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Tra settembre e ottobre i tunisini sono andati alle urne per ben tre volte: per i due turni delle elezioni presidenziali e per eleggere il nuovo parlamento. In entrambi i casi, comunque, la popolazione è sembrata più interessata alle questioni economiche e alla lotta alla corruzione, lasciando in secondo piano le battaglie per i diritti e per l’uguaglianza. Non c’è molto da stupirsi, dal momento che il paese, come ha scritto già l’anno scorso Asef Ben Ammar, “da anni è impegnato in una transizione democratica che, però, non ha generato i progressi economici previsti e ha ridotto il potere d’acquisto con un’inflazione galoppante e l’esplosione della disoccupazione“.

Il nuovo presidente è il professore di diritto Kaïs Saïed, finora estraneo alla politica. Sarra Hlaoui lo ha definitoun uomo che dà un’impressione di rigore, fermezza, conservatorismo, il tutto avvolto dalla statura di un insegnante universitario, esperto di diritto costituzionale. È riuscito a conquistare la fiducia dei tunisini semplicemente perché la maggior parte di loro non ne poteva più della classe politica“. Saïed ha ottenuto il 72,7% delle preferenze, conquistando elettorati persino opposti tra loro. Molti lo hanno preferito perché sono convinti che sia onesto e che proteggerà le istituzioni democratiche, a differenza dell’altro candidato arrivato al ballottaggio, Nabil Karoui, soprannominato “il Berlusconi tunisino” perché ricco e corrotto.

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Cosa vuole il presidente?

D’altra parte, il nuovo presidente è anche conosciuto per la sua decisa opposizione a rendere donne e uomini uguali nel diritto all’eredità e per il suo “no” a tutte le altre riforme di apertura sociale proposte in particolare dalla Commission des Libertés Individuelles et de l’Égalité (Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza; COLIBE), come la decriminalizzazione dell’omosessualità. Eppure anche molti attivisti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) hanno deciso di votare per lui: Saïed quasi sicuramente spingerà perché sia finalmente istituita la corte costituzionale, un organo che – secondo le previsioni di molti esponenti della comunità arcobaleno – dovrebbe abrogare il reato di “sodomia” in tempi rapidi.

Il paradosso è presto spiegato. La costituzione della Tunisia rivoluzionaria è molto chiara nel riconoscere diritti, libertà e uguaglianza a tutti i cittadini, ma le forze politiche che hanno governato il paese finora hanno fatto di tutto per frenare l’attuazione della legge suprema, con grande gioia dei conservatori. Kaïs Saïed, invece, si presenta come un paladino del conservatorismo sociale, ma ha promesso più volte di voler arrivare alla piena realizzazione della costituzione. Secondo molti osservatori, la sua opposizione personale a molte riforme dovrebbe cedere il passo al riconoscimento del fatto che queste riforme sono una conseguenza inevitabile della costituzione.

vittoria movimento lgbt tunisia

Dopo essere entrato in funzione il 23 ottobre, il nuovo presidente ha lanciato alcuni segnali incoraggianti. Non solo ha ribadito che proteggerà le libertà e i diritti accordati dalla costituzione senza nessuna discriminazione, ma in un incontro con la femminista Azza Ghanmi e lo scrittore Gilbert Naccache ha condannato le espressioni di odio online, impegnandosi a prendere provvedimenti per fermarle. E soprattutto ha definito “inammissibili” i test anali che vengono effettuati come prova di “sodomia” per perseguitare i sospetti omosessuali.

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Il governo che verrà

In realtà il presidente della repubblica non ha moltissimi poteri in Tunisia e quindi Kaïs Saïed da solo non potrebbe imporre dei cambiamenti nel bene o nel male neppure se lo volesse. Molto dipenderà dalla maggioranza politica che si formerà nel nuovo parlamento, estremamente frammentato, diviso tra forze politiche che per ora non sembrano intenzionate a trovare un accordo e a formare alleanze. Al momento non si sa se spunterà un patto a sorpresa tra i diversi partiti, se nascerà un governo d’unità nazionale o se alla fine verrà nominato un esecutivo tecnico. Nel caos e nei paradossi della politica tunisina, non si sa neppure quale soluzione potrebbe rivelarsi la migliore o la peggiore dal punto di vista dell’avanzamento dei diritti.

Solo una cosa è certa: servirebbero risposte chiare e forti in tempi brevi. Perché la situazione dei diritti in Tunisia, nonostante il nostro governo la consideri “sicura”, è tutt’altro che rosea, come dimostrano le cifre pubblicate dal COLIBE: dal primo aprile al 31 ottobre di quest’anno, il collettivo ha registrato 426 violazioni dei diritti umani, di cui più della metà erano legate a orientamento sessuale e identità di genere. Il futuro della democrazia tunisina passa inevitabilmente anche da questo nodo.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da AlQalamTV TUNISIA (CC BY-SA 3.0) / da ouss94 (CC0)

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