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Stefano Parisi, esponente della destra italiana ed ex candidato a sindaco di Milano nel 2016 e a governatore del Lazio nel 2018, ha dichiarato che avrebbe votato sia contro i registri delle coppie di fatto sia contro le unioni civili, però in questi giorni ha scoperto uno strano interesse per i gay iraniani: “Noi non appendiamo alle gru gli omosessualiha scritto su Twitter. Intanto The Advocate, storico bimestrale statunitense, titola: “Il regime anti-LGBTQ iraniano promette ritorsioni contro gli Stati Uniti“. Il giornale spiega che le tensioni tra Washington e Teheran sono aumentate dopo che gli USA si sono ritirati da un accordo nucleare giudicato “controverso anche tra molti sostenitori di Obama, in gran parte a causa delle leggi iraniane anti-LGBTQ“.

L’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani non ha ovviamente nulla a che fare con i diritti delle minoranze sessuali in Iran, ma perché non approfittare della persecuzione di omosessuali, bisessuali e trans nel paese per giustificare una guerra che si vuole far esplodere per tutt’altri motivi? Gli esperti di pinkwashing (la strumentalizzazione dei diritti LGBTQIA per presentare come progressiste azioni violente e repressive) sono già all’opera e, seguendo lo stesso paradosso di sempre, sono al servizio dei politici che odiano le minoranze sessuali. Per questo non sorprendetevi se leggerete qualche appello alla “armatevi e partite” da un Salvini commosso per la sorte dei gay di Teheran, mentre continua a ostacolare una legge per difendere quelli di Domodossola.

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Arcobaleni stracciati

Che poi cosa significa davvero per i diritti LGBTQIA questa escalation, portata avanti da entrambe le parti e accelerata drammaticamente dall’omicidio di Soleimani? Proviamo a capire a chi giova e a chi no. Giova al presidente Donald Trump, che non solo può sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dal processo per impeachment (che poi gli USA possono destituire un presidente mentre sono sull’orlo della “terza guerra mondiale“?), ma inoltre galvanizza lo zoccolo fondamentale del suo elettorato, quei fondamentalisti evangelici che sono convinti che una grandissima guerra in Medio Oriente segnerà l’avvio dell’Apocalisse e del ritorno di Cristo. Tanto Trump quanto i suoi fondamentalisti hanno posizioni profondamente omofobe e transfobe.

trump parole odioPer motivi simili esce rafforzato anche Benjamin Netanyahu, che, in vista delle elezioni di inizio marzo, ha disperato bisogno di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica israeliana dalle molteplici incriminazioni per corruzione, frode e abuso di fiducia. Anche l’elettorato di Netanyahu esce galvanizzato dalla guerra all’Iran. E non dimentichiamoci che, nonostante la propaganda sull'”unica oasi arcobaleno in Medio Oriente“, con la destra al potere a Tel Aviv tutte le proposte di legge per i diritti delle minoranze sessuali sono state bocciate dal parlamento israeliano. Ma anche un altro regime omofobo gioisce per le nuove tensioni: è quello saudita del principe Mohammad bin Salman, acerrimo nemico tanto dell’Iran quanto di omosessuali, bisessuali e trans.

Ma se si rafforzano questi politici omofobi, almeno si indebolisce il fronte dei “principalisti”, gli ultra-conservatori e ultra-omofobi iraniani? Anche senza tenere conto del fatto che l’attacco esterno ha come ovvio effetto il fatto che i “riformisti” moderati fanno quadrato intorno alla guida suprema Ali Khamenei, è difficile immaginare che qualcuno scopra di amare le minoranze sessuali sotto bombe tinte di arcobaleno e (falsamente) presentate come un regalo alla comunità LGBTQIA (che tra l’altro sarebbe vittima delle stragi come chiunque altro)… Tra l’altro, il conflitto si estenderebbe con ogni probabilità agli stati vicini: uno dei paesi che ha più possibilità di essere travolto è il Libano, decretando la fine di una promettente rivoluzione laica e democratica.

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Oltre l’ombelico

Insomma, la guerra che si avvicina sarebbe una tragedia tanto in generale quanto per i diritti delle minoranze sessuali, anche se davvero si potesse giustificare un conflitto con questa motivazione. Per l’opinione pubblica LGBTQIA il rischio, comunque, non è solo quello di cadere preda della propaganda più evidente, ma anche di imbambolarsi a rimirarsi l’ombelico. È un po’ quello che succede, per esempio, in un articolo di LGBTQ Nation, che parte con un titolo totalmente assurdo: “Se Trump inizierà una guerra con l’Iran, l’America non sarà nelle migliori condizioni per combattere“.

Il sito non sembra d’accordo con “la politica estera e le decisioni militari lunatiche di Trump“, ma in fin dei conti riduce la questione al fatto che il presidente statunitense ha cacciato i soldati transgender dall’esercito a stelle e strisce: “Mentre tra i soldati inviati a combattere nella follia di Trump ci saranno gay, lesbiche e bisessuali, alle forze armate mancheranno le competenze e la semplice potenza di fuoco dei militari trans cacciati dal servizio per un capriccio del comandante in capo“. Il problema diventa l’assenza di qualche centinaio di soldati (perché “il paese avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile“) al posto dell’orrore della guerra e dell’insania della discriminazione.

Pier Cesare Notaro
©202o Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da ClipartWiki (CC0) / da OpenClipart-Vectors (CC0)

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