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Bradley Secker (sito web) è un fotoreporter indipendente inglese, che ora risiede ad Antiochia, in Turchia. Con le sue fotografie e interviste racconta storie di persone reali, dando un volto a quei paesi (Iran, Siria, Turchia, Bangladesh, Palestina…) che, altrimenti, rimarrebbero nomi esotici per veloci titoli di TG o per esperti di geopolitica. I drammatici eventi politici e sociali di questa vasta area del mondo forniscono un quadro a queste storie e da queste traggono un senso più profondo, più umano. Il grande colibrì ha parlato con Secker dei suoi reportage sugli omosessuali in Medio Oriente e delle violazioni dei diritti umani che lui documenta.


Nel tuo documentario “Gli indesiderati d’Iraq” (Iraq’s unwanted people; Il grande colibrì), hai presentato alcuni uomini gay che sono fuggiti dall’Iraq per rifugiarsi in Siria. Sono scappati dalla situazione spaventosa che gli omosessuali stanno vivendo in Iraq…

Il grande colibrì, grazie all’importante resoconto del vostro collaboratore Anas da Baghdad, ha dato visibilità ad una conseguenza importante e spesso trascurata del nuovo Iraq: gli omosessuali sono discriminati, sottoposti a violenza, ammazzati. Nel mio breve lavoro multimediale, “Iraq’s unwanted people”, ho cercato di raccontare la storia di chi è riuscito a fuggire dal paese per andare in Siria e come lì conducessero una vita di attesa.

1itQuali sono le loro storie più comuni?

Le storie più comuni tra gli iracheni erano storie di paura, discriminazione e violenza non solo da parte delle loro famiglie, ma anche della comunità e persino di gruppi militanti armati.

Oltre al documentario, hai realizzato alcune interessanti fotografie…

Alla fine del 2010, quando incontrai un folto gruppo di uomini iracheni gay che vivevano a Damasco, in Siria, ho fotografato e intervistato solo quelli che avevano lasciato l’Iraq a causa della propria sessualità o della propria identità di genere, e non quelli, che pure erano tanti, che erano andati via per altre ragioni, pur essendo LGBT.

Questi uomini quali problemi dovevano affrontare in Siria?

In quel periodo, per gli uomini gay iracheni in Siria la situazione era ancora molto incerta. La maggioranza di loro era registrata presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) per il reinsediamento all’estero, anche se non tutti loro se l’erano sentita di rivelare il vero motivo della propria fuga dal proprio paese d’origine, per molte ragioni, il che potrebbe aver avuto conseguenze sui loro dossier una volta spediti alle ambasciate dei paesi propensi al reinsediamento. A quel tempo l’omosessualità era illegale in Siria, e lo è ancora oggi, mentre non è illegale in Iraq, per una specie di triste ironia.

2Quali erano i loro sogni, le loro speranze?

Avendo trascorso molti mesi a parlare con questi uomini ed avendo stretto un buon rapporto con la comunità, ho sentito che la loro speranza era principalmente quella di riuscire a tornare in Iraq a vivere la propria vita o di riuscire a continuare a stare in Siria. Gli uomini, ovviamente, sentivano la mancanza delle loro famiglie, dei loro amici, del loro paese, e si sentivano inquieti a proposito di quello che il futuro gli avrebbe riservato. Impossibilitati a lavorare legalmente in Siria, la maggior parte di loro dovevano fare lavori pesanti e sottopagati per pagare l’affitto. Inoltre, l’attesa infinita e la mancanza di informazioni sul futuro stava facendo pagare loro un pesante conto psicologico.

Altri gay iracheni, ma anche alcuni iraniani, hanno cercato rifugio in Turchia. Tu hai fotografato anche loro…

Sì, ho intervistato e fotografato molte persone LGBT iraniane che ora vivono in Turchia, in attesa di essere reinsediate da qualche altra parte, e anche alcuni uomini iracheni che prima erano scappati in Siria e poi sono venuti in Turchia per sfuggire all’escalation di violenza e alla mancanza di sicurezza all’inizio della rivolta siriana contro il governo nel 2011-2012.

E lì la situazione è migliore? Ricevono qualche aiuto?

Non sono sicuro che la situazione per i rifugiati LGBT sia migliore in Turchia, dal momento che ancora non gli è permesso lavorare legalmente e  che sono collocati in cittadine al centro del paese, senza la possibilità di vivere a Instanbul, Ankara o Izmir (Smirne), cioè in città più grandi e occidentali, con una nutrita comunità gay e uno stile di vita gay. I rifugiati devono registrarsi presso la stazione di polizia ogni settimana, a volte persino tre volte alla settimana. Uno dei vantaggi di stare in Turchia, piuttosto che in Siria, è che l’omosessualità non è considerata reato nel paese, anche se c’è ancora uno stigma sociale sulle persone LGBT e gli attacchi violenti e mortali sono molti.

3L’UNHCR è conosciuto per aiutare i rifugiati finanziariamente, ma questo succede molto raramente. Recentemente ho scoperto che ad un uomo gay iraniano hanno rifiutato il reinsediamento, dal momento che l’agenzia non ha creduto alla sua storia e al fatto che abbia dovuto abbandonare l’Itran a causa della sua omosessualità e del suo stile di vita. In ogni caso non è facile, anche se si sono formate piccole comunità in queste cittadine in giro per la Turchia: perlomeno, c’è senso della comunità.

Documentare le vite dei rifugiati LGBT nel Medio Oriente è estremamente interessante e importante, ma molto difficile, non è vero?

E’ importante per me e, sì, può essere difficile, ma, se avvicini la comunità con un programma chiaro dei tuoi obiettivi, con dettagli sul tuo progetto e con onestà, le persone sono molto accoglienti e aperte.

Come entri in contatto con queste persone? Sono desiderose di raccontare le loro storie o hanno paura di farlo?

Di solito incontro le persone attraverso una rete di attivisti e amici e la rete si estende a partire da lì. Sicuramente ci vuole molto tempo e all’inizio molte persone non hanno voglia di essere fotografate, intervistate o conosciute. Ho molte interviste di persone che non vogliono essere fotografate e anche molte fotografie che non mostrano l’identità della persona.

4I media occidentali come accolgono i tuoi reportage? Di solito sembrano così poco interessati a queste tematiche…

I media occidentali finora non hanno manifestato troppo interesse, anche se molte immagini sono state pubblicate nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Spagna. Credo che i media europei e dell’America del nord preferirebbero vedere da questa regione immagini orientalisticheggianti e vittimizzare i soggetti, piuttosto che vederli come persone molto simili a loro, familiari e forti… almeno questa è la mia opinione personale. Sono soprattutto le pubblicazioni LGBT ad essere interessate ai reportage; a meno che non ci sia una notizia specifica nel soggetto, sembra che i media non siano così interessati.

Qual è la situazione per le persone LGBT turche?

In Turchia l’omosessualità è legale e la vita LGBT, in alcuni posti, può essere aperta e libera, ma questi posti sono limitati alle grandi città della parte occidentale del paese. L’esercito turco non accetta il reclutamento di uomini omosessuali o transessuali e richiede fotografie degradanti della persona che viene penetrata analmente, mentre sorride alla telecamera, seguite poi da un esame medico. Chiaramente le persone LGBT non sono accettate come socialmente o culturalmente uguali nella società.

E per quanto riguarda le persone LGBT curde?

Le persone curde sono unite da una battaglia, a quanto ho potuto vedere: combattono per farsi accettare dai movimenti LGBT in città come Instanbul e Ankara, ma spesso non riescono ad ottenere granché come sostegno finanziario o morale perché sono curdi e si ha paura ad aiutarli; d’altra parte, i curdi LGBT in Turchia cercano di unirsi alla lotta dei movimenti politici curdi, ma non riescono a farsi accettare a causa della loro identità LGBT. Stanno spingendo per una terza via, con le donne curde ed altri gruppi minoritari della regione orientale, ma non è facile.

5Nel tuo sito i nostri lettori possono vedere anche una bellissima galleria sull’immigrazione illegale dalla Turchia alla Grecia. L’Unione Europea si presenta sempre come una insegnante attenta al rispetto dei diritti umani negli altri paesi, ma diventa una cattiva apprendista quando deve accogliere chi fugge dalla guerra o dalla persecuzione. Intanto, in molti paesi europei, alcuni partiti xenofobi, come Alba Dorata in Grecia, ottengono buoni risultati. Sembra che, per i cittadini europei, sia sempre più difficile riconoscere l’altrui umanità nei volti e nelle fotografie dei migranti. I fotografi e i fotoreporter quale ruolo possono avere per affrontare questa sfida?

E’ una domanda tosta… Io non credo che i fotografi e i fotoreporter possano cambiare la mentalità dei membri dei gruppi di estrema destra e anti-immigrazione, come quelli che hai menzionato, e non credo che la fotografia serva a persuadere o a sostenere programmi politici. Serve a documentare la realtà. Sicuramente è di importanza vitale per documentare la realtà di quello che sta succedendo nel mondo e nell’UE riguardo alla migrazione illegale, ma non penso che i fotografi possano fermare movimenti intransigenti da entrambi i lati.

A quale progetto stai lavorando attualmente? Quali storie racconterai con i tuoi reportage futuri?

Attualmente risiedo in Turchia meridionale e sono in questo paese da più di un anno ormai. Sto lavorando su molte storie dentro e intorno alla Siria: i civili coinvolti nel conflitto, le ramificazioni dei combattimenti, la politica e la carenza di forniture umanitarie, eccetera… Inoltre, sto continuando a documentare le vite delle persone LGBT nella regione quando non lavoro per qualche incarico, ma negli ultimi tempi è stato difficile trovare il tempo e i fondi. Ho in mente molte parti del progetto LGBT, ma ho bisogno di essere sicuro nei finanziamenti o nella pubblicazione per scattarle. Per quanto riguarda il futuro, rimarrò in questa regione per il prossimo anno, a lavorare su un mix si incarichi commerciali e editoriali, oltre che su lavori personali.

 

Pier
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