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La scorsa settimana la prima ministra britannica Teresa May, spinta con forza dagli attivisti del suo paese, ha chiesto scusa ai cittadini delle nazioni del Commonwealth per avergli imposto terribili leggi contro gli omosessuali: è stato un evento epocale. Anzi, davvero storico. “Io sono fin troppo consapevole che queste leggi spesso sono state messe in atto dal mio paese – ha detto agli altri leader a Londra, alla conclusione del Commonwealth Heads of Government Meeting (Riunione dei capi di governo del Commonwealth; CHOGM) – Queste leggi erano sbagliate allora e sono sbagliate anche oggi”.

Le “sodomy laws” (leggi sulla sodomia) di epoca coloniale sono in vigore in 36 delle 53 nazioni del Commonwealth. E sono rimaste in vigore per più di 60 anni in molti stati africani, con polemiche sul loro aggiornamento che si ripetono prima delle elezioni. Dal momento che l’Occidente ha acquisito una maggiore conoscenza della sessualità umana e ha rinunciato a classificarla come malata o criminale, il Regno Unito ha cambiato le proprie leggi e alla fine ha pienamente abbracciato l’uguaglianza nel diritto al matrimonio anche per le coppie dello stesso sesso.

Ma il “profondo rammarico” di May cambierà la situazione per le persone gay, lesbiche o transgender africane che devono affrontare la forza bruta dello stato e lo stigma molto più spesso di quanto molti nella società sono disposti ad ammettere apertamente? Probabilmente no.

LGBT, una lotta solitaria in Kenya

Nel 2018 molti nel continente non si aspettano che il rammarico di May faccia una grossa differenza, ma sopravvivono amando e vivendo con dignità. A Nairobi, in Kenya, Nguri Karugu, uno storico attivista per la giustizia sociale, ha ascoltato le dichiarazioni della premier britannica e ha pensato che non avessero grande importanza.

Il movimento LGBT [lesbiche, gay, bisessuali e trans; ndt] keniano ha continuato a impegnarsi appoggiandosi a una costituzione progressista. La dichiarazione britannica non rafforza né indebolisce la traiettoria che il movimento ha intrapreso nel suo viaggio per la giustizia” dice Karugu, direttore esecutivo della società di consulenza Public Health Innovations.

Ma il presidente keniano Uhuru Kenyatta rifiuta persino di riconoscere questo movimento in rapida crescita. “Io non mi impegnerò su un argomento che non ha nessuna importanza per il popolo e per la Repubblica del Kenya. Questa non è una questione, come vorreste presentarla, di diritti umani. Questa è una questione di società, delle nostre basi come cultura e come popolo” ha detto, aggiungendo che in 99% dei suoi concittadini sono d’accordo con lui.

Ma ultimamente le aule giudiziarie in Kenya raccontano una storia differente e pian piano danno spazio agli omosessuali keniani che rifiutano di rimanere in silenzio. E qualcuno dice che Kenyatta non sta parlando a nome suo.

Cresce l’omofobia nelle ex colonie

In tutta l’Africa sub-sahariana il clima è sempre più ostile, in particolare nelle ex colonie britanniche. Chiunque può essere arrestato perché sospettato di far parte della famiglia LGBT. In Zimbabwe recentemente sono state arrestate delle persone semplicemente perché facevano serata con amici.

In Nigeria è sempre aperta la stagione di caccia agli omosessuali da quando l’ex presidente Goodluck Jonathan ha ratificato una legge draconiana contro i gay con la speranza, risultata poi vana, che gli avrebbe permesso di vincere le elezioni del 2015. Naturalmente le scuse di May sono state accolte in Nigeria con parole di disprezzo nei suoi confronti, mentre i commentatori sui media dicono infondatamente che May avrebbe fatto appello non alla decriminalizzazione delle attività sessuali tra adulti consenzienti, ma all’introduzione dei matrimoni per le persone dello stesso sesso.

Intanto in Tanzania lo stato continua a fare il bullo contro gli attivisti e arresta tutti coloro che ritiene che possano avere anche solo una parvenza di simpatia per gli omosessuali. E in Ghana uno dei principali leader cristiani, Emmanuel Martey della Chiesa presbiteriana nazionale, considera “satanisti” tutti i gay ghanesi, mentre Kingsford Sumana Bagbin, vicepresidente del parlamento, ha dichiarato che l’omosessualità sarebbe peggio di una bomba atomica. Durante le campagne elettorali l’isteria omofoba sembra esplodere in Ghana come in Nigeria.

Qualche anno fa ho chiesto a uno dei più famosi storici del Ghana perché le leggi sulla sodomia del paese condannano gli uomini, ma non dicono nulla sulle donne. Nat Amarteifio, ex sindaco di Accra, è scoppiato a ridere, poi mi ha spiegato: “Queste leggi sono state scritte 50 anni fa: allora non osavano pensare che le donne avessero desideri sessuali nei confronti degli uomini, figurarsi nei confronti di altre donne!”.

Theresa May ha fatto troppo poco

Insomma, le scuse di May sono state troppo deboli e troppo tardive. “Perché non ha semplicemente puntato il dito contro i membri del Commonwealth che non abrogano le loro leggi, invece di dire che il Regno Unito si schiererà con i paesi che vogliono riformarle? – si è chiesto Kevin Mwachiro, 45enne di Nairobi, secondo cui May avrebbe dovuto additare chi maggiormente viola i diritti – Avrebbe dovuto essere più esplicita nel condannare i paesi membri che mantengono queste leggi”.

Eppure c’è qualche barlume di speranza. E di resilienza. Le persone LGBT nel piccolo Regno di eSwatini [come si chiama lo Swaziland dal 19 aprile di quest’anno; ndt] non vogliono più nascondersi e organizzano il loro Pride. E in Uganda continuano a esserci eventi culturali LGBT, anche se la polizia continua a impedirne lo svolgimento. Anche le donne nigeriane queer stanno uscendo dall’ombra, rendendo pubbliche le proprie storie di diversità: “She Called Me Woman” (Mi ha chiamata donna) è uscito nelle librerie di Lagos a giugno.

Frankie Edozien per Quartz
giornalista e scrittore nigeriano
traduzione di Pier Cesare Notaro
©2018 Quartz – Il Grande Colibrì

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