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Vigilia di Capodanno. In una strada trafficata di Marrakech, Chafik Lafrid guida la sua auto di ritorno da una festa in un locale, quando uno scooter urta la vettura. Un normale incidente d’auto, nessuno si fa male. Però arriva la polizia e vuole che Chafik lasci il posto di guida e scenda. Lui rifiuta, spiegando che le persone che si sono radunate intorno alla macchina potrebbero creargli problemi, ma il poliziotto spacca il vetro del finestrino, apre la portiera e lo tira fuori.

Se l’abito è una colpa

Non è una scena di un film, né l’inizio di un romanzo. Chafik Lafrid esiste davvero e quello che è successo quella sera gli ha cambiato radicalmente la vita. Essere omosessuale in Marocco non è facile, per questo lui ha sempre vissuto nascosto, senza dichiararsi alla famiglia e partecipando solo a feste organizzate in una città che, essendo la più turistica del paese, garantisce una vita sociale gay abbastanza vivace.

Ma quella sera Chafik è andato alla festa vestito da donna, in quel corto abito blu che indossa mentre l’agente lo estrae dall’auto, lo getta a terra e lo ammanetta per poi farlo camminare fino all’auto della polizia, tra il capannello di astanti che lo deridono e lo insultano. Alla centrale la faccenda sembra ridimensionarsi: viene steso un verbale per l’incidente, ma non si fa parola del trucco indossato da Chafik.

La gogna online

Il giorno dopo, però, le immagini scattate alla stazione di polizia e il racconto dell’incidente e della sua esibizione forzata a piedi nudi ammanettato tra il pubblico vengono pubblicati dai social network. Poco importa che quattro funzionari vengano puniti per questo, a seguito di un’inchiesta interna avviata immediatamente: la vita di Chafik è distrutta.

La famiglia lo disconosce, gli amici non lo chiamano più, solo i colleghi del lavoro, da cui ha ottenuto un mese di aspettativa, gli mandano un messaggio di solidarietà. Le milioni di visualizzazioni delle sue foto vestito da donna e della descrizione della serata cancellano la vita fin qui tranquilla di questo 33enne, impiegato amministrativo in una clinica privata.

virale

Alle condivisioni pubbliche fanno seguito le minacce private: nelle immagini diffuse sono stati mostrati i suoi documenti, con le indicazioni di cosa fa e dove abita. Per Chafik è la fine di un sogno: “Avevo un’immagine del Marocco come di un paese che rispetta le differenze, ma quello che è successo mi ha fatto cambiare ideadichiara mostrando una ragionevole inquietudine per la sua personale sicurezza – Il mio attuale indirizzo è stato pubblicato su internet, qualsiasi fondamentalista può venire ad attentare alla mia vita”.

Omofobia tra stato e società

Chafik ha contattato il Mouvement Alternatif pour les Libertés Individuelles (Movimento alternativo per le libertà individuali; MALI): vuole andarsene dal Marocco, in un posto in cui “le scelte individuali di ciascuno sono rispettate”. “Quest’aggressione dimostra l’omofobia che c’è in Marocco e, ancor di più, l’omofobia di stato – dice l’attivista Ibtissam “Betty” Lachgar, vicepresidente del MALI – Ogni giorno riceviamo segnalazioni di attacchi a persone LGBT e molte di loro hanno già deciso di andarsene”.

A poco serve lo schieramento del movimento LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) del paese, che si batte da tempo per l’abolizione dell’articolo 489 del codice penale, che condanna le relazioni omosessuali pene da sei mesi a tre anni. Chafik non voleva e non vuole essere un attivista, è finito in pasto al pubblico omofobo suo malgrado.

Ma il movimento, pur con tutte le difficoltà del caso, c’è e prova a reagire a questo ennesimo attacco che dimostra che la discriminazione non nasce solo dalla legge, ma anche dal clima generale. La battaglia procede su due fronti: l’abolizione della criminalizzazione dell’omosessualità nelle leggi dello stato e la diffusione di una cultura di tolleranza, accettazione e rispetto tra la gente. Ma è una battaglia lunga e Chafik vuole tornare a vivere libero e senza pensieri molto prima che anche solo uno di questi due obiettivi sarà raggiunto.

Michele Benini
©2019 Il Grande Colibrì

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