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Non è certo ambiziosa come quella di monsignor Antonio Mennini, che ha invocato l’alleanza dei monoteismi contro i matrimoni gay (The Telegraph), ma l’omofobia di Muhyiddin Yassin, vice-premier della Malesia, è comunque eccezionale: il politico asiatico, che neppure un mese fa aveva annunciato programmi di counselling psicologico nelle scuole per combattere l’omosessualità (Il grande colibrì), ha chiesto a tutti i musulmani del paese di rimanere uniti contro “movimenti, guidati da certi individui, che cercano di sviare la fede dei musulmani favorendo il liberalismo e gli stili di vita LGBT“. La manifestazione alla quale partecipava Muhyiddin ha raccolto 5mila partecipanti (Bernama), superando abbondantemente le 3mila presenze di un altro recente incontro di massa anti-gay tenutosi poche settimane fa (New Straits Times).

Cosa motiva la nuova ondata omofoba del governo malese, tra proposte di legge per inasprire le già pesanti pene contro la sodomia (Il grande colibrì) e annunci, poi smentiti, di censure sui mass media (Il grande colibrì)? Si avvicina il 2013, quando si terranno le elezioni, ed il Fronte Nazionale, la coalizione conservatrice di maggioranza, sta perdendo consensi già da qualche anno, mentre l’opposizione progressista del Patto del Popolo gode di buoni sondaggi. E allora la grancassa dei partiti al potere ha deciso di tentare, per l’ennesima volta, di condizionare la vita politica della Malesia giocando la carta della presunta omosessualità del leader della minoranza, Anwar Ibrahim (nella foto), e della sua conseguente inadeguatezza morale a governare il paese.

Anwar venne accusato di essere omosessuale già nel 1998, mentre era vice-premier e ministro delle Finanze. Costretto alle dimissioni, venne condannato a nove anni di carcere per sodomia (a cui se ne aggiunsero altri sei per corruzione) nel 2000, dopo un processo farsa contro cui si scagliarono le organizzazioni per i diritti umani ed alcuni governi occidentali. Dopo essere stato rilasciato nel 2004, Anwar decise di riprendere la propria attività politica, raccogliendo rapidamente consensi intorno a sé. Nel 2008, tuttavia, un suo aiutante lo accusò di averlo sodomizzato e si aprì così un nuovo processo, conclusosi quest’anno con l’assoluzione di Anwar. Il quale ha dovuto subire, nel 2011, anche la diffusione di un video che lo ritrarrebbe durante un rapporto sessuale extraconiugale con una donna – ma non era gay?!

Insomma, le trombe dell’omofobia in Malesia sembrano suonare non a caso, in un concerto che la destra al potere spera di trasformare nella marcia funebre del leader dell’opposizione. E’ questa probabilmente la chiave di lettura migliore per capire anche le motivazioni del clamoroso falso giornalistico orchestrato dal quotidiano governativo New Straits Times: in un articolo del giornale, il deputato Zahrain Mohamed Hashim insinua che Anwar porterebbe avanti l’agenda del movimento LGBTQ* e sarebbe influenzato da valori culturali e morali anti-islamici. Il pretesto usato da Zahrain è la partecipazione, come osservatore indipendente, di Nicholas Xenophon, un parlamentare australiano, ad una manifestazione di Anwar.

Qual è il problema, secondo Zahrain? Xenophon è accusato di essere a favore dell’introduzione del matrimonio gay in Australia e di aver tenuto nel 2009 un pesante discorso contro l’Islam, definendolo “una organizzazione criminale che si nasconde dietro le sue cosiddette convinzioni religiose“. Se le posizione gay-friendly sono reali, le accuse di Xenophon, come dimostrano le registrazioni del parlamento di Canberra, erano mosse contro Scientology. Insomma, il giornale malese ha preso il testo del discorso di Xenophon, ha cancellato il nome del movimento para-filosofico e l’ha sostituito con la parola “Islam”, creando un tarocco di pessima fattura che sta indignando l’Australia (The Age). E a poco è servito eliminare la versione web dell’articolo incriminato: Blogotariat ne ha subito ripubblicato il testo.

Intanto, nella persecuzione giudiziaria e mediatica che sta cercando di affondare Anwar, a rimetterci sono anche gli omosessuali malesi estranei alla lotta politica: proprio ad inizio settimana è stato chiuso un centro estetico di Petaling Jaya che, secondo la polizia, sarebbe stato solamente la copertura per una sauna gay dove alcuni giovani ventenni si prostituivano (Sinar Harian). Si tratta di lotta alla prostituzione o di lotta all’omosessualità? In una lunghissima campagna dai feroci toni omofobici, la domanda è lecita…

 

Pier
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