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Se la premessa “Io non sono razzista ma…” fa subito scattare il campanello d’allarme su quanto discrimini chi la pronuncia, l’espressione “Ho molti amici gay” é una spia altrettanto sicura del contenuto omofobico che sta per essere proposto. E quando poi l’incipit è pronunciato da un personaggio pubblico o da un politico, il dubbio diviene certezza.

Filippo Maria Battaglia, che già tre anni fa ci aveva regalato un pamphlet sul maschilismo della classe politica italiana da Togliatti a Grillo, con il titolo evocativo: “Stai zitta e va’ in cucina” (Bollati Boringhieri 2014, 10€, 114 pp.), ha appena pubblicato, con il medesimo editore, una raccolta di perle di omofobia parlamentare dei politici italiani e l’ha proprio intitolata “Ho molti amici gay. La crociata omofoba della politica italiana” (11€, 135 pp.). Anche in questo caso il risultato è brillante e spesso inatteso: sappiamo tutti dell’omofobia di piccoli personaggi come Gasparri, Giovanardi e Binetti, ma pochi di noi conoscono quella dei “compagni” (più comunisti che socialisti) e di persone che ci saremmo aspettate più tolleranti.

Una premessa, che sembra favorevole alla nostra classe dirigente, va fatta: l’Italia, a differenza di quasi tutti gli stati europei, non ha mai avuto una legislazione che criminalizzava l’omosessualità.

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Il silenzio come repressione

Ma mentre tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 le due Germanie, la Gran Bretagna e la Francia si muovono per rimuovere la condanna legale di quello che la scienza medica non definisce ancora un orientamento sessuale ma una malattia mentale, nel Belpaese un sondaggio del 1979 rivela che più della metà degli italiani considera l’omosessualità come una malattia o un disturbo (e la situazione non sembra essere troppo migliorata se oggi la metà degli italiani intervistati per un sondaggio europeo pensa che gli omosessuali sarebbero meglio accettati se fossero più discreti e il nostro paese si porta a casa la palma del più omofobo per battute allusive nei confronti delle persone gay).

Avere una legislazione tollerante non significa avere migliori condizioni di vita: nell’essere repressi c’è quantomeno il riconoscimento dell’esistenza, mentre il silenzio la cancella. È così fin dai tempi di uno dei primi ministri della giustizia del regno d’Italia, che nel 1887, presentando il primo codice penale italiano, aveva argomentato come “l’ignoranza del vizio riesce più utile della sanzione”. Un secolo dopo, senza che l’aula si ribelli come dovrebbe, il deputato Carlo Tassi (MSI) concluderà il sottinteso di Zanardelli spiegando che Mussolini pensava che “quei fenomeni non vanno pubblicizzati neppure attraverso l’indizione di sanzioni: bastano le mani, anzi i piedi degli squadristi”.

L’intolleranza dei comunisti

Certo, Tassi è un fascista e tanti sono fascisti come lui. Ma che dire del Partito Comunista Italiano, che il 29 ottobre 1949 espelle “per indegnità morale” Pier Paolo Pasolini? E in documenti ufficiali e organi di partito rimarca “i più deleteri aspetti della degenerazione borghese” propugnata da Andrè Gide e Jean-Paul Sartre? Il volume cita numerosi episodi di omosessuali comunisti costretti a celare la propria identità o trasferiti in altre regioni per evitare pettegolezzi. Su tutto aleggia il fastidio che questi temi “borghesi” (l’essere gay ben prima dei diritti) possa distrarre dal grande obiettivo che è sempre, ovviamente, la rivoluzione.

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Ma chissà perché anche quando i comunisti smettono di voler cambiare il mondo e abbandonano perfino il nome che li ha resi così difficili da digerire per il resto del panorama politico, l’atteggiamento non cambia. E così, mentre in parlamento si discute una proposta per una forma di PACS (è il 2006), Massimo D’Alema si sfoga con un attacco alle cose “che non contano”: “È mai possibile che i problemi dell’Italia siano i PACS o la TAV? Ci siamo fatti incastrare a discutere di questioni marginali rispetto ai problemi del Paese”.

Le battaglie dei radicali

Del resto da Togliatti in giù molti dirigenti comunisti sono scivolati malamente su questo tema che è stato – come molti altri – portato alla ribalta dal Partito Radicale che fece sue le battaglie del FUORI, fondato nel 1971 da Angelo Pezzana. Probabilmente, più che per ogni altra ragione, perché l’Italia è un paese del “si fa ma non si dice” per tutto quello che è connesso alla sessualità. Un paese di tartufi, più che di bigotti.

Ma con una classe politica ancor oggi molto impreparata. Come dimostrano le difficoltà anche solo ad intraprendere lotte per qualunque diritto civile, sia quello di una cittadinanza per le seconde generazioni di immigrati, sia per decidere il proprio destino o – “Dio liberi!” – per avere dei figli pur essendo una coppia dello stesso sesso…

 

Michele
©2017 Il Grande Colibrì

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