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Poche settimane fa vi abbiamo parlato della campagna di outing online contro le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) in Marocco, che ha avuto gravi conseguenze, tra cui il suicidio di un ragazzo. Incitate dall’influencer Sofia Taloni, diverse ragazze si sono iscritte alle varie app di incontro gay, come Planet Romeo, Grindr e Hornet, e poi hanno sbandierato sui social network le foto, e quindi l’omosessualità, dei loro utenti.

Il 23 aprile Sofia Taloni ha rilasciato un’intervista a BBC Arabic, in cui ha sostenuto di non aver fatto lui [leggi nota] i nomi delle app e ha rigettato la colpa sui ragazzi che avevano preso parte alle sue dirette su Instagram, sollevandosi così da ogni responsabilità. Peccato che su internet sia ancora reperibile il famoso video in cui lui stesso ha spiegato come usare le app di incontro per smascherarne gli utenti. La classe politica marocchina è rimasta impassibile davanti a questa campagna di intimidazione, mentre la stampa marocchina ha semplicemente taciuto il tutto.

Il 17 aprile la polizia ha preso in carico le denunce di oltre 20 associazioni e ha aperto un’indagine, ma ancora non si hanno aggiornamenti e notizie in merito. Di fatto, poche persone avranno il coraggio di presentare denuncia, in un paese dove l’omosessualità viene punita con il carcere dall’articolo 489 del codice penale. Presentare denuncia significa essere schedato e aggiungere il proprio nome alla lista degli omosessuali da perseguitare. Il Marocco è uno stato assente, ma ossessionato dalla vita privata dei suoi cittadini. La politica che tace e nulla si muove, mentre il paese sacrifica i suoi cittadini gay, lesbiche, trans.

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La storia di Abdelatif

Abdelatif Nhalia, 21 anni, attore marocchino, una delle vittime della campagna di outing, ha avuto il coraggio di esporsi e di denunciare l’orribile campagna di intimidazione. La sua storia racchiude la drammaticità di questo momento. Nei primi giorni di aprile Abdelatif ha preso parte a una diretta Instagram con Sofia Taloni. Abdelatif racconta il motivo di questa partecipazione: “L’ho fatto perché Sofia Taloni ha iniziato a insultare la mia città natale, Sidi Kacem, e volevo rispondere. Durante il live, ovviamente, ha cercato di denigrarmi perché ho i capelli ricci… Non ci ho prestato più attenzione“.

Subito dopo, Sofia è passato all’attacco e ha chiesto agli abitanti di Sidi Kacem e ai suoi seguaci di scovare, denigrare e violentare Abdelatif. Il suo appello è stato raccolto da una pagina Facebook, che ha pubblicato foto e informazioni sul giovane attore. “Non hanno lesinato sugli insulti contro di me – racconta Abdelatif Nhalia – Ho gentilmente scritto alla pagina per chiedere di eliminare i loro post, senza nessuna risposta. Ho quindi contattato uno degli amministratori, ma sono stato accolto con rifiuti e insulti“.

cellulare schermo app instagramDa vittima ad accusato

La mattina dell’8 aprile, Abdelatif allora ha deciso di sporgere denuncia nella sede di polizia di Sidi Kacem. Il ragazzo, intervistato dal giornale Tel Quel, ha dichiarato: “Non appena sono entrato nella stazione, una signora mi ha indirizzato a un ufficiale di polizia. Quest’ultimo mi ha guardato con aria interrogativa, perché ho un casino di capelli, un piercing e un khelkhal (braccialetto), e mi ha detto: ‘Non lavoriamo!’. Ho insistito per spiegare che ero in pericolo e che solo la polizia poteva porre rimedio a questa ingiustizia. È a quel punto che mi ha interrotto per chiedermi se avevo il permesso di uscita“.

La storia di Abdelatif Nhalia, e di molti altri ragazzi vittima della campagna di Sofia, ha come scenario questo momento di pandemia globale, in cui da mesi assistiamo a una militarizzazione del paese. “Ovviamente avevo un permesso, ma non era compilato bene – continua a raccontare l’attore – L’ufficiale ha detto che non era il mio permesso, poi ha iniziato a scrivere sul suo computer. Pensavo stesse mettendo per iscritto la mia denuncia, ma così non è stato. Mi è stato detto che sono sotto custodia della polizia perché avrei violato lo stato di emergenza e avrei attaccato questo poliziotto!“. Scosso per ciò che stava accadendo, Abdelatif è stato portato più di una volta in ospedale e successivamente tenuto in custodia dalla polizia per 48 ore.

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Serve una rivoluzione

Uno storia che ha dell’assurdo: volere giustizia per sé stessi e ritrovarsi sotto accusa. La polizia ha ignorato la denuncia di Abdelatif, che invece è accusato di “violazione dello stato di emergenza sanitario” e “oltraggio a pubblico ufficiale in servizio”. Il suo processo avrà luogo il 12 maggio, ma il ragazzo non ha avuto la possibilità di chiamare un avvocato, nessuno della sua famiglia ha avuto sue notizie per giorni, il suo telefono è stato immediatamente sequestrato. Nessuna telefonata, nessun aiuto.Lo scrittore e giornalista marocchino Hicham Tahir sostiene sul suo profilo Facebook che “la sola ragione valida per il suo arresto è l’aspetto, giudicato ‘non nella norma’“.

Questa vicenda fa capire come la comunità LGBTQIA marocchina sia sola più che mai: non esistono associazioni LGBTQIA, la società civile è omofoba, macchiata per intero da un forte sistema machista e legato alla religione, la legge e il sistema giudiziario non danno valore alle denunce delle persone LGBTQIA e le incolpano di crimini che non hanno commesso. In questo contesto, però, diverse persone marocchine LGBTQIA, residenti sia in Marocco sia all’estero, hanno dato vita a un progetto chiamato #Queer_Revolution_Morocco (Rivoluzione queer marocchina) per chiedere a gran voce la depenalizzazione dell’omosessualità e del lavoro sessuale, l’accesso ai servizi sanitari e alle terapie per le persone trans, un maggiore riconoscimento dei diritti umani e civili.

Firma la petizione, sostieni la rivoluzione queer!

[nota: Sofia Taloni si identifica come uomo]

Adam Alaoui e Anas Chariai
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Vickson Santos (CC0) / da pxfuel (CC0)

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