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Quando si parla di identità di genere spesso in Occidente si affronta la tematica del binarismo di genere, ovvero della netta suddivisione fra maschile e femminile tipica della società occidentale.

Spesso si parla delle due identità di genere (maschile e femminile) come di costrutti sociali, di una serie di norme e stereotipi che la società affibbia ed in cui tutte le persone vengono incasellate. Spesso si dà per scontato che le identità di genere siano due, ma personalmente credo che ciò sia dovuto al fatto che la maggior parte di noi occidentali ha sempre vissuto in una società che da sempre tende a suddividere le persone a seconda di un modello duale o binario.

Se però ve lo state chiedendo, non sempre e non in tutto il mondo le identità di genere seguono un modello analogo : oltre alle società in cui viene riconosciuto anche il terzo genere (come le hijra del subcontinente indiano o i TwoSpirits dei nativi nordamericani), esistono anche popoli che hanno sviluppato una sorta di “tetraismo di genere“, parola da me coniata per indicare la sussistenza di quattro distinte identità di genere. Un esemoio potrebbe venire dalla Thailandia, paese noto per la tolleranza e l’accettazione delle persone transessuali o di genere non conforme.

Trans? E allora?

Inizialmente, quando vi misi piede con l’obiettivo di trascorrerci un anno, la cosa shockò anche me, a partire dalla scuola. In quegli anni infatti in Italia imperversava il dibattito sulla fantomatica teoria gender nelle scuole e quindi è più che comprensibile il mio shock culturale nel trovarmi in un istituto in cui, all’interno del personale scolastico e del corpo insegnanti, vi erano uomini e donne transessuali e persone di genere non conforme.

Guardandomi attorno pian piano notai che la mia scuola non era un caso isolato e che vi erano persone transessuali normalmente accettate in quasi qualsiasi ambito della società o settore lavorativo. In Thailandia le persone transessuali, ma anche le persone omosessuali o bisessuali, godono di una visibilità che in Italia è per ora pura utopia, complice anche il Buddhismo Theravada (prima religione del paese asiatico) che non considera affatto queste diversità come peccaminose.

Invece in Italia, a meno che non si frequentino gli ambienti queer, le uniche persone transessuali o travestite che si vedono sono quelle che si prostituiscono ai margini delle strade, e di conseguenza è quello lo stereotipo con cui ancora oggi nel Bel Paese gli uomini che si travestono o le donne transessuali devono confrontarsi.

Ormoni in TV

Inoltre ho notato che anche fra i ragazzi thailandesi della mia età argomenti seri come l’orientamento sessuale o l’identità di genere erano tutto sommato ampiamente diffusi, e credo che ciò sia dovuto ai media ed alle serie TV. La mia preferita era senza dubbio Hormones, che purtroppo è durata solo tre stagioni nonostante l’enorme successo riscosso fra i giovani thailandesi.

La serie vuole raccontare un gruppo di ragazze e ragazzi durante gli anni delle superiori, trattando così i vari problemi con cui ci si può trovare a che fare negli anni dell’adolescenza: dalle prime cotte e dalla ribellione verso le autorità, si arriva a parlare di omo- e bisessualità, rapporti conflittuali con genitori e insegnanti, gravidanze inattese, aborto o dipendenza e abuso di sostanze stupefacenti.

Insomma la Thailandia, benché sia ben lontana dall’essere un paese completamente privo di discriminazioni e ingiustizie, sembra essere ben avviata verso un percorso sempre più roseo per le minoranze sessuali, anche se l’instabilità politica del paese ha rallentato di molto l’avanzamento giuridico verso la parità dei diritti.

I quattro generi

Ma come mai la Thailandia si trova in una posizione così avanzata e portata all’accettazione del pluralismo di genere rispetto agli altri paesi asiatici o addirittura rispetto all’Occidente? Beh, perché per l’appunto la cultura della Thailandia (che quando ancora si chiamava Regno Siamese è stato l’unico paese del Sud-est Asiatico a non essere stato colonizzato) ha sempre avuto una visione non binaria dell’identità di genere.

Da una parte infatti abbiamo i due generi standard e maggioritari : ผู้ชาย (PuChay; uomini) e ผู้หญิงo (PuYing; donne); dall’altra abbiamo le persone biologicamente maschili che assumono una identità più o meno femminea, dette กะเทย (kathoey) o ladyboy in inglese, e le persone che, pur essendo nate biologicamente femmine, si sentono più o meno tendenti al mascolino, dette ทอม (tom) o tomboy in inglese.

“Kathoey” però non equivale direttamente a donna trans, perché funge un po’ da termine ombrello con cui si identificano gli intersessuali, gli uomini effeminati, i travestiti e anche le donne transgender, che possono decidere o meno di intraprendere il percorso di riassegnazione del sesso. Allo stesso modo, le persone che si autoidentificano come tom possono essere sia donne androgine che “maschiacci” o uomini transessuali, il tutto ovviamente slegato dall’orientamento sessuale visto che non destano stupore, ad esempio, kathoey polisessuali o tom asessuali.

Superare i preconcetti

Nel mio percorso di accettazione personale, scoprire che in angoli remoti del mondo esistono società libere dai nostri preconcetti occidentali e i cui abitanti usano una varietà di termini e concetti totalmente differenti dai nostri per descrivere la propria identità di genere e/o il proprio orientamento sessuale, è stato di vitale importanza per me e mi ha aperto notevolmente la mente alle diversità e alla pluralità.

Credo inoltre che il modello thailandese, o anche il contatto con culture che affrontano diversamente l’identità di genere, possa essere d’esempio per molti di noi occidentali, che ancora facciamo fatica ad accettare l’esistenza di persone di genere non binario.

Giovanni Gottardo
©2018 Il Grande Colibrì
foto: thaths (CC BY-NC 2.0)

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