Skip to main content

Il Sudafrica non solo è uno dei 19 stati africani che non criminalizzano l’omosessualità, ma è anche l’unico paese del continente a garantire protezione costituzionale sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. L’assetto legale lo ha reso uno degli stati africani più progressisti in materia e il paese è diventato negli anni un approdo per tantissimi rifugiati LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali). Ma, sebbene da un punto di vista legale la tutela delle persone della comunità LGBTQIA sia garantita, in realtà i richiedenti asilo per orientamento sessuale e identità di genere continuano a subire numerose violenze e discriminazioni.

Le principali motivazioni alla base di questo gap tra leggi e applicazione pratica sono classificabili in tre livelli.

1. Protezione non riconosciuta

Il primo, che purtroppo è comune a molti stati, è la difficoltà da parte dei richiedenti LGBTQIA di vedere riconosciuto lo status di rifugiato. Secondo uno studio del Legal Resource Centre, in Sudafrica molte domande di asilo sono state rigettate perché a chi chiede protezione non è stata riconosciuta come fondata la paura di essere perseguitato nel paese di origine, poiché l’individuo non aveva prove di esperienze passate di persecuzione, sebbene questo sia in chiaro contrasto con le linee guida dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR). Lo studio dimostra quindi come spesso il sistema sudafricano non sia stato capace di trattare adeguatamente i casi di rifugiati LGBTQIA.

Leggi anche: Asilo per LGBT, il no è motivato da diffidenze e stereotipi

2. Discriminati dai connazionali

Una volta ottenuto lo status di rifugiato, la vita di chi fugge dal proprio paese a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere non diventa più facile. Infatti, molto spesso queste persone si trovano a dover combattere contro l’omofobia e la discriminazione degli altri rifugiati. Non sono infatti rari gli episodi di violenza da parte della comunità dei connazionali eterosessuali, come nel caso di Ishmael, un ragazzo somalo che, dopo essere fuggito dal suo paese per le minacce di morte da parte della sua famiglia, è stato picchiato molte volte da vari connazionali rifugiati come lui in Sudafrica.

La mancanza di una comunità di riferimento lascia soli i rifugiati LGBTQIA, che molto spesso vengono emarginati sia dalla società ospitante che da quella immigrata, come spiega anche Melanie Nathan, direttrice dell’African Human Rights Coalition (Coalizione africana per i diritti umani): “I rifugiati e richiedenti asilo LGBTQIA hanno bisogno di una protezione extra, perché sono ostracizzati anche dalla popolazione rifugiata dei connazionali eterosessuali“.

Leggi anche: Centri per richiedenti asilo LGBT: privilegio o protezione?

3. L’omofobia dei sudafricani

Un ultimo aspetto da sottolineare è la chiusura da parte della popolazione sudafricana stessa. Un sondaggio, condotto dall’associazione sudafricana OUT su più di 2mila LGBTQIA, ha mostrato come in due anni il 39% degli intervistati è stato insultato, il 20% minacciato con forza, il 17% inseguito e il 10% attaccato fisicamente. Il clima ostile si riflette anche nel fenomeno tristemente noto nel paese dello “stupro correttivo”. Per porre fine a questa violenza, nel 2011 il ministero della giustizia ha deciso di creare una task force.

L’omofobia dalla quale molti rifugiati scappano, spesso continua a inseguirli anche oltre i confini del paese d’origine, proprio nel luogo che dovrebbe invece accoglierli e farli sentire al sicuro. Nonostante l’apertura legale, il Sudafrica non è riuscito negli anni a proteggere i rifugiati LGBTQIA e questo mostra la necessità di sradicare l’omofobia e l’urgenza di creare spazi sicuri per quei rifugiati che più di altri si trovano in una condizione di insicurezza e marginalizzazione.

Antonella Cariello
©2020 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

Leave a Reply