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La caccia agli omosessuali annunciata in Tanzania è partita o si è rivelata una bolla di sapone? Il governo ha sconfessato il progetto o ha iniziato a portarlo avanti? C’è stata un’esplosione improvvisa di omofobia o tutto procede come prima? Le notizie si accavallano e si contraddicono, dipingendo un quadro incoerente e difficile da capire. Per questo è necessario fare il punto della situazione.

Makonda minaccia i gay

Paul Makonda, governatore regionale di Dar es Salaam, la città più grande e importante della Tanzania, ha annunciato il lancio di una grande caccia all’omosessuale sul territorio che amministra. Questa caccia si sarebbe dovuta avviare a partire da una lista di un centinaio di nomi redatta grazie a oltre 5mila delazioni da parte di cittadini. Makonda ha anche promesso di costituire una squadra speciale di 17 persone per individuare gay e lesbiche sui social network. E altre minacce hanno colpite le persone che si prostituiscono.

Dopo le denunce delle organizzazioni per i diritti umani e le pressioni soprattutto dell’Unione Europea (UE), il governo ha rassicurato l’opinione pubblica mondiale: il ministero degli esteri ha liquidato tutto come una “opinione personale” di Makonda e ha assicurato che la Tanzania “continuerà a rispettare tutti gli accordi internazionali sui diritti umani firmati e ratificati“… senza però accennare al fatto che i rapporti omosessuali nel paese continuano a essere puniti anche con l’ergastolo!

La caccia al gay è un fiasco?

Se, stando alle promesse di Makonda, questa settimana avrebbe dovuto segnare il finimondo per la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) di Dar es Salaam, sembra che alla fine non sia successo nulla. Anzi, qualcosina è successo: Makonda è scoppiato a piangere in chiesa e le sue foto in lacrime sono finite su tutta la stampa locale, che le ha usate per sottolineare il “fiasco del giro di vite contro i gay“.

Ma questo giro di vite doveva partire davvero? Boniphace Jacob, sindaco di Ubungo, circoscrizione all’interno di Dar es Salaam, spiega che Makonda non ha mai proposto nulla del genere agli organi regionali e lo accusa di cercare di distrarre l’opinione pubblica dai propri fallimenti in ambito economico lanciando l’ennesima provocazione (il governatore è infatti noto per le sue idee “stravaganti”, mai realizzate, dai test HIV porta a porta alle campagne per ritrovare i padri dei bambini abbandonati, fino alla “caccia ai drogati”). Insomma, sono state solo parole. O forse no.

“Gay” arrestati a Zanzibar

La polizia di Zanzibar ha ricevuto una soffiata: era in corso un matrimonio omosessuale. Per questo gli agenti hanno fatto irruzione in una festa notturna sulla spiaggia. Sei persone sono riuscite a fuggire, ma le forze dell’ordine hanno comunque arrestato dieci uomini sospettati di essere gay: l’arresto è stato motivato con il semplice fatto che i dieci presunti omosessuali sedevano a coppie (sic!). Gli uomini sono stati rilasciati perché, come ha spiegato la polizia, “non abbiamo ancora trovato prove di atti illeciti“. Tuttavia, secondo l’avvocato che difende gli arrestati, è probabile che tornino in carcere presto.

C’è un legame diretto tra le parole di Makonda e le azioni sbirresche? Se c’è, non è diretto: Dar es Salaam è sul continente, mentre Zanzibar è un’isola autonoma con un proprio codice penale. Tuttavia questo arresto di massa “dimostra quanto è pericolosa la retorica incendiaria e discriminatoria degli alti livelli di governo – denuncia Seif Magango, vicedirettore di Amnesty International per l’Africa orientale – Ora temiamo che questi uomini siano obbligati a sottoporsi ai test anali, il metodo preferito del governo per ‘provare’ i rapporti sessuali tra uomini“.

La persecuzione continua

Insomma, un legame diretto non c’è, ma c’è un legame indiretto, al tempo stesso più vago e più profondo. Perché le minacce di Makonda non sono spuntate dal nulla: sono espressione di un atteggiamento tipico del potere in Tanzania. Come scrive candidamente The Citizen, “le leggi della Tanzania criminalizzano le relazioni omosessuali, ma è stato il modo in cui Makonda voleva rafforzare la repressione a suscitare le ire di osservatori e attivisti per i diritti umani sia locali che internazionali“.

Quello che molti all’estero sembrano essersi dimenticati è che in Tanzania gli omosessuali sono perseguitati abitualmente. E neppure la “caccia al gay” è una novità: per fare un esempio, l’anno scorso ci furono due arresti di massa nell’arco di poche settimane, con 20 arresti a Zanzibar in settembre e altri 13 a Dar es Salaam in ottobre. La situazione in Tanzania è radicalmente cambiata già dal 2015, con il nuovo presidente John Magufuli che ha deciso di usare l’omosessualità (“un male da estirpare“) come capro espiatorio.

La memoria corta dei media

Se alcuni media hanno coperto le vicende tanzaniane in modo corretto (per fare un esempio italiano, si può citare GayNews, che ha organizzato anche un sit-in per lunedì a Roma), alcuni grandi siti LGBTQIA hanno distorto le notizie per suscitare più clamore (la lista dei presunti gay è diventata di 5mila nomi, mentre la promessa di una squadra per individuare gli omosessuali online si è trasformata in uno squadrone già sguinzagliato a fare raid casa per casa). In altri casi, invece, si è festeggiato il lieto fine con Makonda messo all’angolo.

Ma tanto il sensazionalismo quanto la versione “e vissero tutti felici e contenti” finiscono per nascondere (proponendone un altro immaginario o dando una versione edulcorata della realtà) il problema più grande: la Tanzania non ha intenzione di perseguitare gli omosessuali, perché li perseguita già. Da questa prospettiva, le parole di Makonda non segnano una svolta, ma solo l’inasprirsi di una situazione già drammatica.

Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Rasheedhrasheed (CC BY-SA 4.0)

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