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Due ragazzi tunisini, entrambi 26enni, sono stati arrestati a giugno con l’accusa di sodomia, un reato che nel paese nordafricano può essere punito con una condanna fino a tre anni di carcere. Secondo la ricostruzione fornita dall’organizzazione non governativa Human Rights Watch, i due giovani – di cui per ovvi motivi di protezione della privacy non sono stati forniti i dati anagrafici – sarebbero stati arrestati a Le Kef, una città situata a poco più di 170 chilometri dalla capitale Tunisi.

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Confessioni forzate

Stando a quanto riferito da Damj (Inclusione), un’organizzazione che si occupa di difendere i diritti della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) tunisina, il fermo sarebbe avvenuto in seguito alla deposizione di uno dei due ragazzi, che avrebbe sporto denuncia per la mancata restituzione di un prestito in denaro. La richiesta di aiuto del giovane sarebbe però passata quasi subito in secondo piano e l’attenzione degli agenti si sarebbe concentrata quasi immediatamente sulla relazione che secondo la polizia legherebbe i due ragazzi.

Come sottolineato da Hassina Darraji, l’avvocata difenditrice di uno dei due giovani, la confessione sarebbe stata estorta con la violenza. Oltre a offese, minacce e percosse, fa sapere Darraji, i ragazzi sarebbero stati anche costretti a subire un esame anale per accertare la loro presunta omosessualità. In seguito, entrambi i giovani sarebbero stati condotti nel carcere di Le Kef e successivamente in quello di Ben Arous. I motivi del trasferimento sarebbero legati al fatto che un detenuto della prigione di Le Kef è risultato positivo al nuovo coronavirus.

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Entrambi i ragazzi sono stati condannati a due anni di carcere, con una sentenza che, secondo l’associazione Damj, risulta una delle più severe e pesanti tra quelle emesse negli ultimi anni nei confronti di uomini accusati di sodomia. La condanna verrà discussa ed eventualmente confermata al termine del processo d’appello iniziato mercoledì scorso. Intanto sono grandi lo sconcerto e la preoccupazione delle organizzazioni che si battono per il rispetto dei diritti umani nel paese nordafricano e che considerano questa vicenda l’ennesimo attacco nei confronti delle minoranze sessuali.

Sebbene gli stati e gli organismi internazionali abbiano elogiato la Tunisia per i progressi compiuti sul fronte del rispetto dei diritti umani, non bisogna dimenticare che nello stato africano la criminalizzazione e le persecuzioni nei confronti degli omosessuali sono purtroppo ancora molto presenti” osserva Rasha Younes, esperta di tematiche legate ai diritti LGBTQIA e ricercatrice presso l’organizzazione non governativa Human Rights Watch.

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La speranza è che il governo tunisino decida di fare marcia indietro, rimettendo possibilmente mano alle norme che di fatto rendono difficile, se non proprio impossibile, la vita degli appartenenti alla comunità LGBTQIA locale. “La Tunisia ha l’opportunità di dimostrare quanto davvero tiene alle libertà individuali e all’integrità psicofisica dei suoi abitanti e può farlo decidendo di eliminare una volta per tutte le leggi che puniscono i rapporti tra persone dello stesso sesso – afferma Younes – La prima cosa che il governo dovrebbe pensare di fare sarebbe intanto quella di liberare i due giovani uomini tratti in arresto, mettendo contestualmente fine alle condanne basate su leggi arcaiche che puniscono i rapporti omosessuali”.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì / elaborazione da Max Pixel (CC0)

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