Skip to main content

La notizia aveva sconvolto il paese: lo strangolamento di una ragazza transgender di 32 anni nel carcere dove era rinchiusa da meno di due mesi. Ma si trattava solo di voci infondate: grazie all’intervento dell’associazione arcobaleno DAMJ, la Ligue Tunisienne des Droits de l’Homme (Lega tunisina  dei diritti umani) ha verificato che la detenuta è viva e in buone condizioni. La bufala dell’assassinio della giovane trans, comunque, ha avuto un effetto positivo: ha spinto i media a interessarsi della condizione delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) nelle prigioni tunisine.

Perché non tutto va bene, anzi. Dal momento che la legge non riconosce la sua identità di genere, Frifta è finita dietro le sbarre del carcere maschile di Mornaguia, a 14 chilometri dalla capitale Tunisi. Come sottolinea Mounir Baatour, avvocato dell’associazione arcobaleno Shams (Sole) che ha diffuso la falsa notizia, “la nozione di transgender non è riconosciuta né dal regolamento interno della prigione né dalle norme relative all’amministrazione penitenziaria: le donne transgender sotto processo sono detenute nelle prigioni maschili, in accordo con il loro stato civile“.

La “tana del leone”

Nel carcere di Mornaguia, comunque, tutte le donne transgender sono rinchiuse insieme ai detenuti gay e bisessuali in un’unica cella, chiamata sarcasticamente “Bit Syouda” (tana del leone): un po’ per proteggere chi è percepito come sessualmente diverso e un po’ per isolarlo, l’amministrazione carceraria cerca di evitare che le persone LGBTQIA si mescolino con gli altri detenuti. Anche per l’ora d’aria, gli ospiti della “tana del leone” non utilizzano gli spazi comuni, ma hanno a disposizione uno piccolo cortile interno separato.

Questa separazione, in realtà, è solo teorica: molti detenuti appartenenti a minoranze sessuali, a cui spesso manca il sostegno delle famiglie, sono costretti a prostituirsi con gli altri prigionieri in cambio di cibo o di sigarette. Per questo una parte della società tunisina chiede di migliorare la condizione generale dei detenuti LGBTQIA nel paese, ben consapevole che il primo passo per farlo dovrà essere la decriminalizzazione dell’omosessualità, con la cancellazione dell’articolo 230 del codice penale, e il riconoscimento dell’identità di genere delle persone trans.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

Errata corrige: in una prima versione dell’articolo, presente online per quasi un’ora, l’assassinio di Frifta era presentato come realmente accaduto.

Leggi anche:

Tunisia: è stato stuprato, ma finisce in carcere perché gay

Arresti e censure anti-gay: dove sta andando la Tunisia?

Leave a Reply