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Gli abusi e le violenze commessi dalle forze di polizia nei confronti delle minoranze e dei più deboli sono un argomento di importanza fondamentale e di cui, soprattutto nell’ultimo periodo, si è cominciato molto a parlare. Non potrebbe essere altrimenti, visti i drammatici fatti di cronaca che nelle ultime settimane hanno sconvolto gli Stati Uniti.

L’omicidio di George Floyd, il 46enne afroamericano deceduto durante un violento fermo di polizia, ha scosso profondamente gli animi dei cittadini statunitensi e con loro anche quelli del mondo intero. Proteste, manifestazioni, marce e cortei si sono susseguiti negli USA come in molti altri paesi del mondo e in pochissimi giorni abbiamo assistito a una generale mobilitazione di massa per chiedere la messa al bando del razzismo e di ogni altra forma di ingiustizia sociale.

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È un passo in avanti a mio parere importantissimo, che mi auguro di vero cuore possa servire davvero a cambiare il corso degli eventi e, forse, anche della storia. Al contempo, non posso fare a meno di chiedermi quante altre storie di vita e di umiliazione sono state – e sono – sepolte sotto un cumulo di omertà. Quanti esseri umani hanno subito e subiscono ancora oggi in silenzio? Molti, troppi. Senonché, alla fine, qualche anima coraggiosa decide finalmente di rompere il silenzio e di svelare ciò che troppo spesso rimane ignorato.

La storia di Maha

Maha al-Mutairi è una donna kuwaitiana di 38 anni ed è già stata arrestata quattro volte con l’accusa di “essersi finta una donna“: per quanto possa sembrare incredibile, a partire dal 2007 le leggi del paese mediorientale criminalizzano apertamente la transessualità e rendono estremamente dolorosa e complessa l’esistenza delle donne come Maha. Che, pochi giorni fa, quando per l’ennesima volta la polizia l’ha fermata e condotta in prigione, ha deciso di ribellarsi e di postare un video che è divenuto presto virale.

Con la voce rotta dall’emozione, la donna ha raccontato la sua terribile esperienza in un carcere maschile dov’era stata costretta a rimanere per ben sette mesi. L’accusa, anche in questo caso, era di aver “tentato di imitare il sesso opposto“. “Io sono una donna. Sono nata donna ed ero una donna anche quando mi avete portato in prigione!” ha sottolineato Maha, ripercorrendo gli episodi di violenza che hanno segnato il suo periodo in carcere.

Come lo chiamate, voi, il fatto che pur essendo femmina sia stata costretta a vivere in un carcere per soli uomini, con i poliziotti che entravano nella mia cella per mettermi le mani addosso e anche stuprarmi?” ha chiesto ancora la donna. E come chiamare i molteplici e ripetuti abusi che secondo Shaikha Salmeen, l’avvocata che difende al-Mutairi, la donna ha subito durante il suo arresto recente? Come definire il fatto che durante i tre giorni passati in cella Maha sia stata aggredita sessualmente e verbalmente e le siano stati riservati insulti e sputi? Come descrivere il fatto che le donne transessuali in Kuwait subiscano un numero incalcolabile di intimidazioni, offese, umiliazioni, abusi fisici e psicologici?

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Indignarsi e agire

Guardare il video postato da Maha è, lo dico sinceramente, un pugno nello stomaco e in alcuni momenti avrei solo voluto interromperlo. Poi però mi sono detto che non sarebbe stato giusto e che non è volgendo lo sguardo dall’altra parte che si cambiano veramente le cose. Ho pianto di rabbia e di schifo, ma le mie lacrime sono niente rispetto a quelle che ha già versato Maha.

Per piegarla i poliziotti le hanno detto che l’intero Kuwait è contro di leiha raccontato la giornalista Rasha Younes in un articolo dedicato alla vicenda di al-Mutairi – Noi tutti invece dobbiamo dire a gran voce che non siamo contro di lei, ma che il mondo intero è contro gli abusi che la polizia ha perpetrato nei suoi confronti“. Faccio mie le parole di Younes. Se vogliamo che finalmente trionfi la giustizia, dobbiamo avere il coraggio di dire forte e chiaro che la violenza e la prevaricazione nei confronti dei più deboli non possono più essere tollerate. Ovunque avvengano. A chiunque siano indirizzate.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagine: Maha al-Mutairi

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