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L’amore tra fratelli è incondizionato. Non sai mai quanto li ami finché non accade qualcosa. Puoi dirgli che li odi, ma da qualche parte dentro di te li ami più di quanto pensi. È sempre della massima importanza ringraziare chiunque li abbia portati nella tua vita perché ti daranno più gioia nella vita di quanto tu possa immaginare.

Salman e Aradhiya, di Karachi, in Pakistan, sono come tutti gli altri fratelli, ma ciò che li distingue è il loro status sociale e la loro identità sessuale. Salman è il maggiore dei due e fa da braccio destro a sua sorella minore Aradhiya, che è un grande attivista e sostenitrice di Salman. Lei è transgender, lui si identifica come gay.

Educato ai valori islamici, in un paese in cui essere omosessuale è un reato che può essere condannato con l’ergastolo, Salman ha dovuto affrontare molte difficoltà: è stato vittima di bullismo e discriminazione alle scuole elementari, poi al college e infine sul posto di lavoro. Ha mantenuto forte la sua mente e ha discretamente nascosto la propria identità nei primi anni della sua vita.

Da quando ha pienamente abbracciato la propria identità, non si vergogna più di essere gay e oggi è un noto sostenitore dei diritti delle persone omosessuali in Pakistan. Salman ha iniziato la propria missione da casa sua, il luogo in cui sua sorella minore gli si è dichiarata transgender. In quanto fratello, all’inizio era preoccupato, ma si è ripromesso di sostenere e proteggere Aradhiya.

Oggi Salman è un blogger che scrive in diversi forum locali e globali. Crede nelle proprie idee, che mette nero su bianco in articoli per far sapere al mondo cosa significa essere queer e musulmani in Pakistan. Gestisce anche una pagina Facebook chiamata “Queeristan” che funge da fonte di notizie per segnalare problemi, eventi e sviluppi per la popolazione queer locale e internazionale. Salman è anche associato a un giornale nazionale come vice-direttore e reporter.

Aradhiya è una ragazza transgender di 20 anni, alta, affascinante ed energica, pronta a lottare per l’accoglienza e l’inclusione della comunità trans nella società pachistana. Attualmente è segretaria generale di “Pechra”, un’organizzazione che lavora per i diritti delle persone transgender a Karachi. Ha lavorato come community mobilizer per “Sub Rang”, un’altra organizzazione che lavora a favore della popolazione queer, e come coordinatrice d’area per il “Sindh Transgender Welfare Network” (Rete di assistenza transgender del Sindh).

La sua determinazione è motivata dalla sua partecipazione attiva a vari corsi di formazione e workshop per il miglioramento dello status delle persone trans in Pakistan, ma il suo attivismo non si limita ai diritti trans: ha lavorato in modo indipendente e attivo per l’emancipazione delle donne, contro l’abuso di minori e in diverse altre cause.

I due fratelli si presentano per la prima volta su Il Grande Colibrì come “i fratelli queer del Pakistan“.

queer siblings from pakistan

Come definireste l’amore tra fratelli?

Salman: Da parte mia, definirei l’amore tra fratelli come il fare tutto quello che posso per Aradhiya. È più giovane di me e, in quanto fratello maggiore, sto facendo del mio meglio per aiutarla quando ha più bisogno di me. Condividiamo i nostri segreti e lei mi parla di molte cose che non potrebbe condividere con nessun altro. Il livello di fiducia che abbiamo è indistruttibile.

Aradhiya: Avere un fratello è una cosa, ma avere un fratello queer è un privilegio completamente diverso. Salman è stato il custode dei miei segreti fin da quando riesco a ricordare. Inoltre, è la prima persona con cui ho fatto coming out, quando ero piccolina. È stato lui a farmi sentire normale, mentre tutte le altre persone avevano una reazione molto negativa. Mi ha aiutata nel mio percorso di attivismo e mi ha dato il suo sostegno nella transizione.

Come e quando avete fatto coming out tra voi? “Sospettavate” qualcosa l’uno dell’altra?

S.: Il percorso che mi ha portato a fare coming out è stato molto personale. Ho fatto coming out prima con mia madre e poi con i miei fratelli. Avevamo sempre qualche “sospetto” sulla sessualità l’uno dell’altra. Crescendo ho dovuto nascondere la mia sessualità al mondo in generale, ma essermi dichiarato alla mia famiglia mi ha aiutato. Condividere la mia vita con la mia sorella trans Aradhiya mi ha aiutato ancora di più.

A.: Non c’è molto da raccontare. Lui ha saputo di me fin dall’inizio: insomma, è mio fratello maggiore! Ma non puoi avere certezze fin quando non ti esponi. C’è state un periodo in cui non ero disposta ad accettare la mia realtà perché avevo paura, ma lui mi ha aiutata a fare coming out. È stato un grande sostegno per me. Ricordo un brutto episodio: avevo subito abusi sessuali a scuola e non avevo nessuno con cui parlare, a parte lui. Mi ha abbracciata e mi ha aiutata a superare quel trauma. A volte, mi chiedo quale sarebbe stata la mia vita se non avessi avuto lui.

Il background islamico ha reso difficile il fatto di aiutarvi a vicenda?

S.: All’inizio un po’, ma ora non più: alla fine siamo venuti a patti con le nostre identità queer e trans e la religione non è una grande barriera tra noi.

A.: Fare coming out in una famiglia musulmana non è stato così facile come sembra: ci sono volute molte discussioni estenuanti per far capire le cose a mia madre e agli altri fratelli, ma ora consideriamo questa grande accettazione come una benedizione. È stato molto difficile quando io ho iniziato la mia transizione e Salman si è dichiarato gay, ma quando i nostri familiari e amici hanno visto il nostro lavoro da attivisti per la comunità, ci hanno dimostrato solo apprezzamento. Grazie all’accettazione della cultura hijra in Asia meridionale, essere transgender è molto più sicuro rispetto all’essere gay: sono sempre preoccupata per Salman, perché l’omosessualità non è ammessa nella nostra società islamica.

Il fatto di avere un familiare ad aiutarvi come ha influito sulla vostra personalità?

S.: Mi ha aiutato moltissimo. È un grande aiuto avere qualcuno della tua famiglia al tuo fianco, e Aradhiya mi ha sempre sostenuto.

A.: Ha influito davvero molto sulla mia personalità, dal momento che sapevo che la società non mi avrebbe accettata e avrebbe continuato a non accettarmi. Mi sento felice e al sicuro perché la mia famiglia, specialmente mia madre e i miei fratelli, mi hanno accettata. Ogni volta che sono nei guai, non mi sento sola perché c’è Salman con me.

Avete entrambi lavorato per la comunità. C’è qualcosa su cui non vi trovate d’accordo?

S.: Molte volte non condividiamo la stessa opinione, ma ne parliamo. Personalmente non impongo la mia volontà, ma lei è più giovane e sta imparando che la mia guida è sempre una fonte di saggezza e di conoscenza da seguire.

A.: Ovviamente ci sono cose su cui abbiamo posizioni diverse, ma di solito poi arriviamo a un accordo reciproco. Salman ha più esperienza di me. È diventato giornalista e attivista molto prima di me. È un ragazzo saggio e come sorella minore di solito accetto quello che dice perché credo in lui. Per esempio, siamo entrambi assolutamente d’accordo sul fatto che dovrebbe esserci una maggiore visibilità delle persone gay, lesbiche e bisessuali, proprio come c’è una grande visibilità delle persone transgender in Pakistan.

queer siblings from pakistan

Tenendo conto delle dinamiche della società pachistana, quale primo passo consigliereste di fare alle persone queer per essere accettate dalla propria famiglia?

S.: Le dinamiche della società pachistana sono tali che l’accettazione da parte della famiglia è abbastanza rara, sia che la famiglia viva nel paese o nelle società occidentali più avanzate. Consiglierei ai giovani queer e trans in difficoltà di introdurre l’argomento gradualmente in famiglia, sensibilizzandola passo dopo passo. Vorrei anche consigliare ai giovani LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) di non imporsi mai senza aver prima sensibilizzato la loro famiglia: la reazione non sarebbe esattamente quella che vorreste. Senza una preparazione adeguata, l’accettazione non sarebbe impossibile, ma sicuramente non sarebbe facile. Quindi mettete sempre i vostri familiari alla prova ed educateli prima sui diritti e sulle questioni LGBTQIA, solo dopo apritevi con loro.

A.: Mi contattano persone, anche giovani, che non sono accettate dalla famiglia. Io gli dico di essere se stesse e prima di tutto di accettare se stesse. Le famiglie possono essere ammorbidite se si rimane coerenti, ma si deve fare molta attenzione alla propria sicurezza. Dico alle persone che per me non è stato facile, c’è voluto un sacco di tempo, ma spesso replicano che per me è facile dirlo, ma che la loro famiglia non potrà accettarli. Il mio consiglio è di aspettare e fare sempre un piccolo passo avanti. Se la tua famiglia non ti accetta, almeno tu accetta te stesso e poi vai avanti.

Di cosa abbiamo bisogno nella nostra società per fare in modo che le persone queer siano più accettate all’interno delle proprie famiglie?

S.: Dobbiamo analizzare criticamente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato senza entrare in discussioni sul fatto che essere gay sia buono per l’individuo e per la società: qui stiamo parlando di diritti e del benessere degli esseri umani. Gli esseri umani non sono in grado di trovare nessun altro modo per riscattarsi, perché questo è ciò che sono intrinsecamente, il modo in cui sono nati. Io sono gay, sono nato gay, non posso “curarmi” o cambiare me stesso.

Il percorso che mi ha portato ad aprirmi e ad accettare la mia sessualità non è stato per nulla facile. Un mio parente mi ha fatto outing con mia madre e con mio fratello maggiore, e questo mi ha spaventato molto. All’epoca avevo 19 anni e per 4 anni non sono riuscito a incontrare nessun altro uomo, non ho amato nessuno perché ero troppo spaventato e preoccupato di essere scoperto. Volevo curarmi ma, dopo la morte di mio padre, mi sono reso conto che non potevo nascondermi, non potevo scappare da chi sono.

Sono nato in questo modo e nulla può cambiarlo. Le famiglie devono amare i propri figli e prendersi cura della loro felicità. L’orientamento sessuale e l’identità di genere di una persona devono essere capiti, accettati e amati, i figli non devono essere evitati, non si deve cercare di curarli da ciò che si considera una malattia.

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A.: Viviamo in una società islamica patriarcale e non pensiamo mai di aver fatto tutto il nostro dovere. Apparteniamo ai colori dell’arcobaleno, il che significa anche che saremo sempre in prima linea per tutte le sfide che arriveranno. Sono una donna transgender e le persone continuano a uscirsene fuori con stranezze e con l’idea che una donna trans non sia una donna. Persino gli ambienti più istruiti e femministi in Pakistan non accettano il fatto che le donne trans siano donne. Questo è un enorme problema. Come attivista, mi chiedono se la comunità trans è legata al sex work in Pakistan e la mia risposta è sempre semplice e diretta: se la comunità transgender è legata al sex work, chi sono i clienti? Ovviamente la società stessa. La colpa non è essere una sex worker o una transgender, la colpa è nella mentalità della società.

Cosa rispondete a chi critica la vostra identità sessuale? Quali argomentazioni usate per difendervi l’un l’altra?

S.: Ci sosteniamo con forza reciprocamente. Il nostro orientamento sessuale e la nostra identità di genere sono sacri per noi e anche molto personali. Credo che nessuno abbia il diritto di criticarci e che possiamo non dare importanza alle critiche se siamo a nostro agio e sicuri di noi, di quello che siamo. Dal mio punto di vista, io sono gay, sono nato così e niente al mondo può cambiare questo fatto. Neppure chi ci vede male o chi si oppone a noi può minare il nostro lavoro o la nostra lotta per portare alla luce la difficile situazione della comunità LGBTQIA in Pakistan.

A.: Noi siamo come siamo, dal momento che siamo nati in questo modo. Amo me stessa e il mio corpo. In quanto transgender, ho dei problemi, specialmente quando mi viene chiesto del mito di essere “naturalmente transgender” su diverse piattaforme. Credo che comunque le persone transgender abbiano più diritti di qualsiasi altra categoria queer. La nostra società non ha nessuna tolleranza per lesbiche, gay e bisessuali, e questo deve essere denunciato.

Salman, quali sfide devi affrontare avendo una sorella transgender in una società patriarcale?

S.: Viviamo in una società molto conservatrice, patriarcale ed eteronormativa, in cui le identità queer, transgender e di genere non conforme sono condannate nei peggiori modi che si possano immaginare. Ogni volta che sono con Aradhiya dobbiamo affrontare varie sfide: le prese in giro, le occhiatacce, perfino le molestie. Per noi è stato molto difficile perfino solo tollerare le persone che ci deridono, che deridono soprattutto mia sorella: lei è tutto per me e voglio che sia coraggiosa e sicura della sua identità, non voglio che sia sminuita o ridicolizzata per quello che è.

Ma Aradhiya mi dice sempre di rimanere calmo e di non prendere sul serio chi ci odia. Siamo cresciuti abbastanza felici assumendo questo comportamento: è meglio evitare lo scontro, perché è quello che vogliono questi ragazzi. Questo è lo stesso messaggio che predichiamo a tutta la comunità LGBTQIA: dovremmo essere in pace con noi stessi e non lasciare che gli altri ci feriscano.

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Aradhiya, come fai a far fronte a situazioni in cui le regole orientali ti colpiscono in quanto donna trans?

A.: È difficile essere trans in una società come il Pakistan. La società pachistana è ancora in evoluzione e il termine transgender rimane un tabù. Ci sono molte persone qui fuori che non mi considererebbero una donna. Io appartengo alla tradizionale cultura hijra, quindi ho anche un’insegnante che mi sostiene molto. La maggior parte della comunità transgender in Pakistan si guadagna da vivere chiedendo la carità per le strade, prostituendosi e ballando alle cerimonie. Questi modi di vivere disturbano chi non li condivide. Non è colpa della comunità, ma non è nemmeno colpa mia. La società ha bisogno di capirlo, è su questo che mi concentro: cerco di sensibilizzare le persone che incontro e di spiegare cosa significa essere una persona transgender.

Il Pakistan sta facendo progressi per quanto riguarda i diritti delle persone transgender. E per quanto riguarda la comunità gay del Pakistan? Ha un futuro qui?

S.: Sono abbastanza contento del modo in cui in Pakistan si stiano facendo passi avanti per i diritti delle persone transgender e per l’emancipazione di questa comunità emarginata. Non voglio vantarmene, ma, nel limite delle mie capacità individuali e con l’aiuto della mia sorella trans, sono sempre stato in prima linea per le questioni transgender in Pakistan. Come giornalista, ho scritto ampiamente sulla condizione transgender e sugli sviluppi positivi per questa comunità.

Per quanto riguarda i diritti degli omosessuali, sono meno fiducioso che in tempi brevi ci possano essere cambiamenti che portino a più accettazione o visibilità per la comunità gay e lesbica in Pakistan. Per noi gay è davvero difficile trovare servizi sanitari e persino modelli di comportamento gay positivi a cui i giovani gay possano aspirare. Abbiamo una lunga strada da percorrere. Come attivista gay, il mio principale obiettivo è far vedere che noi omosessuali esistiamo e meritiamo di essere cittadini come tutti gli altri in questo paese. Spero che anche le generazioni future contribuiranno alla lotta per ottenere più uguaglianza e visibilità in Pakistan. Spero nel contributo delle prossime generazioni, ma per ora è molto difficile prevederlo.

A.: Mi definirei fortunata perché i diritti delle persone trans sono stati riconosciuti in Pakistan con la storica “Legge sul diritto alla protezione delle persone transgender“. Le persone transgender hanno un futuro in Pakistan, a meno di sconvolgimenti. Quest’anno le persone trans hanno potuto votare alle elezioni generali e io sono tra le pochissime donne transgender pachistane che hanno ottenuto anche la carta d’identità trans.

Ma la situazione è orrenda per gay e lesbiche. I gay non sono al sicuro in Pakistan. Come sorella minore di un fratello gay, sono sempre preoccupata, soprattutto quando Salman non è a casa e il suo cellulare è spento. Gli può succedere di tutto: qualsiasi fanatico può fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento a un gay come lui. Penso che forse nel giro di 10 anni potremmo evolvere fino a potere almeno parlare di diritti e protezione degli omosessuali. Ma attualmente essere gay è estremamente pericoloso in Pakistan.

A causa delle pressioni familiari, molti pachistani queer finiscono per unirsi in un matrimonio che è in contrasto con il loro orientamento sessuale. Che ne pensate?

S.: Penso che sia un problema nazionale troppo spesso difficile da ignorare. Personalmente non posso sopportare di vedere le vite di donne e uomini queer distrutte da un matrimonio forzato solo per placare le loro famiglie. Sfortunatamente molti dei miei amici gay ora sono sposati e devono portare avanti i loro matrimoni solo per far restare felici le loro famiglie. Se è questo che vogliono questi uomini gay, chi sono io per criticarli?

Allo stesso tempo, vedo molti gay che hanno matrimoni di breve durata, perché le mogli divorziano e loro finiscono depressi. Dobbiamo davvero affrontare la questione seriamente e accettare di più le relazioni omosessuali anche per evitare la distruzione di uomini e donne eterosessuali – in particolare delle donne che, nella nostra società, non hanno altra scelta che sposarsi. Quale crimine hanno fatto queste donne etero per meritare una vita di servitù e schiavitù? Dobbiamo lavorare insieme per ottenere che la comunità LGBTQIA sia più forte e più inclusa per risolvere questi urgenti problemi sociali.

A.: Mi sono imbattuta in molte persone gay e lesbiche che si sono sposate in contrasto con il proprio orientamento sessuale e che di solito soffrono di depressione e ansia. Molte vogliono suicidarsi e, quando hanno un figlio, alla fine la sofferenza viene trasferita anche al bambino. Faccio appello ai genitori affinché cerchino di capire l’orientamento sessuale dei propri figli: è in gioco la loro felicità.

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L’attivismo può mettere a rischio la nostra vita: cosa vi spinge ad andare avanti?

S.: L’attivismo in una società come il Pakistan è un lavoro duro. Mi considero un attivista e giornalista intersezionale perché mi occupo di fare luce sui diritti ambientali, umani e di genere che credo abbiano un impatto significativo sulle vite di tutti. Per esempio, io non sono solo gay, ma appartengo anche a una minoranza etnica. Crescere in Pakistan come persona di lingua urdu è stato difficile sin da quando sono tornato qui da Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, dove sono nato. Il razzismo e la discriminazione che ho affrontato sono stati immensi.

Allo stesso modo, in quanto proletario ho dovuto lottare per il lavoro e per completare la mia educazione, e per questo riesco a collegare le lotte dei gruppi oppressi, che si tratti di lavoratori, donne, non musulmani o minoranze etniche. Lotto per i diritti di tutti, non solo per le minoranze sessuali, contro un regime oppressivo mosso da ideologie retrograde e conservatrici e da un capitalismo clientelare.

Personalmente ho affrontato molte minacce (scontri verbali, attacchi fisici, minacce di morte online…) e sono stato persino detenuto dalla polizia perché sono un attivista per i diritti umani. È piuttosto difficile lottare per qualcun altro. Io lo faccio perché credo che abbiamo solo questa vita per fare qualcosa di buono e allora è meglio contribuire ai cambiamenti e al benessere delle persone a cui teniamo, perché non c’è nulla di più importante che prendersi cura delle persone, dell’ambiente e anche degli animali. Credo nell’altruismo e nella dedizione al proprio lavoro.

A.: Per me è una questione di vita o di morte. Come attivista, quando inizio a parlare di un problema di cui non si è mai parlato, è molto rischioso. Ricevo messaggi e chiamate minatorie, sono stata minacciata di stupro, violenze e persino di morte. Ma quando penso a me stessa come individuo, penso di essere emarginata in ogni modo possibile. Come donna transgender faccio parte di una minoranza di genere, ma sono una minoranza anche perché parlo urdu, perché i miei antenati sono immigrati dall’India al momento dell’indipendenza: tutto questo mi ha resa più forte. Se posso prendere parte al cambiamento della società, perché non dovrei farlo?

Quale messaggio vorreste inviare alla comunità queer del Pakistan e del resto del mondo?

S.: Il mio messaggio alla comunità queer del Pakistan e del mondo è semplice e chiaro: “L’amore è ciò che ci rende ciò che siamo!“. Dobbiamo promuovere l’amore e l’accettazione di tutti quelli che ci circondano, non possiamo discriminare le persone all’interno dei nostri circoli LGBTQIA a causa dell’età, del colore, dell’etnia, della classe o della religione. Non possiamo imporre restrizioni e isolare quelli che pensiamo che non appartengano ai nostri gruppi. Dobbiamo essere orgogliosi delle nostre identità di genere, delle nostre sessualità, del nostro orgoglio, dobbiamo amare e accettare tutti.

Per la comunità LGBTQIA del Pakistan è giunto il momento di essere chi siamo e di resistere alle forze qui fuori che combattono il nostro amore e i nostri sentimenti. Il mio messaggio al mondo è di accettarci come parte della stessa comunità, di accettare l’intera comunità LGBTQIA, a partire dalla maggioranza musulmana e africana, soprattutto nei paesi in cui l’omosessualità è criminalizzata e vietata: siamo “figli dimenticati” di questo mondo le cui condizioni sono ignorate e inascoltate. Abbiamo bisogno del vostro sostegno e del vostro amore: senza il vostro aiuto, sarebbe impossibile per noi abbracciare veramente noi stessi e lottare per più uguaglianza, visibilità e amore per tutti.

A.: Il mondo non è bello come sembra quando lotti per un sacco di cose allo stesso tempo (accettazione personale, comprensione familiare, accettazione sociale…), ma sopravviverai se resterai forte. Non incolparti mai di nulla e non considerarti mai anormale, perché sei normale come qualsiasi persona eterosessuale. Il mio messaggio al mondo è: pace, amore e uguaglianza. Dovremmo aiutarci e amarci senza rancori e cattivi sentimenti. Unità e unione sono l’unica cosa che possono creare un mondo pacifico.

Faysal Zia (Sunny)
traduzione di Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Salman e Aradhiya per Il Grande Colibrì

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