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Sidi Bouzid, Il Cairo, Atene, Barcellona, Santiago, Mosca, Tel Aviv, New York, Bucarest, Sofia, Istanbul, San Paolo… Imponenti proteste di massa hanno caratterizzato questi ultimi mesi, lasciando smarriti anche i più esperti analisti: siamo di fronte a tempeste locali, che produrranno pozzanghere che il sole farà presto evaporare, o alle avvisaglie di un diluvio universale, che rivoluzionerà il corso della storia? Le certezze sono poche: la crisi economica globale ha sbugiardato un modello capitalistico aggressivo, disinteressato alle persone e fonte di profonde disuguaglianze, mentre i nuovi mezzi di comunicazione hanno fatto conoscere direttamente libertà e diritti ai sudditi delle dittature e hanno svelato i limiti e i formalismi delle democrazie ai loro cittadini.

Per il movimento LGBT di alcuni paesi queste proteste sono state un’occasione importante per inserire il rispetto della diversità sessuale ed affettiva in un modello di futuro diverso e plurale. In altri paesi, invece, suonano come l’ultimo avvertimento: l’apertura al mondo deve essere reale, il concetto di lobby è superato, la pretesa di imparzialità sulle altre questioni discusse nell’arena politica è assurda e controproducente. In questo viaggio in alcuni luoghi della protesta globale che svolgeremo questa settimana, partiremo da dove tutto è partito, da una piccola città della Tunisia, per fare poi tappa in Turchia, Bulgaria, Brasile e Russia. Scopriremo grandi differenze e profonde somiglianze, molti motivi di preoccupazione e sconfinate ragioni di speranza…

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17 dicembre 2010: Mohamed Bouazizi si dà fuoco a Sidi Bouzid, una cittadina nel centro della Tunisia, per protestare contro gli abusi del potere e la povertà. Queste fiamme si trasformano in poco tempo da una tragedia personale a un incendio popolare che investe, direttamente o indirettamente, numerosi paesi arabi. Milioni di persone scendono per le strade a pretendere democrazia e lavoro, pagando anche con la propria vita. Alcuni dittatori sono costretti ad abbandonare il potere… Oggi di quei giorni gloriosi sembra rimasta solo la cenere: la vittoria del conservatorismo sociale e religioso in Tunisia, il governo corrotto e accentratore dei Fratelli Musulmani ed il colpo di stato in Egitto, la guerra civile in Siria, la Libia ridotta a nazione fantasma. La primavera araba non è sbocciata, è diventata inverno, come titolano i giornali?

“La rivoluzione è un processo e in Tunisia siamo in pieno processo rivoluzionario” risponde Paloma Negra, uno dei principali esponenti del Gruppo degli LGBT tunisini. Le rivoluzioni sono state prima di tutto una sfida ad uno status quo ormai insopportabile e sin dall’inizio era chiaro che l’esito democratico e laico sarebbe arrivato dopo un percorso lungo e difficile. Le speranze non sono ancora morte e anzi sono ravvivate dalle continue proteste: migliaia di persone chiedono ancora un percorso costituente partecipato, il rispetto dei diritti, la lotta alla povertà e alla disoccupazione (ma i media occidentali si accorgono solo delle proteste delle Femen…). “Ci aspettano ancora giorni difficili, ma è il prezzo che bisogna pagare per la nostra libertà. I diritti, come il rispetto, non si ricevono in dono, ma si strappano via!” dice Paloma.

“Siamo presenti su tutti i fronti di opposizione sociale e di resistenza al potere, in tutte le manifestazioni di protesta” continua l’attivista: “Abbiamo rapporti con molti altri movimenti, a partire da quello femminista”. Intanto però, come denunciato dal Grande Colibrì, la polizia ha aumentato gli arresti di omosessuali e l’obiettivo dell’abrogazione dell’articolo 230 del codice penale, che prevede fino a tre anni di carcere, appare lontano. D’altra parte, rappresenta solo uno dei numerosi obiettivi dello stesso movimento LGBT: “Sarebbe egoistico pensare solo ai nostri diritti e dobbiamo riconoscere che nel contesto attuale ci sono delle priorità, come la giustizia sociale e la lotta alla povertà”.

Paloma prosegue: “Per noi è ovvio mettere insieme l’attivismo per i diritti della comunità LGBT con tutte le altre cause giuste. Il nostro gruppo lavora dichiaratamente per una migliore integrazione di tutte le persone emarginate, per la giustizia sociale, per la dignità di ogni essere umano”. Gli obiettivi degli attivisti omosessuali, in questo modo, si inseriscono in un programma rivoluzionario più ampio, contribuendo a formare un’idea di futuro, di democrazia e di laicità che si spera possa realizzarsi presto. Il movimento non si vergogna delle proprie connotazioni ideologiche: “In base a quello che ho visto e che ho vissuto negli ultimi anni, credo che il movimento per i diritti delle persone LGBT sia per sua natura di sinistra, senza che questo impedisca che alcune persone della comunità abbiano opinioni diverse”.

Molti osservatori sono scettici e anche molti attivisti LGBT occidentali storcono il naso: una tesi comune è quella secondo cui le passate dittature laiche, evitando l’affermarsi del fondamentalismo islamico e non richiamandosi alla sharia, avrebbero garantito un maggiore rispetto delle minoranze in generale e della diversità sessuale in particolare. Sotto il regime del laico Mubarak, però, gli omosessuali subivano “laiche” condanne per satanismo e depravazione… Per quanto riguarda la Tunisia, “anche sotto l’autorità di Ben Ali i problemi per la comunità LGBT erano forti”, dice Paloma: “I governanti attuali sono fortemente ostili agli omosessuali, ma lo erano anche i loro predecessori”. Il concetto di “dittatura laica” è un ossimoro privo di senso, un tappeto sotto il quale si sono nascosti interessi inconfessabili…

Non è un caso, allora, che numerosi omosessuali siano scesi in piazza per abbattere la “dittatura laica” di Mubarak in Egitto, anche con maggiore visibilità rispetto a quanto successo in Tunisia, fino ad ipotizzare un Pride in piazza Tahrir, luogo simbolo della primavera. Nei giorni degli scontri, i blog della comunità LGBT si erano trasformati in strumenti di propaganda rivoluzionaria e persino nei siti di incontro le foto di uomini semi-nudi o di dettagli anatomici sono state sostituite dalle immagini delle violenze e dagli appelli all’azione…

Nel frattempo l’Egitto, prima trascinato nella protesta dall’esempio tunisino, ora è diventato un esempio per molti tunisini: come ha dichiarato l’analista politico Youssef Ouaslati alla Reuters, “la Tunisia non sembra immune a quello che è successo in Egitto”. E questo vale ancora di più per la comunità LGBT. Se in entrambi gli stati le elezioni sono state vinte da partiti islamisti, che si sono dimostrati poco capaci di gestire l’economia e poco interessati a coinvolgere tutte le forze della società, al Cairo il tentativo di accentrare il potere e di imporre l’islamismo politico all’intera società è stato sicuramente più evidente, provocando una reazione più decisa da parte delle forze laiche.

Paloma Negra valuta positivamente gli ultimi sviluppi politici egiziani: “Le forze del popolo egiziano, soprattutto i giovani, sono riuscite a fare pressioni e alla fine hanno vinto. L’ultima parola spetta sempre al popolo e in Egitto il popolo ha detto la sua ultima parola”. L’esercito ha spodestato un governo democraticamente eletto, ma per l’attivista gay non è stata una sconfitta della democrazia: “Una vera democrazia rispetta e protegge tutti i cittadini, basandosi sui principi universali dei diritti umani. In Egitto hanno cercato di istituzionalizzare una vera e propria dittatura in nome della religione: non esiste una democrazia degli anti-democratici”.

Atlante LGBT delle proteste globali – 2. La Turchia

Atlante LGBT delle proteste globali – 3. La Bulgaria

Atlante LGBT delle proteste globali – 4. Il Brasile

Atlante LGBT delle proteste globali – 5. La Russia

Pier
©2013 Il Grande Colibrì

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