Quante volte parliamo della diversità sessuale come della manifestazione di una liberazione (o di una decadenza) legata alla contemporaneità? Mentre qualcuno è disorientato e a volte persino infastidito dal diffondersi di nuove parole (pangender, genderbender, genderqueer, agender, crossdresser…) per descrivere le differenze, lo straordinario lavoro artistico e storico di Ria Brodell, artista non-binary e trans di Boston (Stati Uniti), ci aiuta a ricordare come in ogni tempo e in ogni cultura sono vissute persone che non rientravano nei canoni sociali delle identità.
Nella bellissima serie “Butch Heroes”, raccolta in un prezioso volume uscito a ottobre per The MIT Press (96 pp., 24,95$; non tradotto in italiano), Brodell propone i ritratti di individui realmente vissuti negli ultimi secoli in diverse culture con un elemento in comune: assegnate femmine alla nascita, queste persone hanno vissuto presentandosi con un aspetto e con un comportamento culturalmente associato alla mascolinità. Ogni dipinto è accompagnato dalla storia, spesso tragica, dei soggetti dipinti e da una ricca bibliografia. Il Grande Colibrì ha parlato con Ria Brodell di questo lavoro più unico che raro.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2012)
collezione del Davis Museum del Wellesley College
Come scegli quali storie raccontare?
Riparto sempre dalla ragione che mi ha fatto iniziare il progetto: volevo capire come sarebbe stata la mia vita di persona queer e trans se fossi nata in un altro secolo. Scelgo le persone in base a un criterio che mi riguarda personalmente: dichiarate femmine alla nascita, si presentavano in modo maschile e avevano relazioni con donne. Quando trovo una persona che rientra in questo criterio, inizio a verificare la sua storia.
L’attenzione ai dettagli iconografici e la bibliografia che accompagna ogni immagine dimostrano un importante lavoro storiografico: come ricostruisci le storie delle persone che ritrai?
Cerco di trovare tutte le informazioni possibili per raccontare la loro storia in modo conciso e includo le mie fonti, in modo che chi lo desidera possa fare ulteriori ricerche. Mentre costruisco il dipinto, di solito scelgo di rappresentare un momento della loro vita che mi colpisce visivamente: a volte dipingo il momento della morte, altre sono scene di lavoro o semplici momenti della vita quotidiana. Dipende davvero dalla narrazione e da ciò che sento che funziona di più per comunicare l’essenza della loro storia.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2013)
collezione del Davis Museum del Wellesley College
Una volta deciso come dipingere queste persone, faccio ricerche su tutto quello che comporrà la scena, dai vestiti agli oggetti, fino al loro ambiente, con gli interni (mobili, cose appese alle pareti, lampade, eccetera…) e gli esterni (edifici, strade, alberi, eccetera…). Devo fare molte ricerche, ma voglio che tutto sia il più accurato possibile.
Perché per te è così importante raccontare queste storie?
Credo che sia importante raccontare le loro storie per sottolineare il fatto che le differenze di genere e sessuali sono esistite in tutti i tempi e in tutti i luoghi del mondo. La comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali), per usare la terminologia contemporanea, non è inclusa nella maggior parte dei libri di storia, le nostre vite non sono insegnate a scuola, le nostre storie sono spesso volontariamente ignorate. È estremamente importante riportare alla luce la nostra storia.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2012)
Il tuo lavoro è popolato da persone con background geografici, etnici, culturali e religiosi differenti. Pensi che questa diversità all’interno della comunità queer di oggi sia riconosciuta in modo adeguato?
No, purtroppo no. E in modo particolare se guardiamo alla ricerca storica: è incredibilmente difficile trovare informazioni su persone di colore, persone delle società indigene o persone di culture non occidentali e non cristiane. Spesso trovo una storia, ma poi non c’è alcun nome documentato o c’è una quantità inadeguata di informazioni. Sembra quasi che chi ha registrato l’informazione non la considerasse importante. È davvero frustrante.
Definisci le persone nei tuoi ritratti come “butch” (“maschiacci”, ma anche “lesbiche mascoline”; ndr): perché hai scelto questa parola?
Non ho mai definito intenzionalmente i miei soggetti come “butch”: in realtà, a parte nel titolo “Butch Heroes”, non uso mai termini contemporanei per definirli o per descriverli. Ho scelto “butch” per il titolo perché è un termine conciso associato alla mascolinità, nell’aspetto e nel comportamento, e al coraggio. Ha anche una storia nella comunità LGBTQIA ed è conosciuto nella comunità cisgender eterosessuale. Questa parola è diventata una specie di ponte tra generazioni nella comunità queer. E nella mia storia personale è stata usata per insultarmi, ma anche per congratularsi e riconoscere la mia forza: mi piace questa doppia valenza.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2014)
collezione del Davis Museum del Wellesley College
Oggi abbiamo molte possibilità di definirci, di definire il nostro orientamento sessuale e la nostra identità di genere, ma la maggior parte delle persone ritratte non aveva un termine preciso e non offensivo per descriversi…
Esattamente. E io non ho nessuna possibilità di sapere come i miei soggetti si sarebbero definiti se avessero avuto a disposizione la scelta che abbiamo noi e non voglio metterli in una “scatola” in cui non so se si sarebbero potuti identificare: il linguaggio è incredibilmente importante quando si tratta di trovare una comunità, ma è una scelta davvero personale. Per questo che non uso termini contemporanei per riferirmi o per descrivere i miei soggetti: semplicemente racconto e dipingo le loro storie in modo da riflettere come si presentavano e come parlavano di sé.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2011)
collezione del Davis Museum del Wellesley College
Da un punto di vista iconografico, i tuoi ritratti riproducono esplicitamente i santini della tradizione cattolica. La copertina del tuo libro ricorda molto i libri religiosi, le Bibbie e i messali. E non è solo una provocazione, vero?
Oh, per niente! Vuole essere un po’ una provocazione, ma è anche un omaggio. Io amo l’iconografica cattolica e, anche se non sono cattolic*, le figure storiche della Chiesa, e in particolare i santi, hanno ancora un ruolo speciale per me. Ho sentito che il formato dei santini, come il riferimento del libro ai messali o alla Bibbia, era perfetto. Innanzitutto perché fa parte della mia storia personale: questi oggetti sono usati come strumenti didattici, sono stati usati per insegnarmi a proposito dei santi e della Chiesa. Inoltre, i santini sono usati per la venerazione e il ricordo.
Insomma, ci sarebbe modo migliore per ricordare e apprendere sui soggetti di “Butch Heroes”? È da questo punto di vista che ho voluto fare una provocazione, perché molti soggetti di “Butch Heroes” sono stati puniti dalla Chiesa o dalla loro comunità cristiana.
tempera su carta, 28 x 18 cm (2011)
collezione del Davis Museum del Wellesley College
Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: ©RiaBrodell per Il Grande Colibrì
Leggi anche: