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Durante controlli di routine, la polizia di Temara, sulla costa atlantica del Marocco, ha scoperto in un parco due ragazzi, entrambi under 30, mentre facevano sesso o, forse, si scambiavano carezze molto esplicite. I due giovani non hanno opposto resistenza e hanno ammesso subito di essere omosessuali. Sono stati arrestati e saranno processati con l’accusa di omosessualità e di atti osceni in luogo pubblico [Assabah]. Sul web si commenta: “Dovrebbero arrestarli tutti questi sodomiti, non hanno nessun pudore!”; “Ma dove sono finiti i nostri principi morali? In altri paesi musulmani la legislazione è più severa con questo genere di immoralità: decapitazione!”.

Sprofonda ancor di più nell’assurdo l’arresto di altri due ragazzi, poco più che ventenni, a Orano, una delle principali città dell’Algeria: solamente per essersi segnalati a vicenda su Facebook come sposi, i due molto presunti fidanzati sono ora accusati di atti contrari alla decenza e addirittura di istigazione alla corruzione morale [El-Khabar]. Anche in questo caso gli internauti commentano: “La gioventù algerina imita tutto quello che proviene dall’Occidente: si depilano, si mettono gli orecchini, ballano…”; “Credo che il motivo di questa pagliacciata sia il crollo del nostro sistema morale, a partire da quello che mostra e dice la sommità della piramide del potere”.

Le manette e le ingiurie sul web sono le due facce di una stessa medaglia: l’omofobia delle istituzioni fonda la propria pretesa di legittimità sull’omofobia della società e, specularmente, l’omofobia della società può esprimersi senza freni quando sa di essere protetta, se non addirittura incoraggiata, dall’omofobia delle istituzioni. E allora si capisce come lo slogan scelto per la Giornata internazionale contro l’omofobia [IDAHO] del 17 maggio,  “Combatti il virus web dell’omofobia. In internet e nei social media”, centri in pieno una questione essenziale per la lotta alla discriminazione, tanto nei paesi occidentali quanto in quelli orientali, passando ovviamente anche per gli stati con una maggioranza musulmana come Marocco e Algeria.

Per la Giornata contro l’omofobia le associazioni arcobaleno di entrambi questi paesi stanno organizzando delle cyber-campagne contro l’odio motivato dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere che stanno raccogliendo molta attenzione dai nuovi media dell’Africa nord-occidentale.

Se in Algeria ci si limita ad una sorta di catena di sant’Antonio per aumentare i fan della pagina Facebook dell’associazione Alouen (Colori) e quindi per offrire più visibilità alle persone LGBTQ* del paese, in Marocco il giornale Aswat (Voci) ha invitato gli omosessuali, i transgender e tutti i loro amici a pubblicare sul web messaggi e fotografie in cui si chieda al governo di depenalizzare l’omosessualità e alla stampa di smetterla di dipingere con tinte negative e anti-scientifiche l’omosessualità, perché “liberare e proteggere attraverso il diritto le minoranze sessuali della società non è assolutamente una violazione delle libertà, dei diritti o dei valori religiosi altrui”. La campagna, chiamata “L’amore per tutti”, non solo ha riscosso un buon successo sui social network, ma soprattutto ha attirato l’attenzione dei media locali.

Il web, in questo caso, ha mostrato il meglio e il peggio di sé. “Il Marocco è un paese musulmano e non potrà mai riconoscere diritti in contrasto con le sue credenze né approvare o riconoscere relazioni così impudiche” scrive qualcuno, e un altro aggiunge: “Questi esseri umani pensino a consultare degli psichiatri per le loro turbe comportamentali: negli USA hanno avuto buoni risultati con alcuni finocchi”. Non sono mancati neppure segnali positivi, oltre alle adesioni alla campagna di Aswat. Ad esempio, un commentatore scrive: “La sessualità non è una scelta, quindi non si capisce in nome di cosa un capo spirituale umano possa sostenere che l’omosessualità sia un errore! Vivete rispettando gli altri: aiuta ad essere felici”. E un altro: “Gli omosessuali subiscono ingiustizie, eppure non fanno del male alla società!”.

In Marocco la Giornata contro l’omofobia del 17 maggio sarà particolarmente tesa anche perché arriverà subito dopo lo sbarco nel regno alawide di Frigide Barjot [Afrik], la principale leader delle proteste di massa contro la legge sul matrimonio omosessuale in Francia [Il Grande Colibrì]. Gli omofobi francesi hanno deciso di imitare quelli americani: sconfitti in patria, tentano una rivincita in Africa [Il Grande Colibrì]. Eppure, sebbene il sit-in inizialmente ipotizzato sia saltato e Barjot si limiterà ad alcuni incontri privati, ci si chiede che senso abbia una tournée contro le nozze gay in un paese dove l’omosessualità stessa è considerata reato… Barjot sostiene che nelle scuole francesi, molto diffuse e rinomate in Marocco, i bambini marocchini saranno sottoposti ad una propaganda a favore dell’omosessualità e contro l’Islam.

Ma, prima di Barjot, dalla Francia arriverà in Marocco Ludovic Mohamed Zahed, imam gay algerino che ha fondato l’associazione Omosessuali Musulmani di Francia e che coordina CALEM, la Conferenza delle associazioni LGBTI europee e musulmane. Zahed sarà ospite del Centro di ricerca sull’Africa e il Mediterraneo [CERAM] di Rabat nell’ambito di una conferenza su “Femminismi e religiosità” e parlerà di Islam progressista e di identità LGBTQ*. “Sono molto emozionato per questa conferenza” dice a Il grande colibrì, con cui collabora da tempo: “Il network inizia a diventare più forte”.

La situazione è evidentemente segnata da grandi contrasti, con tanti segnali positivi e altrettanti negativi. Nei paesi dell’Africa nord-occidentale sono ancora vive le speranze suscitate dalle Primavere arabe, ma si fa sempre più strada la disillusione, il disincanto. Algérie Focus Elle, ponendosi alcune vibranti domande retoriche (“Gli omosessuali sono imprigionati per un crimine che non fa del male a nessuno? Per condurre la vita alla quale aspirano? Per avere il coraggio di accettarsi? Non è una punizione un po’ troppo severa?”), racconta la volontà sempre più forte dei gay e delle lesbiche di essere rispettati, ma anche la loro rassegnazione a non vedere riconosciuti i propri diritti. E’ lo stesso clima che descrive Tomaso Clavarino nel suo articolo (“L’inverno dei gay tunisini”) pubblicato sul numero di East in edicola.

E proprio in Tunisia gli attivisti LGBTQ*, sempre più scoraggiati, si preparano a celebrare la Giornata contro l’omofobia in tono minore, come racconta Badr a Il grande colibrì: “Pubblicheremo dei testi su Internet, faremo graffiti in diverse città del paese e organizzeremo un incontro in un luogo sicuro, dove vedremo un film e faremo una discussione”. Quante persone saranno presenti? “Una ventina”. A suscitare nuovi entusiasmi potrebbe essere la prossima realizzazione di un cortometraggio: “Ne stiamo discutendo, ma non è affatto sicuro che lo faremo”. Dalla Dichiarazione LGBT della Tunisia, pubblicata da Il Grande Colibrì, è passato solo un anno, ma sono stati dodici mesi di delusioni…

Per fortuna a dimostrare che l’omofobia non è scritta nel DNA dei paesi a maggioranza musulmana ci pensa l’Albania, dove il codice penale è stato riscritto in modo particolarmente innovativo: non solo sono state introdotte aggravanti per i crimini d’odio (con un articolo di legge che cita esplicitamente, oltre al razzismo, alla misoginia e altre forme di intolleranza, anche l’omofobia e la transfobia), ma verrà punita con pesanti multe e con il carcere fino a due anni la diffusione di messaggi anti-LGBTQ* attraverso i media, compresi i post su Facebook e su Twitter. Kristi Pinderi, attivista gay di Ambasciata Rosa, racconta a Il grande colibrì di non sapere se essere più sorpreso per il voto all’unanimità (“Non succedeva dall’era comunista”) o per i tempi (“E’ stato tutto velocissimo”).

L’11 aprile un diciottenne si è impiccato davanti alla casa di sua madre nella regione di Elbasan, nel centro dell’Albania, perché vittima di bulli che lo avevano preso di mira per la sua effeminatezza [Tema]. Lo stesso giorno un quotidiano albanese pubblicava alcune dichiarazioni omofobiche del ministro della Giustizia, Eduard Halimi. Gli attivisti, indignati e feriti, hanno immediatamente lanciato una campagna sul web e hanno organizzato un sit-in. La sera stessa il ministro si scusava, dicendo di essere stato frainteso, una settimana dopo il premier Sali Berisha riceveva Pinderi e una rappresentante del movimento lesbico per ribadire il proprio sostegno e dopo neppure un mese l’Albania è diventata un paese all’avanguardia nella legislazione anti-omofobia.

Merito anche e soprattutto di un movimento LGBTQ* straordinariamente agguerrito e organizzato, come dimostra il fitto calendario di eventi previsti per la Giornata contro l’omofobia e spalmati dal 13 al 26 maggio: tra conferenze, mostre, incontri, proiezioni e anche una biciclettata rainbow per le strade di Tirana, le cose da organizzare sono così tante, ci dice Pinderi, che ancora non c’è stato il tempo per festeggiare l’approvazione delle importanti riforme legislative.

Certo non è tutto perfetto neppure in Albania, anzi, sottolinea l’attivista, “le cose hanno tanti colori e alcuni sono colori scuri”. Era completamente nera, ad esempio, la homepage del difensore civico albanese, Igli Totozan, vittima di hacker perché favorevole ai diritti LGBTQ*. Ma gli hacker sono riusciti a cancellare la sua pagina web, ma non il senso delle sue parole: “E’ una rivoluzione nella legislazione albanese”. Ed è un esempio e una speranza per il resto del mondo.

 

Pier
©2013 Il Grande Colibrì

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