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Alla polizia di Surabaya, capoluogo di Giava Orientale e seconda città indonesiana per popolazione, arriva una soffiata: è in corso un festino gay in un hotel due stelle vicino allo zoo. Le forze dell’ordine fanno irruzione nell’albergo e il raid si conclude con l’arresto di 14 presunti omosessuali. Tutto il resto è ancora da chiarire.

Shinto Silitonga, investigatore capo della polizia, ha spiegato in modo diverso quello che gli agenti hanno scoperto entrando nel salone in cui si stava svolgendo il party. Alla stampa locale ha parlato semplicemente di un uomo nudo e di altri in mutande, intenti solo a guardare video pornografici e a scegliere un partner in vista di un possibile rapporto sessuale successivo [Antara], mentre all’agenzia AFP, come riporta per esempio il Daily Mail, ha detto che gli accusati stavano compiendo “atti sessuali devianti”.

In ogni caso la polizia ha arrestato i 14 uomini presenti, per poi rilasciarne poco dopo sei in quanto semplici “testimoni, dal momento che non avevano preso parte alla festa [sic!], ma sono stati scoperti a guardare video pornografici”. Gil altri otto, invece, sono stati denunciati perché “parte attiva nella festa” e due di loro rischiano fino a 15 anni di carcere per aver organizzato l’incontro.

Tutto questo, oltre che evidentemente ingiusto e liberticida, risulta particolarmente assurdo se si tiene conto che l’omosessualità è legale in Indonesia (con l’eccezione della provincia autonoma di Aceh) e che i presunti gay arrestati sono accusati di aver violato la severissima Legge contro la pornografia e la pornoazione (“pornoaksi”, un neologismo inventato appositamente per la norma) approvata nel 2008 per le pressioni dei gruppi fondamentalisti islamici.

Questa legge, dai contenuti vaghi, è utilizzata per reprimere, per esempio, l’uso del bikini e alcune tradizioni delle minoranze etniche e religiose. E anche l’omosessualità, come dimostrano fatti passati e confermano le dichiarazioni di Shinto Silitonga: “Questa è la prima volta che applichiamo la legge è arrestiamo gay in questa città”.

Indonesia, gay perseguitati perché “pornografici”

La repressione omofoba, come già accennato, è più esplicita nella provincia di Aceh, dove la legge vieta esplicitamente ai cittadini musulmani di avere rapporti sessuali con persone dello stesso sesso: ancora ad aprile sono stati arrestati due ragazzi, che rischiano di essere fustigati [Il Grande Colibrì].

La situazione per le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) in Indonesia sta peggiorando: alle famiglie che spesso non accettano la diversità sessuale e alle discriminazioni da parte dei datori di lavoro, negli ultimi anni si sono aggiunte le violenze perpetrate da squadroni di “giustizieri” religiosi, come il Front Pembela Islam (Fronte dei difensori dell’islam), spesso collusi con la polizia.

A rimetterci non sono sole le minoranze sessuali, ma l’intero paese, come mostra il recente studio “LGBT exclusion in Indonesia and its economic effects” (L’esclusione delle persone LGBT in Indonesia e i suoi effetti economici) del Williams Institute dell’Università della California. I ricercatori hanno stimato che la perdita sul prodotto interno lordo (PIL) dovuta all’omotransfobia potrebbe andare da 862 milioni a 12 miliardi di dollari (da 790 milioni a 11 miliardi di euro): l’odio per le minoranze sessuali, insomma, potrebbe costare l’1,4% della produzione di ricchezza per il paese.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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