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Le notizie di questa settimana:
Donne – Il velo islamico: oppressione o libertà?
Donne – La imam progressista che difende i gay
Turchia – Strage a Suruc, le colpe del governo
Medio Oriente – Accordi e guerre: quale futuro?
Iran – La battaglia di Israele contro l’accordo

Donne – Il velo islamico: oppressione o libertà? In un video Hanna Yusuf difende l’hijab contro strumento di liberazione dall’oggettificazione sessuale. Intanto in Libia l’ISIS detta le sue leggi sul velo.

Per molti uomini e per le donne senza hijab, questo pezzo di stoffa è un simbolo di oppressione. Ma perché l’hijab suscita tutto questo clamore? Non perché rappresenta una minaccia ai valori progressisti, ma perché va contro gli imperativi commerciali che sostengono la cultura del consumo. Non voglio assolutamente negare che in alcune aree del mondo siano costrette ad indossare l’hijab, a volte con metodi violenti, ma presumendo che tutte le donne con l’hijab siano oppresse, sminuiamo la scelta di quelle che vogliono indossarlo. Anche quando le donne dicono chiaramente di voler indossare l’hijab, vengono ignorate o messe a tacere. Se la pressione per indossare l’hijab è giustamente considerata come un’oppressione, perché la pressione legale e sociale per non indossarlo viene considerata una forma di emancipazione? [traduzione italiana di internazionale.it]

Hanna ci chiede di rispettare la sua scelta di indossare l’hijab denigrando le donne che non lo indossano, suggerendo che sono schiave dell’industria della moda occidentale. Poi ci propone la “falsa dicotomia” (come nota Kate Maltby su spectator.co.uk) tra l’hijab e il bikini, che è “uno dei più vecchi refrain anti-femministi“. E comunque nessuno stato al mondo ha reso il bikini obbligatorio, come invece avviene con l’hijab in Iran e in Arabia Saudita. Le donne in quei paesi sono flagellate se violano le rigide norme sull’abbigliamento. Che ne è della loro libertà di scelta? E’ facile per Hanna, donna occidentale privilegiata, insistere sulla propria scelta, ma che dire dei diritti delle sue sorelle nei paesi musulmani? Certe donne difendono (giustamente) il diritto delle donne ad indossare l’hijab, ma difendono con meno forza il loro stesso diritto a non indossarlo. [nation.com.pk]

Il 15 luglio 2015 il gruppo Stato islamico (IS) di Tripoli, in Libia, ha messo online un fotoreportage sulle proprie attività di attacchinaggio di contenuti religiosi nelle strade di Sirte. Un manifesto è relativo alle norme islamiche sull’abbigliamento femminile. Intitolato “Attributi del velo islamico”, elenca le sette caratteristiche di un velo adeguato: 1) deve essere spesso e opaco; 2) non deve essere attillato; 3) deve ricoprire l’intero corpo; 4) non deve avere la forma di un abito elegante; 5) non deve assomigliare ai vestiti degli uomini o delle donne infedeli; 6) non deve essere attraente e non deve attirare l’attenzione; 7) non deve essere profumato. Ad aprile 2015 l’IS aveva prodotto un manifesto identico a Mossul, in Iraq. [memri.fr]

Donne – La imam progressista che difende i gay. La imam Ani Zonneveld [ilgrandecolibri.com], fondatrice di Musulmani per i valori progressisti (MPV), difende la libertà di tutti e la laicità delle istituzioni.

Ani Zonneveld è imam ed è anche donna. Si definisce “una imam con la ‘i’ minuscola“, e la sua riluttanza nell’uso della “i” maiuscola dice molto del suo approccio al culto, privo di ossequio ad una tradizione islamica che è stata e continua ad essere dominata dagli uomini. Ha fondato una comunità musulmana, Musulmani per i valori progressisti (MPV), che abbraccia la parità di genere, i diritti gay e i matrimoni interconfessionali. Il suo gruppo si è diffuso anche al di fuori dell’America e conta più di 10mila membri, anche se molti hanno aderito o simpatizzato in segreto. Il suo sostegno esplicito ai diritti delle persone LGBT è radicale da un punto di vista islamico. “E’ un ritorno radicale alla tradizione – insiste – perché il profeta Maometto non ha mai perseguitato nessuno perché omosessuale. Nel Corano non ci sono punizioni per gli omosessuali, punto“. [pri.org]

Turchia – Strage a Suruc, le colpe del governo. Con la strage di Suruc la guerra siriano-irachena sconfina in Turchia: i pro-curdi dell’HDP e i progressisti del CHP puntano il dito contro il governo.

Sono corresponsabili di questa barbarie tutti i paesi e regimi che appoggiano l’ISIS, che rimangono in silenzio o che non osano alzare la voce contro l’ISIS. Sono complici di questa barbarie i governanti di Ankara che ogni giorno minacciano il Partito Democratico del Popolo (HDP) e coccolano l’ISIS. Noi dell’HDP vogliamo che tutta la società turca sappia chiaramente che ci impegniamo a realizzare i nostri principi di democrazia, giustizia e pace,  e che continueremo a difendere questi principi in qualsiasi circostanza. Per attuare questi principi, è tempo di essere gli uni affianco degli altri più che mai, con una solidarietà maggiore contro l’ISIS e contro chi ne condivide le idee: sarà la solidarietà tra i popoli, e non le politiche subdole del governo, a fermare questa armata violenta. Il governo provvisorio è responsabile di ogni tipo di falla nell’intelligence e nella sicurezza [hdp.org.tr]

Un rappresentante di una delegazione del Partito Popolare Repubblicano (CHP) invitava a Suruc per ispezionare il sito dell’attacco dinamitardo di lunedì, ha chiesto al governo provvisorio di assumersi la responsabilità dell’attacco e al ministro degli interni ad interim e al sottosegretario per l’Organizzazione nazionale di intelligence (MIT) di dimettersi. Il vice presidente del CHP, Veli Ababa, ha detto che la responsabilità della strage sta nelle politiche nei confronti della Siria attuate dal MIT e dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP). “Ci devono essere conseguenze. Il MIT è già stato politicizzato” ha affermato Ababa. [todayszaman.com]

Medio Oriente – Accordi e guerre: quale futuro? Tra guerre, terrorismo, rivendicazioni territoriali e accordi internazionali, il volto del Medio Oriente è destinato a trasformarsi radicalmente: ma come?

Nell’attuale contesto regionale sono possibili due percorsi: continuare a cercare di costruire mini-stati “puri” dal punto di vista religioso o etnico; o stabilire nuovi accordi politici per gestire la diversità religiosa ed etnica in stati misti attraverso il consenso. La prima opzione garantirebbe la guerra perpetua, la seconda permetterebbe soluzioni non violente attraverso il compromesso. La pulizia etnica e religiosa violenta, come ha dimostrato una miriade di esempi, ha conseguenze drammatiche e produce un risentimento irreparabile. Gli ebrei d’Israele, che hanno proceduto ad una pulizia etnica nel 1948, sono ancora in conflitto con una popolazione palestinese che rifiuta di accettare la propria sventura. Anche se il passato non ci permette di essere ottimisti, non possiamo fare altro che sperare che prevalga l’idea di un patto sociale (federale, confederale o di altro tipo). [now.mmedia.me]

Israele e Arabia Saudita non hanno smesso di criticare la possibilità di un accordo sul nucleare per le conseguenze che avrebbe sulla regione. Al di là delle dichiarazioni incendiarie sul pericolo di un Iran con la bomba atomica (un pericolo che, secondo tutti gli esperti, sarebbe totalmente annullato in caso di accordo), sono soprattutto le nuove risorse offerte dalla revoca delle sanzioni ad inquietare Riyad e Tel Aviv, che temono che l’Iran utilizzi questo denaro per alimentare, ancor più di quanto non faccia già, le sue guerre per procura su differenti fronti. A breve termine, l’accordo sul nucleare non dovrebbe cambiare fondamentalmente la situazione regionale, ma a medio e lungo termine potrebbe sconvolgerla completamente con possibilità di negoziati sui dossier libanese, siriano, iracheno, yemenita e israelo-palestinese. [lorientlejour.com]

 

Iran – La battaglia di Israele contro l’accordo. Il governo israeliano cercherà di convincere il parlamento degli USA a bocciare l’accordo con l’Iran, senza avere chiare quali potrebbero essere le conseguenze.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, intervistato domenica, ha detto che continuerà a combattere contro lo storico accordo sul nucleare iraniano, definendolo “un accordo pessimo”, per tutti mentre il Congresso degli Stati Uniti si prepara a votarlo. “Io credo che sia un un accordo pessimo con un regime pessimo. E’ una brutta notizia per la sicurezza di tutti” ha detto Netanyahu, uno dei più feroci critici nei confronti dell’accordo. Quando gli è stato chiesto se eserciterà pressioni personalmente sul Congresso, che ha 60 giorni per analizzare e votare il disegno di legge, Netanyahu ha risposto: “Io credo che sia molto importante per me, in quanto primo ministro del solo ed unico stato ebraico, combattere contro questo accordo, che riteniamo un pericolo per la nostra sicurezza, persino per la nostra sopravvivenza, e per la sicurezza del Medio Oriente e del mondo”. [wsj.com]

Ho chiesto ad un ministro israeliano se sa cosa succederebbe nel caso in cui il Congresso americano dicesse no al veto di Obama. E’ stato un po’ zitto, come se considerasse questa possibilità per la prima volta. “Non è chiaro – ha risposto – Il Majlis, il parlamento iraniano, potrebbe decidere di rifiutare l’accordo e fabbricarsi la bomba. Gli iraniani potrebbero decidere, per rappresaglia, di violare l’accordo, ma solo marginalmente. Il mondo toglierebbe le sanzioni, mentre l’America manterrebbe le proprie. Sarebbe un gran casino”. Gli ho chiesto se questo casino sarebbe una buona notizia per gli ebrei. Lui non mi ha saputo rispondere. E’ davvero un peccato, perché questa domanda avrà un ruolo fondamentale nella battaglia sull’approvazione dell’accordo. [ynetnews.com]

2 Comments

  • Ned ha detto:

    la religione non ha mai liberato nessuno, la laicità sì

  • stefano monti ha detto:

    Io mi sento offeso dal velo perchè lo sento come un ostentazione, come la divisa di un pensiero che lascia solo la libertà di obbedire. Se il velo fosse facoltativo sarebbe diverso, invece così è solo il simbolo del giogo dei maschi. Mi offende perchè è una violenza contro tutto il pensiero di uguaglianza dei sessi formulato in europa dall’illuminismo in poi.

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