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C’è da fidarsi della polizia? E’ questa, per una persona omo o transessuale, la prima domanda che viene in mente quando si deve denunciare un crimine d’odio o riferire i dettagli di un incidente. Ad essere precisi, è una domanda che passa per la testa anche di molti eterosessuali, ma gay, lesbiche e transgender hanno qualche ragione in più di preoccuparsi, tant’è che tre volte su quattro non sporgono denuncia se sono sottoposti a discriminazione, secondo i dati di un sondaggio condotto nel Regno Unito da Stonewall (stonewall.org.uk). Naturalmente non è solo la diffidenza nei confronti delle forze dell’ordine a tenere lontano il mondo LGBT dallo sporgere denuncia: c’è anche la scarsa fiducia nel fatto che una denuncia possa portare frutti (meno del 10% di coloro che si sono rivolti alle autorità si dicono soddisfatti dei risultati raggiunti dalle indagini) e la paura di non essere presi proprio in considerazione.

Tutto questo accade in un paese dove, tanto localmente quanto a livello nazionale, non solo le forze dell’ordine si dicono impegnate nel combattere i crimini d’odio, ma anche numerosi omosessuali dichiarati sono arruolati nella polizia, tanto da aver costituito un’associazione all’interno dell’istituzione (gay.police.uk).

Purtroppo però, nonostante gli sforzi e le direttive, la diffidenza popolare trova conferma in un episodio che dimostra quanta strada ci sia ancora da percorrere: ad essere protagonista di una discriminazione è Emma Chapman, una poliziotta transessuale che in passato era stata anche un’attivista, finché non aveva deciso, dopo le frustrazioni per non aver ricevuto sostegno e per le discriminazioni nei confronti delle persone transgender, di tenere coperta la storia del proprio percorso di transizione dal maschile al femminile con i colleghi. E invece è stata più volte costretta dalla sala operativa a dichiarare la propria transessualità. Ed alla fine l’umiliazione e la paura hanno spinto Chapman a denunciare il suo stesso comando (bbc.co.uk).

Peggio di lei stanno però ancora molte transessuali statunitensi , che con la polizia avevano già cattivi rapporti ai tempi dello Stonewall. Un’inchiesta della redazione americana di aljazeera.com mostra infatti come la situazione non sia molto cambiata nemmeno nel luogo simbolo delle lotte che portarono alla nascita delle parate dell’orgoglio gay: Christopher Street. Non solo infatti gli agenti si comportano ancora in modo prepotente e spesso violento con le persone transgender, ma sembra che esista una vera e propria schedatura massiccia, come denuncia l’associazione TransJustice (alp.org/tj), che non manca peraltro di puntare il dito anche sui media, colpevoli di travisamenti e di caccia al sensazionalismo.

E se in Giamaica , in perfetta linea con una popolazione tradizionalmente omofoba, la polizia rifiuta di assistere gli omosessuali che tentano di denunciare le violenze subite, con la scusa di non poter fornire nomi e indirizzi degli aggressori, che talvolta sono essi stessi poliziotti (76crimes.com), un barlume di speranza ci arriva dalla Bosnia Erzegovina . Qui, con l’ausilio di fondi dell’Unione europea, è stato infatti organizzato un seminario per agenti per spiegare loro nel dettaglio cosa sono i crimini d’odio e come assistere le persone LGBT che chiedono soccorso e materiale informativo è stato distribuito in tutte le stazioni di polizia del paese (soc.ba).

 

Michele
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