Skip to main content

Non è facile raccontare la propria storia, aprirsi con gente sconosciuta o con gli amici, soprattutto se effettivamente ti manca il dono di esprimere i sentimenti a causa di carezze e abbracci negati. Questa non è la storia di un ragazzo abbandonato dai propri genitori, ma è quella di un ragazzo cresciuto in una comunità rom.

La comunità gipsy (o meglio rom) da anni è sulla bocca di tutti, un po’ per disprezzo un po’ per fascino: da chi guarda “Il mio grosso grasso matrimonio gipsy”, parlandone divertito e incuriosito dalle feste pazzesche con tanto di vestiti vaporosi e liti furibonde, a chi la descrive come la comunità più criminale e pericolosa in circolazione, senza dimenticare anche i riferimenti politici avversi. Vi spoilero una cosa: non è sempre così.

Come in ogni comunità o società esistono sia i criminali sia le persone “normali” che svolgono una vita semplice, senza lustrini e coltelli. Ma vi posso garantire – e non parlo solo della mia storia familiare – che noi rom non siamo capaci di dimostrare e manifestare affetto e questa cosa molto spesso ricade sul modo in cui cresci, sugli amori futuri e sulle amicizie.

Essere “bujashi”

Mi chiamo Luka, sono gipsy, ma sono anche gay. Vi starete chiedendo: “Cosa c’entra una cosa con l’altra?”. Apparentemente nulla, ma se si analizza meglio la cosa, soprattutto se hai una relazione da quasi 10 anni con un uomo, le due questioni iniziano a mescolarsi fra loro, spesso causando anche “distruzione” e malessere.

Per anni mi sono dovuto nascondere – e no, non è una frase di circostanza: come quando da piccolo in macchina papà ti diceva di metterti sotto il cruscotto perché c’erano i carabinieri, solo che al posto del papà c’era il mio fidanzato e invece dei carabinieri i pregiudizi della gente. Questo accadeva quasi tutti i giorni per i primi anni della mia relazione.

Penserete: “Beh, è normale, tu eri minorenne e lui un adulto“. Sì, certamente non potevo pensare che sarebbe stato tutto rose e fiori, ma quando vivi in una comunità dove la parola più usata è “bujashi” (che vuol dire “frocio”, nell’accezione più negativa della parola) per insultare, in modo aggressivo, qualsiasi ragazzo poco “macho”, non è per niente facile potersi dichiarare con i propri genitori, dandogli modo di vergognarsi e preoccuparsi di ciò che può pensare la gente.

Famiglia rom

Ma fortunatamente sono nato e cresciuto in Italia, dove evidentemente l’omosessualità è più accettata che in Kosovo. La mia famiglia si è trasferita in Italia, precisamente a Brescia, 25 anni fa e di questo paese si sono innamorati. Mia madre ha cresciuto sei figli cercando di farci integrare il più possibile, ma ricordandoci l’importanza della cultura che ci appartiene, una cultura vasta, ricca di tradizioni da scoprire e di feste religiose da rispettare.

[Curiosità: alcuni rom, a seconda dell’origine, si proclamano musulmani, ma solo quando gli fa più comodo. È un’ottima carta da giocare in certe situazioni. Perciò capite che tutti questi fattori non mi hanno mai aiutato a fare coming out?]

I miei genitori hanno sempre ritenuto importante la nostra istruzione: guai se saltavi un giorno di scuola per cose inutili ma, come vi dicevo prima, le feste per la nostra cultura, soprattutto quelle religiose, sono molto importanti e l’unica eccezione per restare a casa era il 6 maggio, la nostra Pasqua in famiglia. Non chiedetemi in che calendario c’è scritto che il 6 maggio sia la Pasqua dei gipsy e non chiedetemi nemmeno perché facciamo l’albero di Natale anche se siamo musulmani!

Nelle nostre feste non mancano mai momenti epici, che potrebbero benissimo far parte di una sitcom, come quella volta che mia mamma si fumò una canna durante il cenone di Capodanno o quando mio fratello fece ubriacare tre dei miei 15 nipoti. Lo so, può sembrare assurdo, ma per noi è la normalità comportarsi in modo ambiguo.

Scoprire sé stesso

Crescere in una famiglia numerosissima, dove dovevi sgomitare per avere un briciolo d’attenzione e amore, è stato faticoso. Ho sofferto molto l’età adolescenziale: ero più emotivo dei miei fratelli, ero quello che si sentiva poco accettato e che piangeva durante la notte a causa di poche premure da parte di chi avrebbe dovuto dartele.

Finché a 15 anni qualcosa iniziò a cambiare: capii di essere più attratto dai maschi che dalle femmine, iniziai a frequentare dei ragazzi per poi incontrare lui: Stefano. È stato il primo a farmi capire cosa volesse dire “amore” o anche semplicemente “affetto”. E io, a fatica, cercavo di esprimergli ciò che provavo. Più volte mi sono sentivo in difetto per non essere in grado di dimostrargli i miei sentimenti, quando bastava solamente un abbraccio.

Incombeva anche la paura di essere scoperto dai miei genitori e questo mi bloccava ancora di più con lui. Per anni ho cercato di nascondere la mia relazione in ogni modo, con menzogne di ogni genere che mi facevano allontanare sempre di più da loro. Vivevo nella costante paura di essere scoperto. Fino a che un giorno accade veramente.

Essere scoperto

Mio padre, forse spinto da qualche sospetto, mi seguì fino al luogo in cui mi sarei incontrato con il mio fidanzato. Mi vide salire in macchina con un uomo più grande. Dopo qualche minuto mi chiamò e iniziò a insultarmi: “Frocio, ti ho visto con quell’uomo, torna subito a casa!“. Quando fui rincasato, cercò pure di darmi un paio di schiaffi. È stato terribile, mi sono sentito così piccolo e pieno di paura, ma non potevo pensare a me, sapevo di aver messo nei guai Stefano.

Per giorni sono rimasto chiuso in camera a riflettere con ansia e timore a cosa potessi fare per affrontare la situazione con i miei genitori. Non parlammo affatto di ciò che era accaduto, cosa tipica nella mia famiglia: mi misero in punizione pensando che la situazione si potesse risolvere così, senza affrontarla e lasciandola cadere nel dimenticatoio. Solo dopo mesi scoprii che mio fratello più grande, quello con l’atteggiamento “più rom”, incontrò il mio fidanzato e lo minacciò, cercando pure di estorcergli dei soldi. Se ci ripenso me ne vergogno tutt’ora.

Ma poi, paura di che cosa? Essere sé stessi, amare una persona dello stesso sesso, è cosi grave da terrorizzare due ragazzi?

Le cose cambiano

Dopo mesi la situazione era migliorata, a tal punto che una notte d’estate di cinque anni fa, tornato da una serata, mia madre mi chiese quasi bruscamente se fossi gay. Avevo due opzioni: mentirle e continuare a mascherare ciò che sono realmente o prendere coraggio e fare coming out una volta per tutte. Decisi che era arrivato il momento che mamma gipsy sapesse che suo figlio adorava le paillettes e i glitter più del dovuto.

Dopo quella sera non ne parlammo più, finché non mi venne il dubbio di pensare che mia madre potesse pensare che quella conversazione facesse parte di un sogno: ha l’abitudine di addormentarsi seduta, probabilmente soffre di narcolessia, magari dovrei farle fare una visita.

La mia teoria fu rafforzata dalle sua continua insistenza nel farmi sposare. [Curiosità: nella comunità rom ci si sposa veramente presto: a 16 anni, se non stai attento, rischi di essere già accasato da due anni e con un paio di figli]. Probabilmente non voleva accettarlo temendo i pregiudizi che sarebbero arrivati. Solo ora, a distanza di anni, capisco che, nonostante la sua poca empatia nei miei confronti, ha sempre cercato di difendermi e proteggermi.

Gli anni passano, le generazioni cambiano e anche le mentalità più chiuse e ottuse iniziano ad aprirsi. Con l’arrivo di tutti i miei nipoti, i miei genitori sono riusciti a fare con loro ciò che non sono riusciti a fare con noi figli, ma mi accorgo dei “disastri” che ci hanno causato: mio fratello non riesce a rapportarsi con i propri figli, è un circolo vizioso che spero finisca presto.

Aiuto fraterno

Ero stanco, non riuscivo più a sopportare di dover celare la mia omosessualità, così decisi di dichiararmi con i miei fratelli. La prima fu mia sorella: sapevo che mi avrebbe accettato senza dire nulla, d’altronde anche lei “è in scontro” con i miei genitori, si è sposata con un uomo non rom, si è sposata per amore. [Curiosità: nella comunità rom ci si sposa anche per convenzione, i matrimoni vengono organizzati, alle volte gli sposi si vedono solo per un paio di volte e l’amore non sempre serve].

Poi toccò a mio fratello, di cui ero intimorito, ma si rivelò colui che la prese meglio di tutti gli altri. I miei fratelli si sono rivelati “utili” e spesso hanno pure combattuto per la mia causa: mi hanno spianato il terreno, cercando di far capire ai miei genitori che avere un omosessuale in casa non è poi così tragico.

“Se tu sei felice…”

Ed eccoci al Capodanno 2018 in cui mia madre, forse leggermente sopraffatta dalle emozioni o leggermente ubriaca (penso che non lo saprò mai) mi blocca in bagno e con tutta calma semplicemente mi dice: “Io e tuo padre lo sappiamo che hai un compagno e, se tu sei felice, lo siamo anche noi. Spero di averti tolto un peso“. Cosi è stato, mi hanno tolto un peso talmente grande che mi portavo ormai da anni. Ovviamente queste frasi mi hanno spiazzato, non me lo sarei mai aspettato. Il nostro rapporto si sta rafforzando ogni giorno sempre di più, a tal punto da voler incontrare il mio compagno.

Alla fine dei conti, dopo anni di fatiche e drammi, mi posso ritenere fortunato ad avere una famiglia che, nonostante una base musulmana e una cultura diversa, è riuscita a capirmi. Mi sento ancora più fortunato se penso a tutti quei ragazzi o quelle ragazze rom cacciati di casa perché gay o costretti a celare la propria omosessualità: ci sono questi amici di famiglia che hanno un figlio palesemente gay (ci ha pure provato con un mio amico) ed è stato costretto a sposarsi.

La comunità gipsy è come un piccolo paesino nel sud: tutti conoscono tutti e tutti sanno di tutti. Non importa se abiti in un altro stato: prima o poi verrai a sapere della notizia del giorno e perciò molte famiglie, pur di non fare “scandalo”, preferirebbero avere un figlio delinquente che gay.

Luka
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Max Pixel (CC0) / da pxhere (CC0) / da vmedyk (CC0) / Sisma Dimitric (CC BY 2.0)

Leave a Reply