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In un paese profondamente omobitransfobico come il Brasile, essere LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) è una continua lotta per la sopravvivenza. Lo sa bene Alexya Salvador, prima pastora trans di tutta l’America Latina nonché membro della Metropolitan Community Church (Chiesa comunitaria metropolitana; MCC), un’istituzione ecclesiastica inclusiva molto nota per la sua apertura e vicinanza alle minoranze sessuali. Animata da una grande fede in Dio e dalla voglia di cambiare in meglio le sorti del suo paese, questa donna coraggiosa è diventata un vero e proprio punto di riferimento per la comunità queer della città di San Paolo.

Durante la giornata, il telefono di Alexya Salvador non smette praticamente mai di squillare. A chiamarla sono nella stragrande maggioranza dei casi ragazzə giovani, se non proprio giovanissimə. appartenenti alla comunità LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) brasiliana. Chiamano e raccontano la loro disperazione, parlano di quanto si sentano solə ed emarginatə. Moltə di loro confessano di aver pensato seriamente al suicidio. In alcuni casi, ad alzare la cornetta in cerca di aiuto e sostegno sono i loro genitori. La pastora lə ascolta tuttə con premurosa attenzione, cercando di offrire una parola di conforto e attivandosi al contempo per cercare delle concrete soluzioni.

Una fede più inclusiva

A chi le chiede cosa provi ascoltando quelle richieste d’aiuto, Salvador risponde che percepisce il loro dolore fin dentro al suo corpo perché sia lei che i membri della sua famiglia hanno dovuto sopportare insulti e discriminazioni. In molti casi, sottolinea la pastora con amarezza, le offese e gli atteggiamenti di intolleranza provenivano proprio dallə stessə rappresentanti della Chiesa cattolica, dalla quale Salvador si è ormai definitivamente allontanata. “Ho detto a me stessa: ‘Non sono più cattolica, non voglio più professare la religione cattolica perché è una religione che mi opprime” spiega con amarezza la pastora.

A chi le chiede se questa scelta abbia in qualche modo inciso sulla sua fede, Salvador risponde scuotendo la testa: “Ho tagliato i ponti con l’istituzione ecclesiastica, con la chiesa, ma non ho mai tagliato i ponti con la mia fede in Dio, in Gesù‘”.

E non li ha tagliati nemmeno Roberto, marito di Alexya e padre dellə loro tre figliə affidatariə, che fin dall’inizio della loro storia ha deciso di accompagnare e sostenere Salvador nella ricerca di una chiesa più aperta e inclusiva. Proprio come quella fondata nel 1968 dal reverendo Troy Perry a Los Angeles: “Prima di conoscere la MCC ero terrorizzata all’idea di andare all’inferno, di essere un errore di Dio” spiega Salvador senza nascondere la commozione, per poi concludere serenamente: “Studiando teologia, ho imparato che anch’io ho dei difetti, come tutti gli esseri umani. Ma essere una donna trans non è affatto un errore“.

Nicole Zaramella
©2021 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da Max Pixel (CC0)

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Nicole Zaramella: “Sono un ragazzo nerd, pansessuale, e non binary che per definirsi utilizza i pronomi maschili e femminili in alternanza. Ho origini etiopi per parte di padre e sardo-venete per parte di madre” > leggi tutti i suoi articoli

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