Skip to main content

L’omotransfobia nel continente africano ha davvero radici in quella terra? È possibile superarla? Mikael Owunna, fotografo nigeriano-svedese, e ormai anche statunitense, sta lavorando a un foto-documentario che porta alla luce le tante persone LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, trans e queer) africane immigrate in Occidente: “Limit(less)” (Senza limiti) racconta le loro storie, il loro esodo dal paese di origine, a volte per l’unica “colpa” di appartenere a una minoranza sessuale. Attraverso i loro stili e le loro vite di queer africani, colmano il divario che qualcuno vuol far credere esista tra l’essere LGBTQ e l’essere africano. “Limit(less)” vuole far capire che essere queer non è “un-african” (non africano), che essere africani e nello stesso tempo gay, lesbiche o transgender è possibile.

Owunna ci spiega inoltre come l’omofobia sia stata importata dai colonizzatori delle ricche terre del continente nero, raccontandoci la storia curiosa quanto incredibile della regina dei regni di Ndongo e Matamba (l’attuale Angola), vissuta tra il 1500 e il 1600. Una cosa è certa: la maggior parte delle leggi che rendono illegale l’omosessualità nei paesi africani e sud-asiatici sono di origine coloniale [Il Grande Colibrì], e questo forse già basterebbe a far capire molte cose. Mikael Owunna attraverso questa intervista ci racconta di sé, di Limit(less) e dei programmi futuri.

africani queer nelle fotografie di Mikael Owunna

Kaamila, Tyler e Willo, queer somali immigrati in Nord America

Parlaci un po’ di te. Da dove vieni?

Mi chiamo Mikael Owunna e sono nigeriano-svedese, ma sono cresciuto negli Stati Uniti. Sono gay e anche un fotografo. Grazie al mio lavoro cerco di dare voce alle comunità emarginate attraverso i miei progetti. Ad ogni clic della mia macchina fotografica provo ad immaginare come potrebbe essere un mondo libero per queste persone emarginate dalla società.

Cos’è “Limit(less)” e perché hai deciso di intraprendere questo progetto?

“Limit(less)” è un progetto documentario sugli immigrati africani LGBTQ: attraverso il progetto e con i diversi stili queer africani cerco di abbattere la convinzione che essere LGBTQ sia “un-african”. Ho voluto iniziare questo progetto partendo dalla mia esperienza di gay e nigeriano. Per molti anni ho combattuto profondamente con queste identità, e poi ho visto l’incredibile opera di Zanele Muholi sulle lesbiche nere in Sudafrica. Mi ha ispirato ad avviare questo progetto e ricollegarmi al mio esodo.

africani queer nelle fotografie di Mikael Owunna

Netsie, queer etiope-namibiana, e Taib, queer etiope-keniano

Perché c’è la convinzione che essere gay sia “un-african”?

Ciò è dovuto al colonialismo europeo. Ci sono decine di esempi di società africane pre-coloniali con ricche e molteplici intese tra genere e sessualità. Un famoso esempio è quello di Nzinga di Ndongo: era una regina dell’Angola che condusse una guerra di resistenza durata 40 anni contro l’incursione del dominio portoghese. È interessante sapere che il suo titolo nella sua lingua era “ngola”, che significa re. Lei governò vestita in modo maschile come un re e con un harem di giovani uomini vestiti da donne, che erano le sue mogli. Insomma, nell’Africa del 1600 c’era una regina “maschiaccio” con un harem di drag queen che condusse una guerra di resistenza contro il colonialismo europeo: è incredibile!

Ciò dimostra che gli africani sono sempre stati all’avanguardia per quanto riguarda genere e sessualità e questa recente omofobia e transfobia è una novità. È stata importata dai colonizzatori europei che criminalizzavano gli atti omosessuali e tante altre cose.

Perché hai scelto di usare la fotografia? Sembrerebbe un mezzo più difficile dal momento che molte persone potrebbero voler rimanere nascoste.

È sicuramente impegnativo per la sicurezza di una persona, ma poiché stiamo fotografando le persone immigrate, che oggi si trovano principalmente negli Stati Uniti, in Canada e in Europa, abbiamo livelli di protezione e sicurezza che molte persone del continente africano non hanno. Ho scelto la fotografia perché questo è il mio primario strumento artistico da 8 anni.

africani queer nelle fotografie di Mikael Owunna

Em (trans), Odera e Eniola, nigeriani immigrati negli Stati Uniti

Cosa vorresti comunicare con “Limit(less)”? E cosa ti motiva?

Vorrei comunicare che è possibile essere LGBT e africani amandoci per quelli che siamo, nonostante un mondo che cerca di negarci. Mi motiva conoscere l’idea di libertà e di amore delle altre persone. Lavoro per catturarle con la mia fotocamera e imparare un po’ di più come posso amare me stesso.

È stato difficile trovare le persone per questo progetto? Hai incontrato scetticismo o ostacoli da parte dei partecipanti o di qualcun altro?

All’inizio era difficile perché conoscevo solo altre due persone LGBTQ africane, quindi i social media sono stati davvero importanti per il mio percorso. Le persone erano sorprendentemente aperte nel parlare delle loro esperienze, ma solo poche tra queste erano d’accordo nell’apparire pubblicamente. Ora che ho iniziato, è sempre più facile, ma ogni volta che cerco di espandere l’ambito geografico in un altro paese devo effettivamente partire da zero.

africani queer nelle fotografie di Mikael Owunna

Il marocchino Yahya e il nigeriano Terna, musulmani negli USA

Stai pianificando di portare avanti questo progetto in altri paesi al di fuori degli Stati Uniti?

Assolutamente! Ho già girato in 4 paesi – Stati Uniti, Canada, Svezia e Trinidad e Tobago – e proseguirò in Europa questo autunno. Scatterò fotografie in almeno 5 paesi (Belgio, Francia, Portogallo, Regno Unito e Svezia) e magari anche qualcuno in più. Sono entusiasta di conoscere sempre più storie di immigrati africani e rifugiati LGBTQ che hanno subito un esodo e sono in Europa.

Mikael Owunna, ha aperto una campagna di raccolta fondi per permettergli di raggiungere l’Europa e lavorare al suo progetto. Chi vorrà sostenerlo, potrà farlo attraverso il sito ufficiale di Limit(less).

 

Ginevra
©2017 Il Grande Colibrì

Leave a Reply