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Kfar Saba è una ricca città di quasi 100mila abitanti nella pianura di Sharon: appena 15 chilometri la separano da Tel Aviv, la capitale gay-friendly di Israele, orgogliosa sede ogni anno di uno dei Pride più celebri e colorati del mondo. Eppure, percorsi quei 15 chilometri, si scopre subito come Tel Aviv si meriti in pieno il suo soprannome più conosciuto: “The Bubble” (la bolla).

Fuori dalla bolla

L’associazione Israeli Gay Youth (Gioventù gay israeliana) ha deciso di organizzare per il prossimo 1° giugno un Pride anche a Kfar Saba per chiedere uguali diritti e per esigere tolleranza, ma soprattutto per denunciare il problema della sicurezza delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) nei luoghi pubblici: Tel Aviv è vicina, ma siamo comunque fuori dalla bolla.

La città non ha luoghi di aggregazione per le minoranze sessuali e neppure uno sguardo molto favorevole. Per questo la polizia ha iniziato a fare delle richieste precise, temendo violenze anche molto pesanti da parte della popolazione ebraica ultra-ortodossa, come era successo al Pride di Gerusalemme nel 2015, quando un fondamentalista ebreo aveva accoltellato e ucciso una ragazza di 16 anni.

La prima richiesta è stata quella di modificare il percorso, per evitare di passare davanti alla locale Casa Chabad, centro comunitario di un movimento ebraico ortodosso fondato da un rabbino che riteneva l’omosessualità una malattia psichiatrica da curare con le cosiddette “terapie riparative”. La principale organizzazione LGBTQIA israeliana, The Aguda, ha accettato di cambiare il percorso, ma le richieste delle forse dell’ordine non erano finite lì.

Orgoglio nascosto

La polizia, infatti, ha chiesto che tutto il percorso della parata sia chiuso all’interno di una recinzione alta 2 metri e che una serie di camion permetta di nascondere la marcia agli occhi dei cittadini. Ma in questo modo il Pride implicherebbe costi che gli organizzatori non possono permettersi e soprattutto avrebbe davvero poco senso: non solo assomiglierebbe più alle manifestazioni invisibili della Russia di Putin che alla festa di Tel Aviv, ma che senso avrebbe manifestare per chiedere più sicurezza quando la polizia in sostanza rifiuta di garantirla in uno spazio pubblico?

E allora cosa succederà a Kfar Saba? Ancora non si sa: Israeli Gay Youth è furiosa e The Aguda ha fatto ricorso ai tribunali. Però, secondo molti, l’esito potrebbe non essere favorevole: nel 2016 l’Alta corte di giustizia, infatti, sentenziò che la polizia poteva porre limitazioni al Pride di Be’er Sheva nel caso in cui ci si aspettassero violenze. Gli organizzatori, pur di non rinunciare a passare nel centro della città di 200mila abitanti, annullarono la parata. Nel 2017 hanno deciso di far buon viso a cattivo gioco e hanno manifestato in periferia.

Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Lior Bakalu (CC BY-SA 2.0)

Aggiornamento dell’8 giugno. La polizia israeliana, per fortuna, ci ha ripensato e il Pride di Kfar Saba si è svolto regolarmente il 1° giugno 2018, senza misure di sicurezza esagerate [Raffaele Ladu].

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