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Onestamente?” chiede retoricamente Sarah Mohamed*. Poi, abbassando la voce, dice: “Non li sopportavo. Non sopportavo di vederli. Ero tra quei membri della comunità che pensavano: ‘È una maledizione. Le persone non dovrebbero essere così: subiranno l’ira di Dio, andranno all’inferno. Non dovrebbero avvicinarsi ai nostri figli perché potrebbero infettarli, potrebbero reclutarli tra le loro file’“. Mohamed è una ustadhat, una predicatrice, e vive nella città costiera keniota di Mombasa. Nonostante sia cresciuta in “una famiglia musulmana moderata“, dice che la sua famiglia continuava a “considerare l’omosessualità come una maledizione“.

Quando ero piccola – racconta – c’era un vecchio che vedevo spesso. Visitava il nostro vicino. Pensavamo che questa cosa non andasse bene. Pensavamo persino che il vicino non fosse una brava persona perché frequentava quest’uomo. Quindi stigmatizzavamo persino il vicino perché lo frequentava. Non riuscivo a parlargli, perché la mentalità è: ‘Se ci parli, andrai all’inferno, proprio come loro’. E chi vuole andare all’inferno? Quindi non ti ci avvicini. Li stigmatizzi e basta. Li tratti come se non facessero parte della comunità. Ecco tutto“.

Riconoscersi umanə

Nel 2005, la percezione di Mohamed verso le persone queer è cambiata, quando, mentre faceva volontariato per un’organizzazione che forniva consulenza a tossicodipendenti, è stata presentata per la prima volta a delle persone queer. La riunione si è tenuta nel sobborgo di Changamwe. “L’edificio era un bagno pubblico trasformato in un ufficio. Sapessi – ride – cosa combina la gente!“. Qui che il suo collega dell’epoca l’ha presentata alle persone “LGBT” (lesbiche, gay, bisessuali e trans).

Ce n’erano dieci – racconta Mohamed – I miei colleghi e io volevamo conoscere la storia che c’era dietro: ‘Perché sono come sono?’. Insomma, all’inizio non riuscivo, sai? È stato difficile per me. Perché il mio pregiudizio era al massimo, era al 100%. Ma visto che stavamo interagendo con loro, ho iniziato almeno a parlargli… ma solo dopo il decimo incontro, penso. È stato allora che ho iniziato a trattarli come esseri umani – beh, non proprio come esseri umani, in realtà li tolleravo soltanto“.

corano islam sharia musulmaniDemistificare i miti

La sua tolleranza si è lentamente trasformata in un’accettazione così forte che la 48enne ora è parte attiva di Persons Marginalized and Aggrieved in Kenya (Persone emarginate e afflitte in Kenya; PEMA Kenya), un’organizzazione per i diritti queer. Fa parte del team che si occupa di coinvolgimento strategico delle comunità religiose. Il team è composto da leader musulmani e cristiani ed è stato formato per trovare modi per garantire una più ampia accettazione delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali). “Forniamo alle persone le informazioni corrette sulla comunità LGBT – afferma Mohamed – Demistifichiamo i miti, diamo dei fatti. Nelle nostre comunità, sai, la maggior parte delle volte ci occupiamo di miti“.

La sezione 162 del codice penale del Kenya, ereditata dal dominio coloniale britannico, punisce la “conoscenza carnale contro l’ordine della natura” con una reclusione fino a 14 anni. Nel maggio 2019, in quello che è stato descritto come “un colpo per i diritti umani“, l’Alta corte del Kenya ha stabilito che le leggi contro le persone LGBTQIA non violano la costituzione del paese.

Un rapporto del 2015 di Human Rights Watch ha rilevato che “la retorica che diffama le persone LGBTQIA, in gran parte diffusa dai leader religiosi, è particolarmente presente sulla zona costiera, e influenza la percezione pubblica“. Il rapporto aggiungeva: “I politici e i leader religiosi estremisti cercano di rafforzare la loro posizione proponendo una legislazione omofobica e predicando l’odio contro i kenioti gay. I media si dedicano a diffondere notizie sensazionali su ‘scandali’, a volte interamente inventati, che coinvolgono persone LGBT. Sebbene molte persone LGBT possono contare sul sostegno di amici e familiari e si ritagliano spazi in cui possono vivere in relativa sicurezza, il rischio di violenza rimane costante“.

Stanare i capi religiosi

Ishmael Bahati, direttore esecutivo e cofondatore di PEMA Kenya, afferma che l’organizzazione ha iniziato a lavorare con leader religiosə nel 2010, dopo un’ondata di attacchi di massa contro persone queer, attacchi promossi da due leader religiosi che avevano promesso di “stanare i gay“. “È così che abbiamo iniziato a impegnarci con i capi religiosi. A quel tempo, era una cosa nuova per noi. Per noi è stato un po’ come il COVID – ride Bahati – Non avevamo mai pensato a qualcosa del genere: lavorare con gli uomini di fede. Nessuno aveva mai pensato di affrontare questo problema“.

Bahati ammette che coinvolgere i capi religiosi del paese su questioni legate all’identità di genere e alla sessualità è “la parte del mio lavoro più difficile che io abbia mai svolto. E il motivo per cui dico questo è che la comunità LGBT è stata molto ferita negli spazi religiosi. E c’è molta paura e rifiuto di qualsiasi cosa abbia a che fare con la fede“.

uomo nero maglietta righeNascere intersex

Il giorno in cui nacque Hunnielle Wafula*, c’era la solita eccitazione per una nuova nascita tra gli abitanti del villaggio. Gli abitanti, “con doni e tutto il resto“, si sono diretti verso la casa della famiglia dellə neonatə “per vedere se questə bambinə era un maschio o una femmina“. Ma Wafula è natə intersex.

Quindi, sai, le voci negative iniziano a spargersi più velocemente di quelle buone. Quando sei diversə in questo villaggio, è come se tutta la comunità sapesse che in quella casa c’è una persona che non è normale. C’è una maledizione in quella casa. Allora la comunità inizia a fare comunella contro di te. Gli anziani del villaggio vogliono sacrificarti, capisci?” dice Wafula. Wafula, che si identifica come persona non binaria, ricorda la madre che lə diceva come la comunità “voleva attaccarmi a un albero e lasciarmi lì fino a farmi morire. Perché sono una maledizione. Altri volevano portarmi fin dentro l’oceano e lasciarmi lì ad annegare“.

Pregare a casa

Natə musulmanə, Wafula dice che c’era poco conforto nelle istituzioni religiose: “Ricordo che quando andavo alla madrasa [scuola islamica; ndr] indossavo abiti da ragazza. Successivamente sono andatə via perché non me la sentivo più di indossare abiti da donna. Non sono a mio agio nell’indossare abiti da donna perché sento di non essere una donna. Capisci? Sono scappatə dalla madrasa perché ho detto: ‘No, non posso stare qui se non mi sento al sicuro’“.

Wafula non va più neanche in moschea prima della preghiera del venerdì: “Andavo alla moschea come una donna. Ma la nostra fede ci dice: ‘Non puoi stare accanto alle donne se hai la sensazione di amarle’. Da quella volta ho smesso di andare in moschea. Perché provo dei sentimenti per le donne… Già, quindi ora sto pregando a casa“.

Uno sceicco cambiato

Ahmed Kimani* è uno sceicco che vive a Mombasa. Descrivendosi come “un capo musulmano moderato“, Kimani dice di essere stato educato a credere che le persone LGBTQIA fossero “demoniache e tormentate“. “Queste erano persone che non dovevano essere tenute nella comunità, soprattutto non in una comunità africana” dice Kimani. La sua idea è cambiata quando un capo religioso gli ha detto: “Noi, in quanto leader religiosi, dobbiamo cambiare la nostra percezione. Dobbiamo accettare queste persone come esseri umani. Prima di tutto, sono proprio esseri umani“. Oggi, dopo circa 10 anni, Kimani è un membro del team di PEMA Kenya e si impegna con i capi religiosi della regione costiera del Kenya per essere più inclusivi con le persone queer.

coppia lesbiche nere africaneTuttavia, lo scoppio del COVID-19 ha interferito con il lavoro del gruppo. Kimani afferma che la pandemia non solo ha ostacolato la possibilità per il team di impegnarsi direttamente con i capi religiosi, ma ha colpito più gravemente le comunità LGBTQIA del paese, costringendo il team a cambiare la modalità di azione. “Abbiamo appreso qualche tempo fa che venivano discriminatə anche nelle strutture sanitarie” dice Kimani. “Ci siamo riuniti e abbiamo avviato alcuni forum e colloqui con le persone LGBTQIA e i capi religiosi per capire la situazione – racconta Kimani – Come affrontiamo il COVID e, allo stesso tempo, responsabilizziamo i capi religiosi in modo che non dividano le comunità?“.

Poiché un lockdown nazionale poneva un limite ai grandi raduni di fedeli, il gruppo dei capi religiosi diffondeva i propri messaggi in sermoni pronunciati tramite WhatsApp. Hanno anche usato un metodo più tradizionale, portando messaggi inclusivi porta a porta: “Vorremmo dire alle persone che non possiamo sminuire [le persone LGBTQIA; ndr], ok? Quello che vogliamo che facciano tuttə, è accettarle per come sono. E vorremmo che loro abbiano uno spazio sicuro in cui almeno non subiscano discriminazioni. Quindi il messaggio è: ‘Per favore, accetta queste persone e proteggile in modo che non siano discriminate o terrorizzate’“.

Consulenza telefonica

Il team ha anche offerto consulenza telefonica alla comunità queer della regione. Tra cui anche a Wafula, che afferma: “In realtà solo parlando con loro, persone come Mohamed e Kimani, mi sento bene. Perché almeno mi sento come se ci fossero persone che mi capiscono. E sento che ci sono capi religiosi con cui posso parlare… Voglio dire, sono solo un essere umano. Se sei una minoranza o qualcosa del genere, a volte ci sono capi religiosi che ti odiano senza motivo. Così invece mi sento bene, mi sento amatə“.

Questo lavoro potrebbe avere un certo successo ma, ammette Kimani, affronta ancora una resistenza significativa dalle parti più conservatrici: “Alcuni di questi capi religiosi sono davvero molto ostili. Ma siamo ancora all’inizio del nostro viaggio“. Anche Mohamed ammette che ci sono difficoltà. “Sto ancora lottando con i pronomi. Riuscite a crederci? – ride – Vogliono essere chiamatə ‘lei’ o ‘lui’ o ‘loro’: a volte mi confondo proprio. Ma poi mi scuso se lə chiamo con il pronome sbagliato. E per essere sicura, lə chiamo per nome“. “Ma è come un viaggio – dice – E stiamo ancora camminando“.

Ripensando al suo percorso di molti anni come capa religiosa impegnata attivamente per l’accettazione delle persone queer, Mohamed dice: “Te lo dico, sono impressionata da me stessa. Rispetto a dove mi trovavo prima, penso di poter tirare un sospiro di sollievo. Le guardavo dall’alto in basso, ma – al-hamdu li-llah [sia lode a Dio; ndr] – adesso sono qui. Ora le vedo come persone. E sai come tratti le persone? Con umanità. Ecco come“.

* I nomi sono stati inventati per proteggere le identità.

Carl Collison per New Frame
traduzione di Ginevra Campaini
©2021 New Frame / Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da m.timur (CC BY 2.0) / da Afshad (CC0) / Il Grande Colibrì / da nappy (CC0)

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