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Quanto sono giganti gli All Blacks, i giocatori della nazionale di rugby della Nuova Zelanda? Questa è una delle domande che mi è stata fatta. E la curiosità portava a chiedere: i giocatori sono tutti Māori? Sono tutti davvero così grandi come i giocatori degli All Blacks? Ma i Māori come vivono? Sono confinati in alcuni luoghi?

I Māori sono una popolazione nativa della Polinesia orientale, che è attraccata in Aotearoa (termine Māori usato per nominare la Nuova Zelanda) con canoe tra il 1200 e il 1350. E che, in poco tempo, ha iniziato a vivere l’isola attraverso la sua organizzazione sociale, culturale e mitologica.

Il dramma coloniale

La storia narra che gli europei, invece, hanno iniziato ad approdare sulle loro coste nel diciassettesimo secolo, irrompendo nella vita pacifica delle tribù, distruggendo villaggi, facendo prigionieri uomini, donne, bambini e bambine, iniziando la colonizzazione del territorio. Nel 1840 è stato firmato il Treaty of Waitangi (trattato di Waitangi), atto che ha segnato l’inizio della convivenza civile tra europei e Māori. Ma, ancora ai giorni nostri esistono due stesure (una scritta in inglese e una scritta in te reo Māori, cioè in lingua Māori) e due letture diverse e distanti dello stesso documento. E qui la storia si fa davvero complessa…

Rimanendo su un livello più sociale che storico, i nativi della Nuova Zelanda, attraverso tutto il territorio nazionale, mantengono la loro struttura sociale, che si discosta dal modello europeo: Whānau è la grande famiglia, estesa e riconosciuta per l’enorme valore di unione e di rappresentazione identitaria. Hapū è il clan, il gruppo allargato che si posiziona tra Whānau e iwi (tribù).

Haka e tatuaggi

Tutto il mondo conosce la haka, la tradizionale danza performata da tutte le squadre di rugby neozelandesi. Haka, parola Māori che rappresenta la performance, è simbolo di unità, forza e orgoglio. Le azioni includono il violento sbattere dei piedi, il mostrare la lingua e il ritmico schiaffeggiare il proprio corpo, il tutto accompagnato da un sonoro canto in te reo Māori. “Ka Mate Ka Mate” è la più famosa, danzata dalla squadra nazionale: The All Blacks.

I nativi neozelandesi, in questo modo, sono riusciti ad “esportare” un piccolo pezzo della loro cultura, che permette, nelle zone più disparate, di sentire pronunciare il nome del loro popolo. Anche i tatuaggi sono una parte fondamentale della loro cultura.. E ognun* di noi conosce almeno una persona con un tatuaggio Māori. Ma ne parleremo prossimamente.

Tornando alla storia, possiamo sostenere che la Seconda guerra mondiale abbia portato degli enormi cambiamenti alla società Māori: con l’economia in crescita e l’avvio del mercato del lavoro, i Māori hanno iniziato a muoversi dalle zone rurali alle città. Prima della guerra, circa il 75% dei Māori viveva in zone rurali, dopo vent’anni il 60% viveva nei centri urbani. Sono stati anni in cui si è iniziata a perdere parte della cultura indigena.

Il te reo Māori

Per quanto riguarda la lingua, parte integrante di una cultura, l’inglese era la lingua urbana, al lavoro, a scuola, nelle attività quotidiane. Gli insegnanti non parlavano il te reo e ciò rinforzava la distanza tra Māori e Pākehā (i bianchi), incrementando la supremazia di questi ultimi e, di conseguenza, lo stress e la tensione dei nativi.

La parte di popolazione giovane di cultura Māori non conosceva abbastanza parole te reo per poter essere riconosciuta come madrelingua. Così, negli anni ’80, meno del 20% dei Māori poteva essere definito “madrelingua”. Sicuramente, per queste persone, la percezione di poter difendere la cultura e la lingua era pressoché nulla: molti Māori urbanizzati avevano perso quasi del tutto la loro cultura e la loro lingua. Altri, però, nello stesso tempo, mantenevano contatti con la Whānau o con la loro Hapū, importante per la tutela del patrimonio culturale.

È dal 1970 che molti Māori iniziano il percorso di rassegnazione identitaria, integrando la lingua come rinforzo della formazione e delle vita quotidiana. Molti leader Māori, soprattutto, si sono resi conto, in quegli anni più che mai, della grande perdita che la loro cultura stava subendo.

tartaruga maori

Il recupero della lingua

Così nuovi gruppi di “resistenza Māori” sono iniziati a crescere nelle città. Nel 1972 tre di questi – Ngā Tamatoa (I giovani guerrieri) di Auckland, Te Reo Māori Society (Società del te reo Māori) della Victoria University e Te Huinga Rangatahi (Associazione degli studenti Māori della Nuova Zelanda) – hanno consegnato una petizione al parlamento neozelandese per promuovere il te reo Māori. Le rivolte da parte dei gruppi si fanno serrate e nel 1972 viene aperta la prima scuola bilingue, a Rūātoki in Urewera, nel nord del paese.

I più importanti programmi di “recupero” della lingua Māori sono avvenuti negli anni ’80. Infatti è intorno al 1985 che si può dire di aver raggiunto uno dei risultati più importanti: la sicurezza di aver salvato la lingua te reo. In quell’anno il tribunale di Waitangi ha dichiarato che il te reo Māori doveva essere un taonga (tesoro da proteggere).

Dal 1987 il te reo Māori è riconosciuto come le loro lingua madre e ha lo status di lingua ufficiale della Nuova Zelanda. Ora esiste un sistema scolastico che riconosce l’importanza e la ricchezza della cultura nativa e, in alcune strutture, la prima lingua è il te reo e non l’inglese.  L’unione Māori ha raggiunto degli obiettivi importanti.

Parità lontana

Comunque la lingua è solo una parte della cultura che i Pākehā, i bianchi, hanno provato a eliminare. Possiamo ritenere che fino al 1970 i Māori hanno vissuto una totale supremazia da parte dei Pākehā. La loro lingua madre era stata vietata, il sistema scolastico non permetteva un reale sviluppo delle persone Māori e tuttora i nativi sono posizionati in un gradino basso della società, con un più alto livello di mortalità. Oggi la popolazione Māori si aggira intorno ai 700mila individui, il 15% della popolazione nazionale.

La Nuova Zelanda è tuttora un paese colonizzato: è una monarchia parlamentare che riconosce la regina Elisabetta II del Regno Unito, in quanto reame del Commonwealth. Uno dei paesi più liberi al mondo, senza dubbio, con una società multiculturale e multilinguistica. Sarà mai possibile un cambiamento? E in che termini sarà possibile?

Giulia Carloni
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Waseem Farooq (Cco) / da InspiredImages (CC0)

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