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Ad Atene esiste un posto sicuro per coloro che fuggono dalla guerra, dalle discriminazioni, dalle torture e dalle minacce di morte, un’oasi, un salvagente che aiuta queste persone ad affrontare e superare i traumi subiti per poter cominciare una nuova vita.

Al fianco dei rifugiati

LGBTQIA+ Refugees Welcome (Benvenuti i rifugiati LGBTQIA, lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) nasce nel 2016 grazie a Suma Abdelsamie, una donna transessuale saudita fuggita da Istanbul dopo numerose minacce di morte a causa della sua identità di genere, e a Sofia, un’amica di Suma che ha permesso al centro di diventare un punto di raccolta per tutti i migranti appartenenti a minoranze sessuali che arrivano ad Atene, anche grazie al riconoscimento legale che ha permesso all’associazione di ottenere il finanziamento pubblico.

Sono vari e diversi i servizi che offre il centro: incontri di ascolto per condividere le proprie esperienze, un team di avvocati per il supporto legale al fine di ottenere lo status di rifugiato e assistenza medica che rifornisce i pazienti di medicinali per l’HIV, malattia che in alcuni zone del mondo rimane ancora una piaga, soprattutto tra le persone omosessuali e transessuali.

Per non nascondersi più

Tra coloro che frequentano abitualmente gli incontri si possono ascoltare storie di grande dolore come quella di Maha, ragazza transessuale scappata dall’Iraq grazie al suo compagno dopo che i familiari l’avevano tenuta prigioniera per giorni, infliggendole tagli e bruciature che ancora oggi sono visibili sul suo corpo segnato ma resistente. Molte di queste persone vengono discriminate anche all’interno delle organizzazioni non governative (ONG) di prima accoglienza e spesso devono tenere nascosti identità e orientamento sessuale, per non essere picchiate dai propri connazionali presenti nei centri di accoglienza.

Per queste persone, che forse rappresentano una delle fasce più discriminate tra i rifugiati, scappare significa essere completamente da sole: essere omosessuali o peggio ancora transessuali in alcuni paesi del Medio Oriente significa essere rifiutati dalle famiglie, dalla società e perfino dalle autorità, che invece di proteggere i cittadini più deboli sono spesso complici delle violenze inflitte dalle famiglie.

Per fortuna, grazie al lavoro di Suma e degli altri responsabili del centro, molti di loro sono riusciti a cominciare una nuova vita, a trasferirsi in altri paesi e a ritrovare un po’ di quella pace che da tanto tempo avevano perso.

Elisa Zanoni
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Lgbtqia+ Refugees Welcome (Facebook)

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