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Diana (nome di fantasia) è una donna trans russa che, prima della fine del matrimonio con la sua compagna e del riconoscimento della propria transizione, ha avuto due figli. La donna ha continuato a vedere i bambini per quasi un anno e mezzo, finché l’ex moglie ha ottenuto una sentenza per impedirle di proseguire le visite, sostenendo che i figli, a contatto con una persona transgender, svilupperebbero problemi mentali e una moralità distorta. Il giudice ha invocato anche la legge contro la “propaganda gay”, che dal 2013 criminalizza ogni azione che “promuova l’omosessualità” (sic!) davanti a minori, comprendendo il semplice fatto di affermare che esistono le persone LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali).

Diana allora si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che le ha dato ragione: la sentenza, presa “in assenza di qualsiasi danno dimostrabile per i bambini” e senza una “valutazione equilibrata e ragionevole“, viola il diritto alla vita familiare della donna, che invece deve poter rimanere in contatto con i propri figli. La Corte, inoltre, ha riconosciuto che il tribunale russo è stato discriminatorio: “L’identità di genere [di Diana; ndr] è stata costantemente al centro delle decisioni che la riguardavano ed è stata onnipresente in ogni fase del procedimento giudiziario“. Insomma, la sentenza è stata motivata unicamente da transofobia.

Pubblicità regresso

Il verdetto della Corte europea è sicuramente molto importante, anche se ovviamente non potrà cancellare tutti i danni che la legge contro la “propaganda gay” ha prodotto e continua a produrre in Russia. La norma è tornata a far parlare di sé recentemente, quando la casa automobilistica tedesca Volkswagen, sponsor degli Europei di calcio, ha accusato la UEFA di averle impedito di esporre cartelloni pubblicitari in solidarietà con le minoranze sessuali tanto nello stadio russo di San Pietroburgo quanto in quello di Baku, capitale dell’Azerbaijan, “a causa delle preoccupazioni in merito al quadro giuridico“.

In effetti, la legge è chiara e pubblicità di quel tipo sono evidentemente vietatissime. Volkswagen ha preferito far finta di nulla, fingendosi sorpresa per un “no” del tutto scontato, ma continuando a sponsorizzare (con un’ipocrisia che la accomuna a molte altre grandi aziende) un’organizzazione che evidentemente non ha nessun interesse nel difendere i diritti delle persone LGBTQIA+, come ha ben chiarito la decisione di impedire di illuminare d’arcobaleno lo stadio di Monaco di Baviera per non scontentare l’omofobo governo ungherese. D’altra parte la UEFA continua a organizzare partite importanti (dai quarti di finale degli Europei alle finali di Europa League) in paesi estremamente ostili nei confronti delle minoranze sessuali.

calcio giocatori pallone campoA proposito di pubblicità, un’altra polemica ha investito in Russia la catena di piccoli supermercati VkusVill, che aveva mostrato sul proprio sito web una pubblicità in cui appaiono una signora, le sue figlie e la compagna di una di loro, con lo slogan “Ricette per la felicità della famiglia“. Per non violare la legge contro la “propaganda gay”, l’azienda aveva contrassegnato l’immagine con la coppia lesbica come materiale vietato alle persone under 18, ma non è bastato: tanto la catena quanto la famiglia fotografata hanno ricevuto una valanga di minacce di morte. VkusVill ha cancellato la pubblicità e si è scusata per aver “ferito i sentimenti di un gran numero di clienti e dipendenti” per un “errore che ha svelato la mancanza di professionalità di alcuni singoli dipendenti“.

Segnali di speranza

Nonostante tutto questo, dalla comunità LGBTQIA+ russa arrivano anche segnali di speranza. Svetlana Zakharova, del consiglio direttivo di Rossiyskaya LGBT-set (Rete LGBT russa), per esempio, racconta che gli eventi organizzati dalle associazioni queer sono sempre più partecipati. Secondo lei, inoltre, tra le persone più giovani l’omobitransfobia si sta riducendo sempre di più. È d’accordo anche Sasha Kazantseva, che ha creato la rivista digitale O-Zine per raccontare storie positive sulle persone LGBTQIA+ e creare contatti tra loro, anche se lei fa una distinzione: “A Mosca e a San Pietroburgo, che sono grandi città, riusciamo ad avere spazi friendly. Invece nelle città più piccole è quasi impossibile, perché ci si conosce tuttə e le persone sono meno tolleranti“.

Un altro segnale positivo arriva dal cinema: nel 2019 due film a tematica queer sono riusciti a essere proiettati nei cinema russi, anche se in pochissime sale e con alcune censure. Uno è “La ragazza d’autunno” di Kantemir Balagov, un dramma storico che racconta la storia di una coppia di donne nella Leningrado della Seconda guerra mondiale: quest’opera è stata anche selezionata per rappresentare la Russia agli Oscar 2020. Il secondo film è “Outlaw” (Fuorilegge) di Ksenia Ratushnaya, che ha come protagonisti una ballerina trans (il primo personaggio transgender della storia del cinema russo) e una coppia di adolescenti gay. “Ci potrebbero arrestare pure domani, ma intanto proviamo a far quello che vogliamo e a creare cose belle“, riassume Kazantseva.

Pier Cesare Notaro 
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Pxfuel (CC0) / da pikrepo (CC0)

 

Pier Cesare Notaro: “Antifascista, attivista per i diritti delle persone LGBTQIA e delle persone migranti, dottore di ricerca in scienze politiche, mi sono interessato da subito ai temi dell’intersezionalità” > leggi tutti i suoi articoli

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