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Chi racconta le rivoluzioni arabe come una storia già conclusa, come un fallimento inevitabile, farebbe bene a ricordarsi come la Tunisia abbia cacciato il proprio dittatore e abbia fatto passi da gigante nello sviluppo democratico e nel rispetto delle libertà collettive, come quelle di espressione e di associazione. Questo percorso coraggioso, che ovviamente non poteva essere istantaneo e privo di problemi, è culminato con l’adozione di una nuova costituzione il 27 gennaio 2014.

Le persone che difendono i diritti umani in Tunisia sono fiere di questa costituzione, a cui fanno riferimento costantemente. Damj, l’associazione tunisina per la libertà e la giustizia che difende i diritti delle persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali), afferma che “la nuova costituzione, frutto di un lungo processo consensuale, risponde nel suo insieme alle aspirazioni delle forze democratiche: infatti stabilisce la maggior parte dei diritti e delle libertà e limita fortemente le possibilità di restringerli o di violarli”.

Eppure il codice penale tunisino continua a prevedere reati che, in nome di un moralismo imposto per legge, calpestano le identità e la dignità della popolazione: l’articolo 230, che risale al 1913 e che è ancora applicato, condanna con il carcere l’omosessualità femminile e maschile (indicata con il termine “sodomia” nella traduzione ufficiale francese).

L’apparato poliziesco e giudiziario, inoltre, perseguita le persone LGBTQI (o che sembrano tali) accusandole ingiustamente di altri crimini, come l’oltraggio al pudore, la prostituzione e l’adescamento. Chi finisce in carcere con queste accuse subisce maltrattamenti psicologici e fisici, spesso vere e proprie forme di tortura, come i famigerati “test anali”, cioè esami dell’ano totalmente privi di validità scientifica con cui si pretende di capire se una persona è stata penetrata o no [Il Grande Colibrì].

Uno stato che agisce in questo modo giustifica e alimenta l’omofobia e la transfobia nella società: le aggressioni per strada, le discriminazioni contro le minoranze sessuali, le dichiarazioni di odio sui media e persino le “goliardate” in stile nazista [Il Grande Colibrì] sembrano diventate più frequenti dopo una serie di arresti di ragazzi accusati di essere omosessuali [Il Grande Colibrì].

Per eliminare questa legge – e con essa le sue conseguenze giudiziarie, politiche, sociali e culturali – venerdì prossimo (4 novembre) Damj ha organizzato a Tunisi una tavola rotonda sull’incostituzionalità dell’articolo 230 del codice penale, a cui parteciperanno anche esponenti dell’Association de Défense des Libertés Individuelles (Associazione di difesa delle libertà individuali; ADLI) e della Fédération Internationale des Droits de l’Homme (Federazione internazionale dei diritti umani; FIDH): l’incontro servirà a spiegare quello che è evidente, cioè che la criminalizzazione dell’omosessualità è in contrasto con i principi di libertà stabiliti dalla costituzione e dalle convenzioni internazionali firmate dalla Tunisia.

Damj, nell’annunciare questa importante iniziativa, sottolinea l’importanza della rivoluzione del 2011: l’azione del movimento arcobaleno tunisino, in altre parole, non rinuncia o misconosce il processo rivoluzionario, ma al contrario si inserisce con forza al suo interno e chiede il suo completamento. Perché oggi la Tunisia deve mantenere la sua promessa di libertà, uguaglianza e dignità per tutte le persone, comprese quelle LGBTQI.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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