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Cosa può succede in un paese come lo Zimbabwe se un professore di una scuola d’élite dichiara pubblicamente di essere gay? Nel paese africano i rapporti omosessuali sono reato, come anche “qualsiasi azione che implichi un contatto tra due uomini che possa essere considerata da una persona ragionevole come un atto indecente“. Nella nuova costituzione del 2013 è stata tra l’altro aggiunta una clausola che bandisce i matrimoni omosessuali.

L’eredità di Robert Mugabe

Robert Mugabe, ex presidente dello Zimbabwe per quasi un quarantennio, è sempre stato in prima fila a dare manforte e a fomentare l’odio contro la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali). Ha descritto gli omosessuali come esseri “peggiori dei cani e dei maiali” e nel 2015 si è presentato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dichiarando: “Noi [cittadini dello Zimbabwe; ndr] non siamo gay“.

La sua presenza sprigionava così tanta omofobia che molte persone LGBTQIA hanno lasciato il paese per paura delle persecuzioni. Del resto Mugabe nel 2013 ha persino condannato il famoso arcivescovo Desmond Tutu, personalità di rilievo nella lotta a favore dei diritti delle minoranze sessuali.

Un presidente meno omofobo?

Nel novembre del 2017 Mugabe, leader della Zimbabwe African National Union – Patriotic Front (Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico; ZANU-PF), è stato fatto dimettere da presidente. Gli attivisti e la comunità LGBTQIA hanno festeggiato la fine del suo mandato, sperando in un cambiamento tangibile.

Il suo successore, l’attuale presidente Emmerson Mnangagwa, nonostante la situazione legislativa non sia cambiata, almeno non si è ancora lasciato scappare certi epiteti contro le persone LGBTQIA e perlomeno non ha gettato benzina sul fuoco, tant’è che le persecuzioni sono diminuite. Ai microfoni della CNN, Mnangagwa ha dichiarato la sua posizione per quanto riguarda l’omosessualità: “Nella nostra costituzione è bandita ed è mio dovere obbedire alla mia costituzione“. Poi ha aggiunto: “Sono coloro che vogliono la depenalizzazione che dovrebbero agire per arrivare alla loro inclusione, non è un mio dovere“.

Tacito riconoscimento? Può sembrare un implicito invito a lottare per scontrarsi con una legge che potrebbe essere abolita se si riuscisse a sensibilizzare un po’ il paese e a cancellare l’idea comune che un omosessuale non sarebbe un essere umano come gli altri ma uno sbaglio della natura.

Il coming out del professore

Ma torniamo alla questione del professore: Neal Hovelmeier, insegnante e vice-preside del St John’s College (scuola così illustre da avere come alunno il figlio dell’ex presidente Mugabe), ha fatto coming out davanti ai suoi studenti. Il professore specifica di essere stato spinto a dichiararsi, soprattutto perché un giornale del paese stava pianificando di fare outing su di lui.

Ecco le conseguenze: come è facile aspettarsi in questi casi, diversi genitori hanno minacciato di intraprendere azioni legali contro Neal, minacce che lo hanno portato a dimettersi dal suo incarico. Per i genitori, si legge nella lettera indirizzata al corpo docente, è impensabile che nello staff scolastico ci sia una persona di questo genere, dal momento che gli studenti dovrebbero vedere e vedono i loro docenti come modelli da seguire.

Per gli attivisti LGBTQIA dello Zimbabwe, il professor Neal ha dato una prova di coraggio enorme, rivolta a tutti quei ragazzi che si nascondono, che vivono continuamente in un ambiente intollerante, omofobo e discriminatorio. L’attivista Ricky Nathanson di Transgender Research, Education, Advocacy and Training (Ricerca, educazione, attivismo e formazione transgender; TREAT) dichiara: “È incoraggiante assistere al coraggio e all’onestà del dottor Hovelmeier nel dire chi è veramente. Tutto ciò richiede coraggio, introspezione e dimostrazione che bisogna essere fedeli a chi siamo realmente“.

Una comunità ai margini

In Zimbabwe gli attivisti, nonostante l’associazione per i diritti Gays and Lesbians of Zimbabwe (Gay e lesbiche dello Zimbabwe; GALZ) sia formalmente riconosciuta dallo stato, fanno rete silenziosamente, agiscono in maniera semi-segreta, poco rumorosa. GALZ infatti, nonostante sia una realtà legale, in passato ha subito attacchi dalla polizia.

Non solo essere omosessuali è percepito come innaturale, ma la comunità LGBTQIA è vista anche come un pericolo, come portatrice del virus HIV. La piaga dell’HIV è una questione rilevante e controversa in Zimbabwe. Il tasso di prevalenza di questa malattia si aggira intorno al 14% della popolazione.

Le minoranze sessuali rimangono sostanzialmente escluse dai trattamenti sanitari (anche se negli ultimi anni il governo si è trovato costretto ad aprire le porte a gay e lesbiche che erano affetti da malattie sessualmente trasmissibili) anche perché, come per il caso del sesso tra uomini nelle carceri, affrontare il problema vorrebbe dire riconoscere la loro esistenza. L’ex ministro della salute, il dottor David Parirenyatwa, una volta ha detto che lo Zimbabwe dovrebbe smettere di ignorare l’esistenza dell’omosessualità e di nascondersi dietro ragioni culturali.

Un segnale di speranza

Come dichiara Chester Samba, direttore di GALZ, il polverone alzatosi dopo il coming out di Neal Hovelmeier “è un’indicazione di una triste realtà, cioè che lo Zimbabwe ha ancora un livello di tolleranza molto basso quando si tratta dei problemi di qualsiasi minoranza“. Nelle scuole, ha aggiunto, “c’è una cultura del silenzio: quando si parla di minoranze sessuali, è un ambiente difficile“.

Proprio perché la scuola è un ambiente difficile riguardo alla questione LGBTQIA, ma è anche il luogo di formazione per gli uomini e le donne di domani, questo avvenimento potrebbe essere un trampolino di lancio, un piccolo mattoncino per formare una base che stimoli sempre più riflessioni sul tema, scuota le coscienze di qualcuno e spinga ad affrontare la realtà.

Le persone LGBTQIA in Zimbabwe esistono (non potrebbe essere altrimenti!), devono essere riconosciute e forse è proprio adesso l’occasione di approfittarne per parlarne, tanto più con un presidente che sembra voler evitare commenti pericolosi contro le minoranze sessuali.

Ginevra Campaini
©2018 Il Grande Colibrì
foto: St John’s College Zimbabwe (Facebook)

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