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Sono figlio di un Marocco arcaico. Di un piccolo villaggio immerso in una valle di pietre gialle pesantissime, nel centro del paese. Tutto parte da lì, da quel mondo giallo polveroso. Perfino il mio modo di essere omosessuale è strettamente legato a quelle esperienze e a quelle terre. Non è una condanna la mia, ma una semplice scoperta.

Tante volte mi hanno chiesto: “Perché fai l’attivista?”. Rispondo che non voglio sentirmi un privilegiato, non voglio la grazia di non essere perseguitato dalla legge italiana. Non voglio e non devo sentirmi un privilegiato. È così che mi sudo quel metro di mondo, che acquisto palmo dopo palmo, giorno dopo giorno. La sola differenza fra me e le due ragazze marocchine di 16 e 17 anni che sono state arrestate a Marrakesh perché colpevoli di essersi baciate [Il Grande Colibrì], è che io, per una serie di eventi, vivo in Italia dal 1998.

Non ho mai rischiato tre anni di carcere per un bacio, non ho mai rischiato di subire test anali o di essere espulso da scuola o dall’università per essermi dichiarato gay. Anzi, nella mia inconsapevolezza di adolescente mi sono sempre prodigato a fare di tutto per non dovermi girare dall’altra parte. Ho avuto la possibilità di diventare il primo rappresentate di istituto apertamente gay della mia scuola. E da quel giorno non ho più finito la mia corsa: vicepresidente di consulta, attivista per Arcigay, per Libera, per la Rete degli Studenti Medi e ora scrivo per Il Grande Colibrì. Ma è difficile non sentirsi un privilegiato. È difficile non sentirsi “salvi”.

Seguo da lontano quello che succede in Marocco, attraverso gli occhi degli attivisti locali. Mi rimane impossibile non pensare a me, nella vostra situazione. Essere puniti per chi si ama. Magari era il vostro primo bacio, la vostra prima esperienza con quel sentimento che ti fa sentire così leggero e invincibile. Quei primi momenti di imbarazzo, con gli occhi pieni di amore l’uno verso l’altro, che ti fanno sentire protetto, voluto e accolto. Non si chiede la verità sull’amore a 16 anni dietro le sbarre di un carcere, ma su un letto comodo, stretti in un abbraccio, senza il timore di vivere una condanna.

Si dovrebbe vivere apertamente se stessi: nessuno dovrebbe nascondersi dal mondo. Ma non sono uno sciocco, capisco e conosco benissimo la volontà di sopravvivere in un Marocco che ti criminalizza.

Vorrei dirvi che andrà tutto bene, abbracciarvi e piangere assieme a voi. Indignarmi assieme a voi per il terribile tradimento ricevuto. Raccontarvi come il mondo sta reagendo al vostro arresto. Di come l’intera stampa internazionale sta reagendo al vostro arresto. Dirvi che c’è una petizione a vostro favore, che ha raccolto più di 50 mila firme [AllOutIl Grande Colibrì].

E raccontarvi della decisione di quel giudice di far slittare il vostro processo al 25 novembre, perché dall’alto gli è stato detto di fare così – di non sentenziare subito, di non dare un immediato giudizio netto, per via della COP22 sul clima che si terrà a Marrakesh, la vostra città. Autorità politiche e giornalisti da tutto il mondo saranno lì e potrebbero interessarsi al vostro caso e accendere un dibattito non indifferente.

Vorrei dirvi che, forse, il vostro caso sarà decisivo per una futura abrogazione dell’articolo 489 del codice penale marocchino, che criminalizza l’omosessualità. Ma nessuno chiaramente vuole essere quel “caso”. Nessuno deve essere quel “caso”.

Quello che posso fare, ancora una volta, è utilizzare la mia tastiera e parlare ancora una volta di voi, della vostra storia e del vostro amore, care Sanaa e Hajar.

 

Anes
@2016 Il Grande Colibrì

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