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Di migrazione in Italia si parla praticamente ogni giorno. Se ne parla da dietro le barricate delle agende partitiche e istituzionali, se ne parla nei media, se ne parla nelle strade, negli uffici, nelle fabbriche. Come è forse naturale che sia, la migrazione protagonista del dibattito sociale, politico ed economico italiano proviene dal bacino del Mediterraneo. “Migrazione” in Italia forma un binomio quasi totalizzante con “Africa e Medio Oriente”. Se però abbandoniamo per un attimo l’immagine dei migranti al largo delle coste europee e ampliamo il nostro orizzonte spostandolo verso ovest, al di là dell’oceano Atlantico, scopriamo altri processi migratori che stanno alterando la geopolitica del continente americano.

I conflitti colombiani hanno causato il “desplazamiento forzado” (trasferimento forzato) di circa 8 milioni di persone in cinque decenni. Gli accordi di pace del 2016 tra lo stato colombiano e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo (Forze armate rivoluzionarie di Colombia – Esercito del popolo; FARC-EP) avevano prodotto un arrestarsi del fenomeno.

Nonostante ciò, dopo la fine del mandato presidenziale di Juan Manuel Santos (premiato con il Nobel per la pace per questi accordi) e l’insediamento dell’attuale presidente Iván Duque Márquez (del partito nazional-conservatore Centro Democrático di Álvaro Uribe), ci sono stati molti passi indietro. Duque ha paralizzato il processo di pace e parte dei guerrillos delle FARC-EP ha ripreso le armi. In Colombia oggi la violenza continua a obbligare migliaia di persone a una migrazione forzata.

Poi troviamo il caso del cosiddetto “triangolo nord”, formato dai paesi centro-americani a ridosso della frontiera con il Messico: El Salvador, Honduras e Guatemala. Da questi paesi (nello specifico da San Pedro Sula in Honduras) parte a ottobre del 2018 la prima carovana diretta verso il confine con gli Stati Uniti d’America, generando il primo grande scontro politico tra il neoeletto presidente messicano Andrés Manuel Lopez Obrador e Donald Trump. La migrazione dal triangolo nord non è certamente una dinamica nuova (dura da decenni), ma sicuramente le carovane hanno contribuito a renderla più visibile e a richiamare l’attenzione della stampa internazionale. E poi c’è il Venezuela.

migranti muro messico usa

Le migrazioni venezuelane

Il Venezuela è stato dichiarato un paese in emergenza umanitaria complessa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e il 4 luglio 2019 l’Alta commissaria dell’ONU per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha reso pubblico un report che denuncia la repressione attuata dall’establishment della rivoluzione bolivariana, guidata oggi da Nicolás Maduro, verso dissidenti politici e chiunque si opponga al potere del suo partito.

Il popolo venezuelano è da anni vittima di violenza generalizzata, scarsità di alimenti e di medicine, mancanza di accesso ai servizi di base come ospedali e scuole. Le università sono diventate l’ombra di ciò che erano in passato, mentre la repressione e la violenza indiscriminata portata avanti dalla guardia nazionale, dall’esercito, dai cosiddetti “colectivos” (paramilitari al servizio del governo) e dalla criminalità in generale, hanno reso il paese uno dei più pericolosi e invivibili al mondo. Uno degli effetti di quanto descritto si riassume in un esodo di più di 5 milioni di persone che hanno dovuto lasciare la loro terra, patria del Libertador Simón Bolívar, creando una diaspora che ha ormai assunto carattere di esodo.

La migrazione venezuelana, che si può dividere in quattro ondate migratorie, è iniziata con l’instaurazione della cosiddetta “Quinta repubblica” da parte di Hugo Chávez, all’inizio degli anni 2000. Dopo il fallito colpo di stato del 2002 (chiamato “carmonazo”), Chavez riprende il potere e instaura politiche dirette a colpire gli interessi delle grandi imprese. Sono proprio gli imprenditori, i grandi capitalisti, i primi a lasciare il paese in direzione USA. Seguono i dissidenti politici perseguitati e poi gli accademici e i professionisti che cercano futuro nella regione latinoamericana, negli Stati Uniti, in Canada e nella vecchia Europa.

Il nuovo grande esodo

Infine, in anni recenti, il fenomeno migratorio venezuelano esplode. Nelle elezioni del 2015 l’opposizione riunita nella Mesa de la Unidad Democrática (Tavolo dell’unità democratica; MUD) riesce a conquistare la maggioranza in parlamento, sconfiggendo Nicolás Maduro. Il paese viene pervaso da un nuovo sentimento di rinnovo e cambiamento del ciclo politico, ma nel 2017 Maduro, attraverso il Tribunale supremo venezuelano, sospende i poteri del parlamento e li accentra nella sua persona. Quello è il punto di non ritorno. L’impressione generale è che sia un passo verso la dittatura e la morte della democrazia.

Da lì in poi milioni di persone lasciano il Venezuela solo con i pochi averi che possono trasportare, attraversando le frontiere a piedi, in bus o cercando di raggiungere le isole dei Caraibi dalle coste nord del paese con imbarcazioni improvvisate. Carovane infinite di uomini, donne, anziani e bambini iniziano ad apparire nei nostri TG e in quel momento il mondo scopre il dramma del popolo venezuelano.

donna latina incinta

Le donne più in pericolo

In questo dramma migratorio, in cui tutti i migranti vicino condizioni durissime, le donne vedono ancora più in pericolo la propria integrità fisica. La stessa Bachelet nel suo report denuncia come la crisi umanitaria che attraversa il Venezuela colpisca in modo particolarmente terribile le donne, che, come segnala il documento, subiscono stupri e violenze di ogni genere, hanno gravidanze a rischio, devono farsi carico delle condizioni di salute dei familiari più vulnerabili. Molte di loro si vedono costrette a lasciare il paese per cercare un futuro diverso, per poter inviare denaro a casa e sfamare i figli rimasti in Venezuela. Però la realtà che si ritrovano a vivere queste donne venezuelane migranti o rifugiate spesso si trasforma in un dantesco girone dell’inferno.

Ci troviamo di fronte a un’emergenza sfaccettata che comprende femminicidi, violenze sessuali, tratta, schiavitù, violenze psicologiche, prostituzione, sfruttamento del lavoro, stereotipi di mercificazione della donna venezuelana ipersessualizzata, discriminazione, xenofobia e aporofobia (ostilità verso le persone povere). Il massacro continua implacabile. Nella classifica agghiacciante delle uccisioni di donne venezuelane troviamo ai primi posti Colombia e Perù, a causa del numero di migranti accolti (la sola Colombia ne ospita quasi 1,5 milioni), ma compaiono anche paesi al di fuori della regione latino-americana, come Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Spagna.

Nell’ambito di un lavoro di ricerca coadiuvato e reso possibile grazie alla collaborazione dell’avvocata Jassir Heredia Blanco, venezuelana esperta in diritti umani interculturali e presidente dell’ONG Un grano de Arena, abbiamo raccolto, attraverso una ricerca approfondita su Internet, articoli di cronaca pubblicati da diversi giornali nazionali e internazionali. Con questi dati abbiamo creato una mappa interattiva, ma nel progetto più ampio prevediamo anche di fare un lavoro “sul terreno” di raccolta di dati e successivamente di pubblicarli.

donne migranti venezuelane morte

Quasi 200 donne morte

I casi registrati dal 2012 sono stati circa 160, con l’80% avvenuto dal 2017 a oggi, per un totale di quasi 200 vittime. Ma è solo la punta di un iceberg di fosse comuni dove riposano corpi non identificati, di donne dichiarate scomparse e altre che non sono morte, ma che hanno subito traumi e torture che hanno cambiato la loro vita per sempre.

La mappa interattiva mostra i dati sulle decine di donne immigrate venezuelane morte all’estero per femminicidio, incidente o suicidio. Per ogni caso sono indicati (quando possibile) nome e cognome, età della vittima, data di morte, foto e articolo di riferimento. Ogni caso è collocato nella posizione in cui si sono verificati gli eventi, rappresentato da un simbolo che identifica la causa della morte (una croce per gli omicidi; un’auto, un autobus o una motocicletta per gli incidenti stradali; una persona che nuota per le morti per naufragio; una montagna per le morti per frana; una croce medica per le morti in una struttura sanitaria o per malattia; un cerchio bianco per i suicidi; un punto interrogativo per le morti le cui cause non sono state completamente accertate dalle autorità).

La mappa (purtroppo) è ancora in aggiornamento e pertanto informazioni e contributi in questo senso saranno molto apprezzati. La massima diffusione di questo progetto può contribuire a sensibilizzare e fare pressione sugli organismi preposti affinché adottino misure preventive a riguardo.

Diego Battistessa
latinoamericanista dell’Università Carlos III di Madrid – Diego Battistessa
foto:  elaborazione da UNICEF Ecuador (CC BY 2.0) / da Tomas Castelazo (CC BY 3.0) / da Pedro (CC BY 2.0)

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