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Negli ultimi anni le tematiche LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex, asessuali) sono state più presenti all’interno del dibattito giornalistico in Iraq, ma sono state affrontate sempre in modo discriminatorio e sono considerate estranee alla società irachena: lo rivela un’indagine, che ha coperto i media locali tra il 2012 e il maggio del 2020, sul modo in cui i mezzi di comunicazione iracheni effettuata da IraQueer, prima associazione arcobaleno del paese, fondata nel 2015 per informare, difendere e assistere le minoranze sessuali in Iraq.

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Parole offensive

Non solo le diversità sessuale sono dipinte come “disturbi che vanno curati ed eradicati”, ma addirittura ci sono stati anche casi nei quali i media si sono spinti fino a promuovere “l’eliminazione delle persone LGBT dalla società” con lo scopo di “difendere i più giovani” che potrebbero essere “facilmente influenzabili”.

I pregiudizi e la discriminazione vengono esaltati soprattutto da alcuni programmi TV, che sono la fonte di informazione del 92% delle persone in Iraq. Nei programmi televisivi presi in esame da IraQueer, le persone LGBTQIA hanno avuto la parola per un tempo medio di 5 minuti, mentre chi le criminalizzava ha parlato mediamente 31 minuti. Quando è stato affrontato l’argomento, sono state usate una volta ogni 30 secondi parole offensive (anche pesanti) contro le persone LGBTQIA, per un totale di 1.574 volte. Anche la struttura dei programmi è discriminatoria: l’argomento viene introdotto come “controverso”, facendo uso di musiche drammatiche e interviste filmate in luoghi abbandonati o bui.

televisione iraq parola lgbt“Esperti” di odio

Nella costruzione della narrativa omofoba hanno un ruolo importante gli “esperti” chiamati nelle trasmissioni che spesso elencano una serie di ragioni per le quali una persona potrebbe “diventare LGBT”, tra le quali ci sono problemi alla nascita, problemi ormonali, malattie mentali, abusi sessuali, la mancanza di una guida familiare, l’essersi allontanati dalla religione… L’idea che essere una persona non cisgender ed eterosessuale sia qualcosa di naturale non è stata presa in considerazione neanche una volta.

Gli “esperti” usano parole come peccato”, “cura” e “prevenzione, ma anche “pena” e “crimine”, mentre propongono “soluzioni” che vanno dalla richiesta di maggiori controlli da parte delle famiglie allo sviluppo di politiche che possano “reintegrare” questi giovani nella società dopo averli “curati”. Gli “esperti” basano le loro affermazioni su fonti che sono vaghe (“recenti studi internazionali affermano che…”, senza citare quale ricerca viene preso in esame) o platealmente false (per esempio, nel 2018 è stato detto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera l’omosessualità come un disturbo mentale, mentre è stata eliminata dalla lista di questi disturbi nel 1992).

Nella maggior parte dei casi, in trasmissione non ci sono ospiti che abbiano altri punti di vista. Quando vengono ospitate persone LGBTIA, queste ultime partono da una chiara posizione di svantaggio: non possono vantare studi specifici in materia, non hanno stabilità economica e non possiedono le protezioni politiche, religiose e sociali che hanno gli “esperti”.

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Influenze negative

I media non sono comunque l’unico fattore che rende difficile, se non impossibile, l’esistenza di una comunità LGBTQIA in Iraq: a questi vanno sommati il sistema scolastico, l’instabilità politica e sociale nel paese e le pressioni dei gruppi religiosi e tribali. Ma il comportamento dei mezzi d’informazione non aiuta: in uno studio condotto da IraQuerr nel 2018, l’89% delle persone LGBTQIA ha dichiarato che i media avevano influito negativamente sul modo in cui percepivano la loro identità.

Infatti la TV irachena ha promosso in modo sistematico i discorsi di odio e la violenza verso le minoranze sessuali, con trasmissioni che hanno addirittura apostrofato i gruppi per i diritti LGBTQIA come “persone peggiori dei terroristi”: tutto questo ha allontanato anche quelle persone che potevano essere vicine ai bisogni della comunità, ma che poi non hanno preso parte a gruppi per i diritti civili per paura.

Alessandro Garzi
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì

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