminazione della “perversione sessuale” dalla vita nazionale.

E ora? Com’è la situazione ora?

Gli arresti continuano. La polizia sempre più spesso tende trappole su internet, usando Grindr e altre app di incontro. Le persone trans sono ancora particolarmente bersaglio degli arresti e delle torture. A dirla tutto, penso che un motivo sotterraneo dell’intera campagna sia il desiderio del regime militare di imporre le proprie idee normative sulla mascolinità e sui ruoli di genere su una società che ancora gli sembra scivolare fuori dal suo controllo morale. Sin dall’inizio della rivoluzione, i conservatori e i fan di Mubarak hanno dipinto i dissidenti come un mucchio di devianti coi capelli lunghi: uomini che si comportano da donna, accompagnati da donne dalla sessualità sfrenata. La campagna anti-trans è un modo per dimostrare in modo molto pubblico quale punizione attende chi non si comporta secondo il genere assegnato, soprattutto gli uomini che non sono mascolini nel modo giusto.

Quali sono le ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone LGBT?

La repressione ha ormai interrotto o distrutto le reti di amicizia: le vessazioni della polizia contro i luoghi di incontro del centro (per lo più bar) ha terrorizzato molte persone a tal punto da spingerle a non uscire più per rischiare di incontrare dal vivo altre persone LGBT. Per questo, in questo clima di isolamento sociale, le informazioni sulla sicurezza non circolano. E la polizia può raccogliere le proprie vittime una dopo l’altra. Lo spazio di manovra degli attivisti è molto ridotto: i gruppi LGBT sono nascosti e non sono in grado di organizzare nulla di pubblico. Alcuni avvocati e gruppi per i diritti umani cercano di assicurare una difesa legale a chi è arrestato, ma non ci sono abbastanza avvocati a cui rivolgersi.

Come possiamo dare una mano dall’estero?

Immaginarsi dei modi per aiutare questi avvocati a portare avanti il loro lavoro, dal punto di vista finanziario e non solo, è potenzialmente una delle cose più importanti che si possono fare dall’estero. Ma la cosa più importante è fare pressione sui governi affinché la smettano di sostenere il regime assassino di Sisi. Il regime si regge sull’aiuto militare straniero: è arrivata l’ora che i governi dell’Europa e dell’America settentrionale sperano i rubinetti delle armi e del denaro che mantengono al potere i militari.

Meno libertà, meno uguaglianza e meno fratellanza, in cambio di più sicurezza: questa (falsa) promessa sembra riassumere il programma politico di Sisi. Come possiamo contrastare questa retorica reazionaria?

Il discorso retorico è proprio questo, ma credo che il regime di Sisi sia un esempio eccellente e istruttivo di come la retorica sia sconnessa dalla realtà. Il dittatore promette sicurezza, ma in realtà l’Egitto è diventato meno sicuro. La brutalità dello stato nei confronti dei civili serve solo a alimentare la rivolta nel Sinai, che infatti è in costante espansione, almeno da quanto possiamo capire nonostante le bugie ufficiali e il silenzio imposto ai media. L’aereo russo precipitano nella scorsa primavera è stato devastante per l’industria turistica, che è il settore più grande dell’economia. E la guerra si è riversata dentro il Cairo: l’estate scorsa nella capitale quasi ogni settimana sono esplose bombe contro ambasciate, consolati (tra cui quello italiano), stazioni della metropolitana.

Le misure draconiane prese contro le manifestazioni di piazza o l’espressione del dissenso hanno chiuso i normali canali attraverso cui i comuni cittadini egiziani esprimevano lo scontento. Un parlamento eletto in modo fraudolento ignora le richieste del popolo. Il paese sembra vivere una crisi al tempo stesso di breve termine e di lungo termine: da un parte c’è un lento processo di erosione sociale ed economica, dall’altra sembra vicina un’esplosione violenta e improvvisa.

Purtroppo la retorica di Sisi non sembra molto diversa da quella di molti partiti e governi occidentali…

Purtroppo Sisi è un modello tacito di azione per molte forze di destra: negli Stati Uniti, per esempio, Ted Cruz lo ha già citato come un modello. Ma le persone devono venire a sapere non solo che il regime è brutale, ma anche che è auto-distruttivo. Sisi dimostra come il paradigma securitario si rivolta contro se stesso e produce una devastazione sociale e politica. Le persone LGBT sono state delle vittime precoci, ma sempre di più ogni egiziano è una vittima reale o potenziale. L’opinione pubblica occidentale deve prestare attenzione a questo avvertimento, prima che gli occidentali diventino loro stessi vittime di rinnovati cicli di repressione e violenza.
Pier
©2016 Il Grande Colibrì

One Comment

  • Irene ha detto:

    Vorrei ringraziare per il servizio di informazione che offrite, sto scrivendo una tesi di laurea in giurisprudenza sulle tematiche che attengono al diritto islamico e lgbt. Mi occupo anche del caso egiziano e spesso non si trovano informazioni aggiornate per cui il vostro lavoro è veramente apprezzato!

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