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Oggi parlare di Russia significa parlare di Alexei Navalny, l’oppositore numero uno del presidente Vladimir Putin. Avvelenato in Russia, ricoverato in Germania, Navalny è tornato nel paese solo per essere arrestato con motivazioni ridicole: avrebbe violato i termini della sua libertà vigilata facendosi trasportare incosciente all’estero. Mentre Navalny veniva chiuso in carcere, in numerose città russe migliaia di persone scendevano in piazza in manifestazioni che le forze dell’ordine hanno represso con la violenza e con arresti di massa, tanti da mandare in tilt la magistratura e il sistema carcerario.

Chi è Alexei Navalny?

Non si sa quale sarà il destino dell’oppositore più celebre al regime di Putin, ma di sicuro la sua figura divide l’opinione pubblica, tanto in patria quanto all’estero. Alexei Navalny è un eroe della democrazia o un pericoloso nazionalista? È l’ultima speranza di un’alternativa all’attuale sistema o è colui che, polarizzando l’attenzione su di sé, ha impedito all’opposizione russa di crescere e organizzarsi? È di destra o di sinistra? E qual è il suo programma politico? C’è chi pensa che non ne abbia nessuno e che sia un puro prodotto di marketing, chi l’accusa di avere posizioni non molto dissimili da quelle di Putin, chi lo ritiene un burattino manovrato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, chi lo difende a spada tratta.

Se la repressione va senza dubbio condannata e Navalny deve essere liberato, non si possono tacere le ambiguità di questo personaggio politico, che rischia di essere lodato come un santo e deludere come Aung San Suu Kyi, la “paladina della libertà” birmana che, una volta al potere, ha difeso il genocidio della minoranza musulmana rohingya. Le aspettative democratiche di molte persone in Russia vanno sostenute, senza cadere nella costruzione di un mito personale. Mito che non sembra far troppa presa proprio tra le forze democratiche russe, come dimostra la riluttanza di molti editoriali della stampa liberale e i risultati elettorali di Navalny, non sempre esaltanti, a fronte della forte partecipazione a manifestazioni da leggere soprattutto come anti-putiniane.

russia testa ragazzoCon l’estrema destra

La storia politica di Alexei Navalny inizia nel 2000 in Jabloko, partito liberale di centro-sinistra. Il giovane avvocato Navalny, però, segue una deriva nazionalista che lo porta sempre più vicino a movimenti razzisti di estrema destra, tanto da essere espulso da Jabloko nel 2007. Quello stesso anno fonda Narod (Popolo), una forza politica “nazionalista democratica” che nel 2008 formerà una nuova coalizione con i suprematisti del Dvizheniye Protiv Nelegalnoy Immigratsii (Movimento contro l’immigrazione illegale; DPNI) e gli ultra-ortodossi di Velikaya Rossiya (Russia Nostra).

In questa associazione con l’estrema destra, la xenofobia si accompagna all’omobitransfobia. Nel 2009 scrive un post contro il Pride di Kirov, nella Russia europea, che inizia con queste parole: “I gay della regione di Kirov sono rappresentati principalmente da froci“. L’uso del termine пидор (pidor), estremamente offensivo nei confronti degli omosessuali, non fa presagire nulla di buono. E in effetti Navalny, pur difendendo la libertà di manifestare, accusa gli organizzatori della parata di voler creare solo scandalo e di aver cercato in ogni modo di farsi picchiare dai militanti di destra e dagli ortodossi. Il suo suggerimento? Le manifestazioni delle minoranze sessuali dovrebbero tenersi in uno stadio isolato dal resto del mondo.

Gli attacchi contro il Pride e la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), a dire il vero, in quel periodo fioccano da tutte le parti, tanto dal regime putiniano quanto dalle forze di opposizione di qualsiasi colore. Per esempio, nel 2010 il più moderato Boris Nemcov, leader di Sojuz Pravych Sil (Unione delle forze di destra; SPS) assassinato nel 2015, minaccia di organizzare un Etero Pride. E ancora nel 2012 il liberale Vladimir Milov, fondatore di Demokraticheskiy Vybor (Scelta democratica), assicura: “Mi sono opposto e continuo ad oppormi per principio all’introduzione di tematiche LGBT nell’agenda politica dell’opposizione“.

russia polizia guardia onoreContro gli immigrati…

Nel frattempo Alexei Navalny si allontana dall’estrema destra e assume posizioni più centriste, almeno teoricamente. Nel 2013 è candidato per diventare sindaco di Mosca dal liberale Respublikanskaya Partiya Rossii – Partiya Narodnoy Svobody (Partito repubblicano di Russia – Partito della libertà popolare; RPR–PARNAS). La campagna elettorale, in cui non mancano dichiarazioni a favore della leader neofascista francese Marine Le Pen, si basa sulla lotta alla corruzione e all’immigrazione. Navalny afferma che secondo le statistiche gli stranieri compiono quasi il 50% dei delitti nella capitale russa (in realtà la percentuale reale è appena il 3,8%).

Navalny arriva persino a difendere un pogrom anti-immigrati in cui viene ucciso un uomo: “Se non esiste un modo equo per risolvere i conflitti e i problemiscrivele persone se ne creano uno da sole, con misure primitive e disperate“. In quell’occasione propone un discorso carico d’odio contro le “orde di immigrati legali e illegali” che vivono nei bazar di Mosca, “da cui strisciano nei quartieri circostanti“. Gli stranieri vengono dipinti come nullafacenti, disinteressati a trovarsi un lavoro perché “scippano le borse in metropolitana o fanno rapine con il coltello negli ascensori“.

…ma LGBT-friendly?

Nella stessa campagna elettorale, Navalny ripropone l’idea di organizzare i Pride al chiuso in stadi lontani da tutto e da tutti, ma i toni sono meno offensivi e questa volta tiene a precisare: “La priorità è che i cittadini abbiano il diritto di riunirsi pacificamente e disarmati, ma è necessario garantire la loro sicurezza, tenendo conto del gran numero di persone conservatrici“. In un’intervista, tuttavia, fa dichiarazioni che alimentano gli stereotipi sul Pride e la comunità LGBTQIA: “Se vengono lì a spogliarsi nudi davanti agli occhi dei bambini, devono essere arrestati. Se sono tutti vestiti in modo decoroso e camminano in modo decente con i loro slogan, allora non mi interessa nemmeno quale sia il loro orientamento sessuale, dove vanno o cosa dicono“.

Nonostante questo scivolone, l’apertura è reale: Alexei Navalny, scontrandosi con l’arcivescovo ortodosso Cirillo I, patriarca di Mosca e di tutta la Russia, propone di organizzare una serie di referendum regionali per chiedere alla popolazione se è d’accordo o meno a riconoscere il diritto di sposarsi alle coppie dello stesso sesso. Dal canto suo, il politico si dice contrario a riconoscere le adozioni, ma afferma: “Credo che le persone abbiano il diritto di formalizzare le loro relazioni come vogliono“. Riproporrà la stessa idea anche nel 2017, quando si prepara alle elezioni presidenziali dell’anno successivo, a cui gli sarà impedito di partecipare.

Ambiguità irrisolte

Cosa è successo nel percorso politico di Navalny? Forse una dichiarazione riportata da Wikipedia, senza fonte, aiuta a capirlo: “Ormai non mi stupisce niente, ma come si può pensare di cercare della propaganda LGBT nei gelati, quando nel nostro paese siamo pieni di corruzione, problemi sociali, economici, geopolitici e varie instabilità politiche? Ma qual è l’ideologia di Vladimir Putin? Lui non è né statalista né liberale, non è né conservatore né progressista, né comunista né fascista. La sua ideologia è il putinismo, punto. Lui non ha neanche un modello ideologico, lui come dittatore impone allo stato tutto quello che gli viene in testa, che gli piace di più, e questo non rispetta la nostra libertà e la democrazia dello stato“.

Putin anno dopo anno si è arroccato sempre più su posizioni contro le minoranze sessuali, tanto che difendere i loro diritti è diventato uno strumento per allontanarsi da lui, per dimostrare non solo di opporsi a Putin, ma anche di essere dei veri e propri anti-Putin. Il percorso dall’omobitransfobia a posizioni più o meno fortemente LGBTQIA-friendly è stato seguito anche da altri politici dell’opposizione, come il già citato Boris Nemcov, per esempio. Non possiamo sapere se sia solo un calcolo strategico, se la decisione nasca da una reale presa di consapevolezza personale, se la politica semplicemente segua a traino una società sempre più aperta verso le minoranze sessuali, se si cerchi l’appoggio dell’Occidente: la tendenza è comunque positiva.

Resta il problema che non basta difendere i diritti LGBTQIA. Nel 2013 Navalny, in un’intervista concessa a un quotidiano italiano, ha difeso il diritto di manifestare per l’uguaglianza delle minoranze sessuali, ma l’ha posto sullo stesso piano delle “marce russe” (cortei razzisti dominati dai neonazisti). Sul tema dell’immigrazione e della xenofobia resta pericolosamente ambiguo, dando il proprio sostegno al movimento statunitense #BlackLivesMatter senza distaccarsi da dichiarazioni passate sulla necessità di deportare gli “stranieri”. E la stessa ambiguità persiste sul carattere etnico dello stato russo e sul rapporto con i paesi confinanti. Insomma, Navalny sia libero subito, ma santo subito no.

Pier Cesare Notaro
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Evgeny Feldman / Novaya Gazeta (CC BY-SA 3.0) / Il Grande Colibrì / da MaxPixel (CC0)

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