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Accoglienza, storia, cultura: erano queste le parole che venivano in mente quando si parlava di Siria fino a non molti anni fa. Invece oggi la Siria ci fa pensare a guerra, distruzione, disperazione. E seguire le vicende siriane è sempre meno semplice, non solo per l’inestricabile complessità del conflitto, ma anche per il costante bombardamento di propaganda e disinformazione e per l’effetto di “saturazione” prodotto da quella che spesso sembra un’ininterrotta litania di cattive notizie sempre uguali. Tre libri possono aiutarci a capire e a mantenere alta la nostra attenzione.

Khaled Khalifa: un libro farraginoso

Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città” di Khaled Khalifa (Bompiani 2018, 240 pp., 18 €) è un romanzo importante per ricordare che la Siria prima della guerra non era affatto la dittatura “tutto sommato accettabile” dipinta da molti commentatori. Il libro racconta attraverso una saga familiare la repressione feroce degli Assad e ancor di più le sue conseguenze tanto sulla società quanto sulle singole persone: la paura e la vergogna lasciano tutti in un’atmosfera di sospensione continua, di infrangibile immobilismo.

Il romanzo è importante nel quadro della letteratura araba anche perché rappresenta in chiave positiva un personaggio che appartiene alle minoranze sessuali: zio Nizár è un punto di riferimento morale per la sua famiglia. Detto questo, il personaggio non è del tutto convincente: la sua identità sessuale è descritta in termini approssimativi, che confondono in modo contraddittorio omosessualità, transgenderismo e travestitismo. In generale Nizár riflette un po’ troppi stereotipi: è un ricco artista, dotato di infinito buon gusto e di una grande sensibilità di cui si approfittano giovani maschi interessati solo ai suoi soldi.

Il personaggio più inconsistente è però la voce narrante, che assiste al disfacimento di Damasco e della propria famiglia come semplice spettatore del tutto passivo: con scelta tanto forte sul piano simbolico quanto forzata su quello narrativo, di quest’uomo non sappiamo quasi nulla. Risulta troppo forzata anche la struttura stessa del romanzo, che si fonda su salti temporali e ripetizioni, con l’intento evidente di rappresentare il tempo come una rete che avvolge e immobilizza i personaggi: l’idea è interessante, ma la sua realizzazione risulta artificiosa e a tratti semplicemente confusa.

Sumia Sukkar: un racconto brutale

Se si cerca una lettura più semplice, scorrevole e coinvolgente, si può ripescare “Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra” di Sumia Sukkar (Il sirente 2016, 275 pp., 15 €), che racconta la Siria in guerra attraverso lo sguardo di un adolescente con sindrome di Asperger. Dal titolo al tema, dalla copertina elegante e colorata alla biografia dell’autrice (una ragazza britannico-siriana di 21 anni), tutto lascia presagire un romanzo dai toni agrodolci, se non addirittura una narrazione edulcorata del conflitto.

Sukkar, invece, ha scritto un libro brutale, in cui la violenza della guerra è davvero cieca: non guarda in faccia a nessuno, non risparmia nessuno, non è addolcita, smussata, taciuta neppure quando è semplicemente insopportabile. Anche qui il racconto ruota intorno alle vicende di una famiglia, mentre l’ambientazione siriana è purtroppo debole: i riferimenti alla cultura o alla geografia del paese sono davvero pochi e vaghi. Anche la rappresentazione del protagonista Aspie non è molto precisa.

Insomma, “Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra” è un romanzo ancora acerbo, che potrebbe senz’altro essere più maturo e approfondito, ma resta un libro di ammirevole coraggio, che cattura e coinvolgente con grande facilità il lettore. Il suo grande pregio, soprattutto in questi tempi cinici e indifferenti, è proprio la capacità di creare empatia, di farci sentire vicini a chi vive in conflitti ormai entrati nella routine delle “brutte notizie sempre uguali”.

Rosanna Sirignano: voci preziose

La mia Siria” di Rosanna Sirignano (Villaggio Maori 2018, 142 pp., 14 €) non è un romanzo, ma di un ottimo romanzo ha la scorrevolezza e la capacità di emozionare. Il libro raccoglie una grande pluralità di testimonianze, dando vita a un mosaico estremamente vario e interessante, in cui l’aspetto umano è sempre centrale, senza però scivolare mai in sentimentalismi compiaciuti. L’attenzione all’umanità non oscura nemmeno le questioni politiche più complesse, ma anzi costruisce una via di accesso che, senza ricorrere a scorciatoie e semplificazioni, risulta più agevole e immediata.

Ma il valore politico del libro, che neppure Rosanna Maryam Sirignano (attivista di Il Grande Colibrì convertita all’islam proprio in Siria) sembra riconoscere nella sua interezza, non sta solo nella comprensione del paese mediorientale. Sirignano ha dichiaratamente scritto un libro d’amore e inevitabilmente ha occhi tutt’altro che neutri, eppure riesce ad analizzare e spiegare con grande lucidità e onestà la “deformazione” del suo sguardo. È un esempio di scrittura prezioso per chi cerca di conciliare la necessità di fare informazione in modo corretto con l’urgenza di prendere posizione.

“La mia Siria” riesce a unire l’approfondita rappresentazione culturale e sociale della Siria di Khaled Khalifa e l’immediatezza di Sumia Sukkar: grazie a una scrittura molto chiara e scorrevole, passa con naturalezza per un gran numero di argomenti, di punti di vista, di luoghi e di tempi. Per questo il libro è una lettura davvero illuminante tanto per chi conosce ancora poco la Siria quanto per chi ha imparato ad amarla abbastanza per chiamarla “mia”.

Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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