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La Turchia non è un paese arabo e le proteste in Turchia non sono una primavera araba. Eppure vari elementi, più o meno importanti, accomunano le tensioni turche e quelle che infiammano molti paesi dell’Africa del nord. Tra questi, il legame tra la comunità LGBT (lesbica, gay, bisessuale e transgender) e il luogo simbolo delle rivolte: tanto piazza Tahrir al Cairo quanto piazza Taksim e il limitrofo parco Gezi a Istanbul, infatti, sono conosciuti come aree di battuage, dove i gay si conoscono, fanno amicizia, organizzano incontri sessuali. Il parco Gezi, che di giorno è il regno delle famiglie alla ricerca di un angolo di verde, di notte diventa la repubblica di un’omosessualità proletaria e quasi anarchica che preferisce le fronde degli alberi lungo via Mete ai locali gay chic per cercare una sveltina, un prostituto, un amore…

Non a caso, dunque, la comunità LGBT è stata in prima linea fin dal primo momento nella difesa del parco Gezi, che il premier turco Recep Tayyip Erdoğan voleva distruggere per fare spazio ad un centro commerciale. La protesta, che poteva rimanere una lagnanza di quartiere, si è trasformata in una ribellione generale che ha coinvolto tutte le principali città, dalla capitale Ankara a Smirne, da Antalya ad altre decine di centri, e che ha raggruppato molteplici istanze: la denuncia della deriva autoritaria del governo, la difesa della laicità, la critica ad un capitalismo vorace e inumano, la richiesta di maggiore democrazia… “Il popolo non ne può più dell’avanzata del capitalismo e del conservatorismo” dice Ömer Akpınar, responsabile stampa di Kaos GL, una delle principali organizzazioni LGBT del paese.

Il concetto cardine delle proteste, racconta l’attivista, è quello di “spazio pubblico”: “Le nostre proteste ruotano intorno all’uso dello spazio pubblico – e con questa espressione intendiamo anche i media, perché ci sono troppe pressioni sui modi con cui le persone devono interagire tra loro e con cui devono essere rappresentate nello spazio pubblico mediatico“. Vittime delle pressioni sono anche e principalmente le persone omosessuali e transessuali: se i loro diritti non erano difesi neppure dai governi laici kemalisti e la situazione non è cambiata molto, la retorica religiosa del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), la forza islamista al potere, ha reso il problema più evidente.

A differenza di quanto raccontato da alcuni media, tuttavia, le proteste turche non hanno avuto sfumature anti-religiose, neppure da parte dei gruppi laici e atei: “Il nostro obiettivo non è la religione, ma questo ‘neo-Islam’: il governo usa l’Islam sunnita come uno strumento per ignorare le minoranze, per creare una cultura monolitica, per coprire tutto il suo autoritarismo” spiega Ömer. L’uso politico della religione è criticato anche da molti musulmani e “la gente vuole libertà per tutti, credenti e non credenti“. In manifestazioni caratterizzate da un sorprendente pluralismo, donne velate hanno marciato accanto a ragazze punk, tifosi di calcio accanto a famiglie borghesi, politici nazionalisti accanto a rappresentanti delle minoranze etniche…

Per il movimento arcobaleno è stato il momento per rinsaldare i legami politici e sociali creati in decenni di un attivismo ampio e generoso: “Il nostro movimento è sempre stato in contatto con altri movimenti, come quello curdo, quello femminista, quello ecologista… Consideriamo l’oppressione delle persone LGBT come un’intersezione di diverse questioni, come la classe, l’etnia, il genere, i privilegi in generale”. Ma le proteste di Gezi sono state anche l’occasione per creare un dialogo con interlocutori tradizionalmente ostili o indifferenti: “C’è stata una forte solidarietà tra tutti i gruppi, anche tra persone LGBT e musulmani: durante il Ramadan, per la prima volta nella storia turca, le persone si sono sedute e hanno fatto la cena di rottura del digiuno su viale İstiklâl [la più importante strada pedonale di Istanbul]” racconta Ömer.

Le associazioni LGBT non hanno solamente protestato, non hanno solamente organizzato punti di distribuzione di cibo e bevande, non hanno solamente fornito cure mediche di primo soccorso ai manifestanti colpiti dalla polizia, come hanno fatto tanti altri gruppi. Gli attivisti omosessuali e transessuali hanno anche contattato gli altri spezzoni della protesta e hanno cercato di convincerli a non usare più slogan omofobici, transfobici, misogini… I risultati sono stati sorprendenti: il coro più usato dai tifosi (“Erdoğan è frocio [ibne]”) è diventato “Erdoğan è sessista”, mentre anche i Musulmani anti-capitalisti hanno partecipato al Pride, insieme ad altre decine di migliaia di turchi che grazie alla comune battaglia per il parco Gezi hanno conosciuto e finalmente capito i loro concittadini “non eterosessuali”.

Ora il parco Gezi è salvo, grazie ad una sentenza del tribunale di Istanbul, ma il tentativo del governo di imporre i propri folli progetti di stravolgimento edilizio di una delle città più affascinanti del mondo ha scoperchiato il vaso di Pandora: la lenta involuzione della democrazia turca non potrà più procedere in silenzio e senza scosse e una fetta importante della popolazione chiede anzi maggiori diritti, maggiori libertà, maggiore partecipazione. Per tutti.

La generosità dei manifestanti, concentrati sul concetto generale di cittadinanza invece che su richieste particolari di gruppo, ha fatto fare un passo avanti a tutte le istanze politiche. La repressione del governo ha trasformato gruppi tra loro lontani in persone che ora si sentono unite emotivamente, che sentono empatia le une per le altre. E la Turchia, se prevarranno i valori chiave della protesta, cioè pluralismo e rispetto, potrà tornare un modello per i democratici di tutti i paesi a maggioranza musulmana, una speranza per il mondo intero. La Turchia non è un paese arabo e le proteste in Turchia non sono una primavera araba. Ma forse il futuro dei paesi arabi e delle primavere arabe sta sbocciando in un parco di Istanbul, dove i bambini giocano di giorno e gli uomini fanno l’amore di notte…

Atlante LGBT delle proteste globali – 1. La Tunisia

Atlante LGBT delle proteste globali – 3. La Bulgaria

Atlante LGBT delle proteste globali – 4. Il Brasile

Atlante LGBT delle proteste globali – 5. La Russia

Pier
©2013 Il Grande Colibrì

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