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Studiando la concezione dell’omosessualità nell’islam, è inevitabile notare che l’attenzione è sbilanciata verso le pratiche maschili, come nel caso del liwāṭ, la sodomia.

Una premessa, prima di scendere nel particolare: nella religione islamica è complesso parlare di “orientamento sessuale”. La persona è intesa come parte dell’universo creato da Dio e da ciò deriva una determinata concezione dell’identità. Ogni cosa che esiste è unica e l’essere umano, uomo o donna che sia, è parte del creato divino. Questa concezione influisce sull’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità: ad essere discusso e punito non è l’orientamento sessuale, ma l’atto. Questa idea è comune a tutte le religioni abramitiche1.

Le coppie nella creazione divina

«Di ogni cosa creammo una coppia»
(Cor. 51:49)

Nel Corano, la coppia è centrale nella creazione. La realtà è basata su una struttura duale: nonostante alcune distinzioni di carattere naturale, le due parti concorrono a formare, insieme, qualcosa di unico. Il Corano è molto preciso nell’affermare che nella dimensione della coppia esiste una reciprocità. Il genere umano si costituisce nel binomio maschio/femmina e ai due elementi della coppia sono affidati ruoli diversi. Alla donna è associata la funzione del parto, mentre la procreazione è affidata a entrambi. Ma non ci sono, nel Corano, indicazioni per cui le donne avrebbero più o meno limiti rispetto agli uomini. Uomo e donna godono della stessa considerazione. La donna non viene esclusa dallo scopo del Corano, cioè l’invito a praticare la fede.

La questione del siḥāq

«Se alcune delle vostre donne avran commesso atti indecenti portate quattro vostri testimoni contro di loro, e se questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele in casa finché le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via. E se due di voi commettano atto indecente puniteli; ma se si pentono e migliorano la loro condotta lasciateli stare, ché Dio è perdonatore benigno.»
(Cor. 4:15-16)

Il vocabolo arabo utilizzato per indicare il rapporto tra donne è siḥāq, che significa letteralmente “sfregare, strofinare”, ma viene tradotto come “tribadismo”.
Come si vede nel versetto, il Corano non menziona esplicitamente questo termine, proprio come nel caso del liwāṭ. Ma alcuni considerano che il versetto 15 della sura delle donne si riferisca a un rapporto omoerotico femminile, benché questa interpretazione sia fortemente controversa. Il termine tradotto in italiano come “atti indecenti” è fāḥiša in arabo, “turpitudine”: quando quindi il versetto viene interpretato come una condanna al tribadismo, il vocabolo è associato all’atto sessuale, sebbene il suo senso sia molto più ampio. Questa lettura del testo potrebbe quindi essere erronea.

Secondo l’imam progressista Ludovic-Mohamed Zahed, questa interpretazione è sbagliata soprattutto per una questione linguistica. Infatti, l’arabo ha una forma grammaticale specifica per riferirsi a due donne (che potrebbero quindi essere coinvolte in un rapporto sessuale): il duale femminile. Invece, il versetto in questione usa il plurale. Questo passo del Corano, quindi, fa riferimento a tre o più donne e non esprime perciò una condanna all’omosessualità femminile, intesa come rapporto consensuale tra due donne.

Lo studioso porta poi l’attenzione sulle pene corporali, che nei primissimi tempi della comunità islamica erano probabilmente concepite come l’unico mezzo per evitare disordini sociali. Tuttavia, oggi, le scienze umane ci hanno mostrato che l’approccio repressivo non sempre è una soluzione utile.

Ludovic-Mohamed-Zahed

Ludovic-Mohamed Zahed, @ foto di articolo21.org

Poiché il Corano non presenta chiari riferimenti all’omosessualità femminile, il dibattito si sposta sulla Sunnah, cioè la tradizione dei detti del profeta Muhammad (aḥādīṯ). In alcuni aḥādīṯ viene chiamata in causa l’omosessualità femminile. Alcune opere di diritto contengono la citazione:

“Lo sfregamento tra donne è zinā”.

Con il termine zinā si intendono tutte le azioni che, sul piano giuridico, sono considerate illecite e vengono punite con pene prestabilite, ad esempio con la frusta o la lapidazione.
Esistono altri aḥādīṯ che si riferiscono all’omosessualità femminile, ma, nella maggior parte dei casi, non sono entrati a far parte del “canone”, perché considerati dubbi, a causa della presenza di individui nella catena di trasmettitori che ne pregiudicano la validità.
Nello specifico, la discussione verte sullo stabilire se l’atto sessuale tra donne comprenda o meno la penetrazione, azione che aggrava l’atto. Secondo alcuni, sarebbe proprio questo l’elemento che permette di stabilire se il siḥāq costituisce zinā o meno.

Per concludere, sicuramente, in materia di pene giuridiche, la discussione è ancora aperta, sia in caso di liwāṭ (sodomia) che di siḥāq (tribadismo). Tuttavia, la minor attenzione dedicata dalle trattazioni giuridiche alle pratiche sessuali tra donne, rispetto a quelle tra uomini, fa pensare che l’omosessualità maschile sia percepita come più grave rispetto a quella femminile.
1_ Le religioni che collegano la loro discendenza al profeta Abramo: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam.

 

Elettra Maria Nicoletti (fb|ig)
©2022 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da foto di Juliana Malta / Unsplash

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