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In Nuova Zelanda la libertà si respira nell’aria, è praticamente dappertutto. Ma dietro a questa libertà e ai risultati ottenuti dal movimento LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) c’è una lunga storia di lotta e resistenza. Per capirlo, bisogna guardare la storia di questo paese.

La firma del Trattato di Waitangi nel 1840 è considerata un evento importante nella storia del colonialismo britannico. In questo paese cambiò tutto. I māori, la popolazione autoctona di queste terre, hanno dovuto lottare per impedire la distruzione delle loro tradizioni e credenze.

La storia non è neutrale e ci viene raccontata dal punto di vista dei colonizzatori. Ma, come per ogni storia, c’è più di una verità e ognuno possiede la propria. Il dominio britannico sulla Nuova Zelanda significa che le strutture sociali, legali e politiche riflettono quelle della “madrepatria”. Questo è particolarmente interessante quando si pensa ai diritti umani e, nello specifico, a quelli rilevanti per la comunità LGBTQIA.

Leggi coloniali

Ma prima di continuare bisogna ricordare che “nel 1861 l’Inghilterra ha sostituito la pena di morte per sodomia con l’ergastolo. I neozelandesi hanno introdotto leggi simili sei anni dopo. Nel 1885 qualsiasi atto sessuale tra uomini di qualsiasi età è diventato illegale in Inghilterra e la Nuova Zelanda l’ha seguita con una legge nel 1893”. L’Inghilterra non ha preso seriamente in considerazione una riforma delle leggi sull’omosessualità per 70 anni. Negli anni ‘40 e ‘50 “gli uomini scoperti colpevoli di sodomia potevano ancora essere fustigati e frustati”. Ma qualcosa stava iniziando a cambiare.

In Nuova Zelanda nel 1961 il reato di sodomia è stato cancellato dal Crimes Act (legge sui reati), ma i rapporti omosessuali sono rimasti illegali, come in altri paesi. L’omosessualità era trattata come una malattia mentale e le persone erano affidate agli istituti psichiatrici.

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Nasce il movimento

La paura di finire incarcerati o legati in qualche istituto, però, non ha fermato la comunità LGBTQIA: la prima organizzazione neozelandese per gli uomini gay (la Dorian Society; 1962-1988) ha iniziato a lottare per il cambiamento. Questi primi passi avrebbero portato alla riforma legislativa e al riconoscimento dei diritti umani. Nei decenni successivi la rivoluzione era nell’aria e per le strade. I primi anni ‘70 “hanno visto crescere i movimenti femminista e gay dei nostri giorni”.

Uno dei più importanti passi avanti è stato fatto nel 1967, quando 150 persone, che hanno preso il nome di Wolfenden Association, hanno partecipato a un incontro a Wellington e hanno lavorato per lottare per la riforma della legge sull’omosessualità. Da qui è nata The New Zealand Homosexual Law Reform Society (Associazione neozelandese per la riforma della legge sull’omosessualità). Questa associazione e altri gruppi di liberazione gay hanno scritto una proposta di legge, ma, “per produrre il cambiamento legislativo, il movimento gay aveva bisogno di un proprio paladino in parlamento”.

A volte ci si dimentica di quanto sia piccolo il mondo è di quanto le notizie viaggino veloci, soprattutto quando una comunità sta combattendo per una stessa causa. E così l’onda dei moti di Stonewall a New York nel 1969 ha colpito la Nuova Zelanda e i suoi movimenti per i diritti di gay e lesbiche. In tutto il paese sono nate molte organizzazioni per i diritti degli omosessuali: per esempio, nel 1972 Ngahuia Te Awekotuku ha fondato il Gay Liberation Front (Fronte di liberazione gay) ad Auckland, mentre nel 1973 un gruppo di attiviste femministe ha creato a Wellington The Sisters for Homophile Equality (Sorelle per l’uguaglianza omofila; SHE).

Proposta di riforma

Nel 1985 il movimento ha trovato la sua paladina, la parlamentare Fran Wilde, che ha sviluppato, insieme ai gruppi di attivisti gay e lesbiche attivi sul territorio, il testo della proposta di riforma della legge sull’omosessualità. “La proposta di legge aveva due parti. La prima decriminalizzava tanto i reati sessuali tra uomini quanto i rapporti anali consensuali eterosessuali, e al tempo stesso forniva protezione ai minori di entrambi i generi. La seconda, invece, rendeva illegale la discriminazione in base all’orientamento sessuale in campi come il lavoro, l’alloggio, la fornitura di beni e servizi”.

L’opposizione sociale e politica è stata profonda, con argomentazioni contro la proposta di legge spesso basate sulla morale e sulla religione: “L’omosessualità è ‘innaturale’ e la Bibbia la condanna”. C’era anche una forte paura che collassasse la famiglia “tradizionale”. La diffusa mancanza di comprensione spesso portava a paragonare l’omosessualità alla pedofilia. Inoltre l’AIDS era considerato, come negli USA, la “malattia gay” e alcuni lo descrivevano come una punizione divina.

In quegli anni il movimento ha cercato di far sentire la propria voce in tanti modi, organizzando manifestazioni di strada e raduni in tutta la nazione e interrompendo gli incontri contro la riforma della legge. La libertà di scelta e i diritti umani erano le forze trainanti del cambiamento per porre fine alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

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Vittoria graduale

La riforma della legge sull’omosessualità ha avuto bisogno di 14 mesi per compiere il suo iter parlamentare. Il voto finale si è tenuto nel luglio del 1986. La legge di riforma è entrata in vigore l’8 agosto 1986 e ha “decriminalizzato le relazioni tra uomini maggiori di 16 anni. Gli uomini che facevano sesso consensualmente tra di loro non erano più passibili di persecuzione e di incarcerazione“. Sia i gay che le lesbiche hanno sostenuto con forza il movimento di riforma, dato che le lesbiche erano discriminate quanto gli uomini gay.

Durante la crisi dell’AIDS, l’unico governo ad approvare un atto come la riforma della legge sull’omosessualità è stato quello neozelandese. Per la prima volta, gli uomini gay potevano avere relazioni sessuali senza temere persecuzioni. Purtroppo, però, la seconda parte della proposta di legge era stata respinta. Si è dovuto aspettare fino al 1993 per vedere la discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere diventare illegale.

La Nuova Zelanda ha riconosciuto le unioni civili tra persone dello stesso sesso nel 2004 e nel 2013 è stato introdotto il matrimonio per tutti: è stato il tredicesimo paese al mondo a farlo. E la comunità LGBTQIA deve continuare a muoversi verso il futuro che vuole per sé.

Un Pride diverso

Ogni anno in Nuova Zelanda si svolgono tre diversi Pride, ad Auckland, Christchurch e Wellington. Ero a Wellington, la capitale del paese, durante la settimana del Pride nel marzo 2019. Potevo vedere gli arcobaleni ovunque, anche in luoghi come ristoranti indiani o negozi che vendevano articoli militari. Alcuni grandi marchi hanno deciso di prendere posizione e mostrare la bandiera arcobaleno. La collina vicino all’aeroporto era colorata di rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola: questa immagine ha fatto il giro del mondo e, probabilmente, ha fatto riflettere alcune persone sul cambiamento, perché il cambiamento è possibile.

Quest’anno, la parata di Wellington è stata nel pomeriggio di sabato 11 maggio. Essendo nell’emisfero australe, è stato il mio primo Pride con il freddo: è stato breve e pieno di colori. Alcuni dei marchi e delle aziende più importanti hanno sfilato con musica, danze e arcobaleni. Era diverso da quelli italiani. Molte persone erano su entrambi i lati delle strade e non nella parata.

Ho provato empatia, libertà e gioia. Penso che partecipare significhi prendere parte, essere parte di qualcosa. Qualcosa di più grande di te e di connesso ai tuoi simili. Qualunque cosa il Pride significhi e simbolizzi, dovunque sia, la comunità LGBTQIA merita di essere visibile e orgogliosa, e non solo in questo giorno speciale: ogni giorno.

Giulia Carloni
tradotto da Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
I virgolettati sono tratti da New Zealand History
foto: elaborazione da 680451 (CC0) / da Alexas_fotos (CC0) / da Silar (CC BY-SA 4.0)

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