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La transessualità è il tema scelto dai militanti algerini per inaugurare “El Shad'” (L’anormale), la prima rivista LGBT del paese che ha lo scopo di “mostrare la forza dell’eterogeneità a chi pensa che la diversità sia una tara”, in “un paese che guarda con sospetto ogni differenza”, come scrive nell’editoriale di apertura O. Harim, l’attivista che ha analizzato le presidenziali algerine da un punto di vista LGBT sul Grande Colibrì. Il giornale online [Madmagz], che sostiene “le lotte femministe e le altre lotte per una società meno timorosa del cambiamento”, punta a “mostrare agli altri che siamo come loro: diversi. E che questa differenza è una forza”. Tanto per sostenere questa sfida, quanto perché questa sfida ha molto da insegnare anche a noi, Il grande colibrì proporrà nel corso dei prossimi mesi alcuni articoli della rivista tradotti in italiano. Iniziamo con l’intervista a Estelle (nella foto).

Per cominciare, puoi descriverti in poche parole?

Ho 38 anni e sono transessuale dal 2005. Ho passato dei momenti difficili prima della transizione, ma alla fine ho trovato il mio equilibrio.

Come ti definisci? Come una donna, come un uomo o come una persona che appartiene a un altro genere?

Mi definisco come una donna, anche se non ho fatto un’operazione di rettificazione del sesso e non ho intenzione di farla.

Com’è stata la tua infanzia in Algeria?

Sono cresciuta in una famiglia molto conservatrice e molto orgogliosa. La mia infanzia si è conclusa a 11 anni, quando mio padre mi fece subire un trauma: non dovevo più parlare gesticolando e non dovevo più giocare con le mie cuginette. Mi chiudevo in camera mia e ci restavo per delle ore. A volte mi addormentavo senza aver mangiato, anche durante il Ramadan. C’era una cugina con cui passavo il mio tempo libero e mio padre le proibì di venire a trovarmi perché pensava che fosse colpa sua se ero effeminato. Non avevo diritto ad avere nessun amico, né ragazze né ragazzi. Non andavo a nessuna festa.

Poi ci si è messa anche l’intransigenza della gente. Raccontavano a mio padre delle frottole, ad esempio che mi truccavo. Quante volte sono andata a scuola con i lividi perché mio padre mi aveva picchiata, spesso usando la cintura… E mio fratello non esitava ad umiliarmi, a dirmi che disonoravo la famiglia, che, fosse stato per lui, non avrebbe esitato ad uccidermi. A 17 anni ho avuto voglia di farla finita: non c’era nessuno al mio fianco, non c’era nessuno a sostenermi. Sentivo il bisogno di liberarmi dalla mia sofferenza. Le uniche cose che potevo fare erano andare al liceo e tornare subito a casa, altrimenti venivo accolta dall’aggressività di mio padre e di mio fratello maggiore.

Che tipo di relazione avevi con tuo padre?

Non ho mai conosciuto l’amore di mio padre. Lui non mi ha mai abbracciata, non mi ha mai consolata, la vergogna per questo Salah [nome di Estelle da bambino; NdR] lo colpiva con forza, lo umiliava. Mi ha anche vietato di andarmene in Francia. Ho potuto concludere le pratiche per l’espatrio solo di nascosto da mio padre.

Quanti anni avevi quando hai capito di non essere un ragazzo?

Quando ero piccola, per molto tempo ho scelto quali giochi fare senza preoccuparmi se fossero “adatti” al mio genere o no. Giocavo con il trenino, ma anche con le bambole. Con le vicine, giocavamo anche a fare le signore, ognuna di noi faceva la madre di famiglia. Mi piaceva anche indossare vestiti femminili: ero gelosa delle mie sorelle per come si vestivano. Verso gli 11 anni non ho più potuto giocare con le mie cugine e con le mie amiche. Potevo rimanere con loro solamente quando non c’era mio padre, ma, non appena sentivo che lui o mio fratello maggiore stavano rincasando, correvo in camera mia e mi chiudevo dentro, perché sapevo che se mi avessero visto con le cugine sarebbero andati su tutte le furie.

E quanti anni avevi quando lo hanno scoperto i tuoi genitori?

Mia madre l’ha saputo quando avevo circa sei anni. Uno zio di Berlino le aveva detto che non ero normale, che dovevo andare a farmi vedere da un medico. Mi sono stati prescritti degli ormoni maschili, ma mio padre si è opposto. Mia madre ce l’ha ancora con lui: per lei quella sarebbe stata la soluzione per trasformarmi in un ragazzo. Verso gli 11 anni il mio modo di gesticolare e la mia voce divennero un problema. Allora mio padre mi iscrisse in una palestra di culturisti.

Avevo 16 anni quando mio padre entrò in camera mia e mi chiese perché mi mettevo dei profumi da donna, se avevo voglia che gli uomini mi annusassero. Gli risposi che mi sentivo donna: fu l’apocalisse. Da allora non potei più fermarmi fuori dopo il liceo: basta amici maschi che potessero considerarmi come una donna, basta amiche femmine che potessero trasmettermi la loro identità. Ero una prigioniera. Quel periodo è ancora molto presente anche adesso, anche qui in Francia. Quante volte ho fatto incubi in cui Salah è ancora in Algeria!

Hai appena parlato di un medico: hai già visto degli psicologi?

Mia madre mi ha portato da uno psicologo in centro a Orano [città dell’Algeria nord-occidentale; NdR]. Dopo avermi fatto domande sulla mia sessualità, ha iniziato a cercare soluzioni basate sulla religione islamica senza capire davvero il mio sgomento. Ho deciso di non vederlo mai più. Mia madre è stata comprensiva. Qualche anno dopo, mia sorella si è laureata in psicologia infantile e si è fidanzata con un futuro medico. Lo ha sfinito sulla questione di me e della mia diversità, finché lui non mi ha trovato un altro psicologo religioso. Mi sono pure beccata uno psichiatra e un esorcista, perché mio padre aveva paura che fossi posseduta da uno spirito femminile.

Durante l’adolescenza come hai vissuto i tuoi cambiamenti fisici? Come hai vissuto il fatto di non avere seni come le altre ragazze?

Non mi sono mai persa troppo dietro le considerazioni sul fisico, perché non mi faccio obnubilare dalle regole. Ho sempre accettato il mio sesso maschile, ma non il mio genere maschile. Ho il seno, ma al mio pene ci tengo. Sono una donna speciale, una donna con un organo sessuale maschile. Quello che gli altri possono vedere non è il mio sesso: è il mio genere. E’ il mio genere che mostro agli altri nella vita di tutti i giorni e al lavoro. A crearmi dei problemi era soprattutto il mio nome: Salah non mi rispecchiava, perché io non sono Salah.

E la tua sessualità in Algeria?

Quando ero più piccola, verso gli 8-9 anni, i miei cugini venivano a strusciarsi contro di me. Ed è andata avanti così fin quando ho avuto 17 anni. E poi c’erano anche i miei vicini di casa: con uno di loro avevamo rapporti carnali. Non ho mai avuto desiderio di uscire con una ragazza, né per una relazione affettiva né per una relazione sessuale: sono eterosessuale al 100%.

E l’amore?

In Algeria ho vissuto solamente delle relazioni virtuali con i ragazzi. La più importante è durata tre anni: lui si chiamava Hamza e lavorava per Sonatrach [azienda pubblica petrolchimica algerina; NdR]. Era un amico della mia migliore amica Liza. Lui non aveva il telefono e i nostri scambi avvenivano tramite Liza. Non ci siamo mai incontrati.

Dopo tre anni si è dovuto trasferire nel sud del paese. Allora, per tenergli compagnia – così mi ha detto – mi ha chiesto di farmi delle foto, per avermi sempre accanto a lui. Sono andata dalla mia vicina, truccata e con indosso un bel vestitino, e mi sono messa in posa per lui. Dopo qualche settimana, mio padre ha ricevuto una lettera con tutte le mie foto. La lettera diceva che ero un abominio. L’aspetto divertente di questa storia è che mio padre ha pensato che fosse un ricatto, che questo ragazzo mi stesse facendo questa cosa perché mi ero rifiutata di andare a letto con lui. Non ho più saputo nulla di Hamza.

Hai iniziato a prendere ormoni femminili in Algeria?

Ho iniziato prendendo la pillola di mia madre, ma poi, dal 1998, una vicina me ne portava dall’ospedale. Era facile avere gli ormoni. Si potevano anche fare delle punture, ma non ne avevo voglia. Gli ormoni servivano soprattutto per il mio seno, ma non avevo più nessun desiderio sessuale e ciò mi destabilizzava.

Parliamo adesso della tua maturità. Cos’hai fatto per il servizio militare?

Io e una mia amica dovevamo andare in Tunisia e per questo mi serviva la carta militare per poter viaggiare. A quanto ho capito, mi hanno considerata come un omosessuale e per questo mi hanno riformata.

E il lavoro?

Per i miei genitori questo era un problema, perché per lavorare dovevo ovviamente uscire di casa. Ma ho potuto lavorare come segretaria grazie a una conoscenza di mia nonna. Dopo qualche settimana ho dovuto smettere, perché il mio aspetto non corrispondeva alla mia voce. E’ l’unica esperienza di lavoro che ho avuto in Algeria.

Hai avuto contatti con gli islamisti in Algeria durante il decennio nero della guerra civile (1991-2002)?

La mia famiglia era molto religiosa. Mio zio era il muezzin della moschea del nostro quartiere e mi proibiva di andare a casa sua anche se abitavano proprio sopra di noi. Ma la cosa peggiore è stata una lettera che ho ricevuto un giorno. Un uomo bussa alla porta e mi consegna una lettera. C’era scritto che se ero ancora viva era solamente grazie alla reputazione di mio padre, che dovevo rimanere discreta e che se continuavo mi avrebbero uccisa. Non sono uscita di casa per settimane. Qualche anno dopo, durante una discussione con mia sorella, lei scoppiò a ridere e mi confessò che era stata lei a scriverla, con il suo fidanzato, per farmi rientrare nei ranghi.

E ora cosa ti aspetti dal futuro?

La vita è una liberazione. Voglio dire alla gente che esisto. Ci saranno sempre alti e bassi, ma sono pronta a raccontare la mia vita, per poter dire alle persone come me che possiamo farcela. Ma più passa il tempo più diventa grande la paura della morte, di essere lontana dai miei affetti, di non stare con loro a causa del mio seno. Ho voglia di amare un uomo, ma non per forza di essere madre di famiglia: questa responsabilità mi metterebbe troppa paura. Conosco i tormenti di un bambino amato male.

intervista tratta da El Shad’, n. 1
traduzione di Pier
©2014 El Shad’ – Il Grande Colibrì

3 Comments

  • Patricia Moll ha detto:

    Veramente interessante l'articolo.
    Rende bene l'idea di cosa siano i pregiudizi soprattutto a sfondo religioso. Di quanto è dura la vita per un essere umano che non si conforma alle regole. Regole stabilite poi da chi?
    La verità è che siamo tutti diversi. Chi alto e chi basso, che snello chi obeso chi biondo e chi rossiccio. Ma non si fanno discriminazioni simili.
    Perchè farle allora in base alla sessualità?
    Forse tu ne sai più di me in questo campo per questo voglio porti una domanda. Da qualche parte, su qualche libro sacro c'è scritto che l'omosessualità è peccato ma quanto alla legge… come può una legge decidere come si deve praticare il sesso?
    Scusa se la domanda è polemica ma proprio questa faccenda della discriminazione a sfondo sessuale contro le donne o i gay mi sta sull'anima.
    Conta l'onestà di fondo, l'umanità, il senso di appartenenza a questa intera umanità non il modo di fare sesso.
    Ciao

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Esiste solo una risposta, credo: la laicità delle leggi e delle istituzioni. Solo la laicità garantisce i diritti degli individui e la pacifica convivenza. Per questo è un valore irrinunciabile.

    • Patricia Moll ha detto:

      La laicità sarebbe cosa buona e giusta ma una certa apertura mentale la rafforzerebbe.
      Purtroppo sembra in crescita anche il machismo più bieco. Per moda o convinzione non so dirti però oggi come oggi certi maschi stanno ritornando cavernicoli con gli omosessuali e con le loro donne.

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