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Nella notte del 27 giugno 1969, poco dopo l’1.20, la polizia irruppe nello Stonewall Inn, un bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village, un quartiere del distretto di Manhattan a New York. Il simbolo di quella notte è Sylvia Rivera, la donna transgender e immigrata che per prima scagliò contro la polizia un tacco (ma c’è chi parla di una bottiglia), facendo partire una delle prime manifestazioni della comunità. Oltre 2mila persone si scagliarono contro 400 poliziotti e nei giorni successivi vennero raggiunte da altre centinaia e centinaia di persone al grido di “Gay power”, che riprendeva lo slogan “Black power delle battaglie per i diritti civili degli afroamericani negli anni ’60.

Un paese intollerante

Sono passati 50 anni e qualche giorno fa Valeria Fabrizi ha usato la parola “ne*ra” in diretta nazionale su Rai 1, mentre su “Striscia la Notizia” Michelle Hunziker ha lanciato un video in cui Paolo Kessisoglu imita Laura Boldrini e usa la parola “ne*ro“. Il disegno di legge Zan è fermo al Senato perché “ci sono altre priorità per il paese“. La cantante Elodie viene attaccata con insulti sessisti solo perché si permette di dire: “Questa gente non dovrebbe essere in parlamento, questa gente è omotransfobica”.

Sono passati 50 anni di lotte, di sudore, di battaglie e di grida verso uno stato che non ha colto le nostre richieste. Ci hanno “concesso” le unioni civili nel lontano 2016, e quanto abbiamo dovuto lottare per diventare cittadini di serie B in questo paese! Sono passati 50 anni e le donne, le persone LGBTQIA, nere, rom, disabili o straniere sono ancora sul filo del rasoio, ancora scendono in piazza per chiedere di essere riconosciute, per chiedere la parità, gli stessi diritti, le stesse possibilità in uno stato che non è in grado di ascoltare, ma purtroppo parla, parla sempre, parla troppo.

pugno chiuso nero protestaUna battaglia unica

Ormai ho 30 anni, è solo un numero, forse, però sono stanco di veder calpestata la mia dignità, di vedere come coloro che sono sempre stati contrari alle nostre richieste sfoggiano i propri privilegi, di vedere le ingiustizie sociali che ogni giorno mi toccano, mi calpestano e mi tolgono il respiro. Ogni giorno la mia dignità viene derisa e ingiuriata da coloro che hanno il privilegio di avere tutto sulle mie spalle. Mi sento morire dentro e mi ripeto che bisogna lottare e non arrendersi: la mia generazione ha dato tanto, tantissimo a questo paese e quella precedente ancora di più.

Io in piazza, quando tutto questo passerà, ci sarò ancora, ma mi piacerebbe che ci fosse qualcosa di diverso dal solito in quelle piazze. Io sono gay, femminista, rom, nero, e non posso sdoppiarmi, triplicarmi o quadruplicarmi per ogni parte della mia identità per chiedere semplicemente di essere riconosciuto. Mi piacerebbe, quando tutto questo passerà, vedere una piazza più colorata, inclusiva, unita nella propria diversità, perché sono convinto che le battaglie civili non siano una prerogativa di ogni minoranza per sé ma la battaglia che ci riguarda tutt@. Quando qualcuno ci ricorderà che “vennero a prendere gli zingari”, dovremo poter testimoniare che “ci alzammo tutt@ e gli dicemmo: ‘Non questa volta, stronz@’“.

Ervin Bajrami
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da gagnonm1993 (CC0) / da sstoppo (CC0)

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