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Può una notizia di cronaca dai risvolti anche piuttosto drammatici essere trasformata in una sorta di barzelletta da narrare senza la benché minima sensibilità né riguardo? Evidentemente sì, visto il modo in cui alcuni siti d’informazione africani hanno ripreso e raccontato le vicissitudini di Sonya, nome di fantasia dietro cui si celerebbe la storia e l’identità di una giovane ragazza ivoriana. La sua storia appare in parte perlomeno improbabile e potrebbe persino essere del tutto inventata, ma è estremamente utile per capire come i media rappresentano la diversità sessuale in alcune regioni del mondo.

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Ridiamoci sopra?

A scorrere le righe dei reportage dedicati alla vicenda, si ha davvero l’impressione di trovarsi di fronte alla trama di uno squallido filmetto anni ’90. C’è lei, Sonya, la cui straordinaria bellezza fa girare la testa a tutti gli uomini di Yopougon Koweït, sobborgo povero di Abidjan. Ci sono loro, i suoi pretendenti, che proprio non capiscono come mai quella creatura così affascinante non li degni neppure di uno sguardo. E poi c’è un intero quartiere che il motivo di tanta ritrosia lo conosce benissimo e si dispera enormemente all’idea che una così splendida giovane sia attratta dalle ragazze piuttosto che dai maschi.

Perché sì, Sonya è lesbica e questo dato di fatto scuote profondamente le coscienze di chi la vorrebbe vedere al più presto sposata e magari anche madre. Un desiderio all’apparenza destinato a rimanere confinato nel limbo dei sogni impossibili visto che (come crudamente sottolineato negli articoli) una femmina non può certo ingravidarne un’altra. Per fortuna ci sono loro, gli uomini, i “veri maschi”, quelli che non si fanno fermare da niente e da nessuno e che riescono a portare a termine con insperato successo “una missione d’interesse generale“.  L’intero quartiere di Cité Tomate è in festa: il timido, giovane Max è riuscito a mettere incinta una lesbica! Onore e imperitura gloria al suo santo operato!

donna africana vista spalleE così ai lettori è servita la storia pruriginosa della lesbica ingravidata dal bravo maschietto, ma non può mancare il finale tragico e moralistico, tipico di un intero sottogenere di pseudo-giornalismo dedicato alle lesbiche in Africa occidentale: la gravidanza è interrotta da un aborto, Sonya è abbandonata da tutti e soprattutto dalle perfide lesbiche della sua città, che la trattano da indegna e da traditrice perché si è lasciata sedurre da un uomo. Solitudine e infelicità: ecco cosa spetta a chi segue la strada della perdizione!

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Parole come armi

Se il linguaggio è il mezzo attraverso cui possiamo costruire la realtà che ci circonda, i termini utilizzati per raccontare (o per inventare) il “divertente” (?) aneddoto di Sonya servono più che altro a distruggere ogni possibilità di dialogo. Perché feriscono. Disumanizzano. Tolgono dignità alle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), che vivono dentro sé stesse delle emozioni e dei sentimenti fortissimi, che probabilmente qualcuno non capisce fino in fondo, ma che andrebbero ugualmente accolti, compresi e rispettati. Invece di sputare sentenze su cose e casi di cui non si ha piena coscienza, bisognerebbe mettersi in ascolto. E riflettere sul fatto che non stiamo parlando di marionette senza vita, ma di altri esseri umani.

E per favore: smettiamola di credere e far credere che certi atteggiamenti misogini e machisti esistano solo in culture e paesi che riteniamo retrogradi, distanti e arretrati. Di post e titoloni contro Aisha Silvia Romano in questi giorni ne abbiamo letti a bizzeffe. Erano scritti tutti da “bravi e onesti” cittadini italiani.

Nicole Zaramella
con la collaborazione di Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da PickPik (CC0) / da Max Pixel (CC0)

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